Recensioni – E ora parliamo di Kevin


E ora parliamo di Kevin. Un film di Lynne Ramsay con Tilda Swinton, Ezra Miller.

Immagine della locandina del film e ora parliamo di Kevin

Eva (Tilda Swinton) è una madre che ha sacrificato molto per il matrimonio e la nascita del primo figlio, Kevin (Ezra Miller). Quando quest’ultimo si rende colpevole di un crimine orribile, la donna è costretta ad affrontare una nuova vita di angoscia e solitudine. Schiacciata dai sensi di colpa, ripercorre momento dopo momento gli anni con Kevin, cercando un senso alla tragedia ed il coraggio di affrontare le proprie responsabilità..

E ora parliamo di Kevin è un film che fa paura molto di più e in maniera più raffinata di un film horror.  L’angoscia di Eva trasuda dal suo volto pallido, spiritato, di fronte  agli occhi già carichi di odio e malignità di Kevin bambino. La tragedia è annunciata sin dalla prima scena e tuttavia lo spettatore  rimane con gli occhi incollati allo schermo. La regia tesse l’orrore nei suoi dettagli più minuziosi, in un crescendo di tensione che non trova alcuna catarsi: non ci sono facili soluzioni nella storia di Kevin e a chi guarda rimangono addosso inquietudine e domande senza risposta.

Forse il lato più spaventoso di quest’opera, e allo stesso tempo il più efficace, è l’insistenza sul rapporto madre-figlio come nucleo centrale della tragedia. La storia è tratta da un libro di Lionel Shriver, che affronta il tema della maternità nei suoi aspetti più celati ed inquietanti. Le ragioni della follia di Kevin non affondano in un’educazione distorta dalla cultura contemporanea ma appaiono innate, quasi provenissero dall’utero stesso di Eva. La straordinaria somiglianza costruita tra la Swinton e Miller, contribuisce a rinforzare il legame. Maternità diventa allora destino, responsabilità, dramma: ed è per sempre, nonostante tutto.

L’atmosfera inquietante è costruita con sapienza, ma con qualche esagerazione: l’insistenza sul tema del sangue, così come alcune musichette ricorrenti, rischiano di far scadere il film nel grottesco. Anche il ritmo a volte cede, per lasciar spazio ad un gusto per il silenzio e la corporeità che ricordano il cinema di Darren “Il cigno nero” Aronofsky.

E ora parliamo di Kevin non andrebbe visto da chi è troppo sensibile, per evitare di perdere il sonno. A tutti gli altri, buona visione. 

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