Recensioni – La collina dei papaveri


La collina dei papaveri locandina italianaLa collina dei papaveri

di Goro Miyazaki

Yokohama, 1963. La sedicenne Umi, orfana di padre e con una madre assente, si occupa a tempo pieno della sua famiglia. In ricordo del genitore scomparso, tutte le mattine alza le bandiere al vento in modo che siano visibili da casa sua sul porto. Il rimorchiatore del padre di Shun, un suo compagno di scuola, risponde tutte le mattine al saluto. L’incontro tra Umi e Shun, sullo sfondo di alcune proteste studentesche per la conservazione di un edificio storico, svelerà antichi segreti e cambierà le vite dei ragazzi…

Non è facile essere il figlio di un mostro sacro del cinema come Hayao Miyazaki.  Tantomeno è semplice  essere l’erede di una lunghissima tradizione di animazione come quella giapponese. Goro Miyazaki è stato a lungo riluttante sull’intraprendere al carriera artistica, ma possiamo dirci davvero contenti che abbia fatto questa scelta. Dopo aver adattato i Racconti di Terramare (2006), ed essere  così con un classico del fantasy,con questo suo secondo film inizia a svelarci il suo stile e la sua anima. La Collina dei Papaveri è un racconto  con protagonisti ragazzini ma dedicato agli adulti, pervaso di un’estrema dolcezza, incentrato sull’amore inteso come dedizione. Umi si occupa con passione e coraggio di tutti coloro a cui vuole bene, ma ha anche bisogno di qualcuno che sappia prendersi cura di lei.

Niente concessioni al fantastico: la storia è ambientata all’inizio degli anni 60, quando nel lontano Giappone comparivano i segni di una contestazione giovanile e antico e moderno si scontravano alla ricerca di un equilibrio. C’è molto Giappone in questo film, forse troppo per il pubblico medio italiano. Il disegno è in pieno stile Ghibli, delicato e con un sapore d’altri tempi.  Inutile fare confronti con Hayao Miyazaki comunque: Goro sta dimostrando di essere un autore in crescita,maturo ed autonomo, in grado di creare un proprio, meraviglioso, mondo incantato.

Da vedere.

 

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