
Monocolture, prodotti esotici e sostenibilità delle diete veg
Monocolture, prodotti esotici e sostenibilità delle diete veg è scritto in collaborazione con Alessandra Modica e Laura Panini
Cosa sono le monocolture? In che modo alcuni alimenti esotici rappresentano un pericolo per il pianeta e i lavoratori che li producono?
Dopo l’approfondimento della scorsa settimana sull’impatto ambientale del consumo di carne, la rubrica Sosteniamoci prosegue analizzando alcune criticità delle scelte alimentari veg.
Vegetariani e vegani: numeri e motivazioni
Quante sono le persone che scelgono un’alimentazione priva in tutto o in parte di prodotti di origine animale? Ad oggi, secondo l’Eurispes, in Italia segue una dieta veg l’8,2% delle persone, per il 5,8% vegetariane (non mangiano carne e pesce) e per il 2,4% vegane (niente uova, latte o altri prodotti di origine animale).
Rispetto alle motivazioni, il 21% degli intervistati dall’Eurispes spiega la propria scelta collegandola alla propria filosofia di vita. Il 21% cita invece l’attenzione alla salute, il 20% l’amore per gli animali e l’11% la tutela dell’ambiente.

Un locale vegan negli Stati Uniti (Credits Juno Jo, Unsplash)
Lungi dall’essere un dato acquisito, tuttavia, anche la sostenibilità delle diete veg discende da un approccio consapevole all’alimentazione, che riguarda prima di tutto l’impatto di alcune colture e tecniche agricole sull’ambiente e i lavoratori della filiera.
Ambiente e monocolture intensive
La pratica della monocoltura consiste nel destinare alla coltivazione di un unico alimento vaste aree agricole. Un sistema pensato per ottimizzare la produzione, che tuttavia provoca conseguenze di primo piano sull’ambiente.
In prima linea nel denunciare il consumo di suolo e la deforestazione causata dalle monocolture intensive troviamo Greenpeace, che lo scorso anno ha lanciato la campagna informativa Cibo che divora le foreste, con tanto di mini web serie disponibile su YouTube.
Come evidenziato anche in un recente report di Chatham House, inoltre, la monocoltura rappresenta una minaccia per la biodiversità e la fertilità del suolo.
La presenza di un’unica coltura, infine, favorisce la riproduzione di parassiti e piante infestanti, richiedendo quantità sempre maggiori di pesticidi, oltre che di fertilizzanti.
Oltre le monocolture – Prodotti esotici e sfruttamento
Spesso il rischio che un prodotto alimentare non sia sostenibile è direttamente proporzionale alla distanza da cui proviene. Ma non solo: possono essere rilevanti le modalità di produzione, o il fatto che il cibo in questione sia la moda del momento.
Ecco tre esempi per capire di cosa stiamo parlando.
Il lato oscuro del cacao
Come spiega Altromercato, nella produzione mondiale di cacao – un business da 100 miliardi di dollari l’anno – sono impiegati 152 milioni di lavoratori minorenni. Una piaga che riguarda soprattutto l’Africa occidentale, dove si coltiva il 70% del cacao a livello globale.
Solo in Ghana e Costa d’Avorio si concentra l’1% circa del lavoro minorile nella filiera – oltre un milione e mezzo di bambini – con un preoccupante aumento negli ultimi dieci anni: si è passati dal 31% di lavoratori minorenni nel 2008 al 45% nel 2019.
Praticamente tutti amiamo la cioccolata. Proprio per questo, possiamo impegnarci a fare scelte più sostenibili nel momento in cui la acquistiamo. La possibilità ce la offre ancora una volta il commercio equo e solidale, come dimostra questa bella storia proveniente dall’Amazzonia peruviana.
Anacardi, quinoa e altri superfood
Vengono definiti superfood e sono di gran moda tra gli chef più quotati e i salutisti più agguerriti. Poco più che un termine di marketing, va detto, ma qual è il costo ambientale e sociale di questi alimenti?
Slowfood riassume l’impatto sociale della coltivazione degli anacardi nei tre principali Paesi di produzione. Lavoro forzato in Vietnam, condizioni disperate e paghe da fame in India e Costa d’Avorio. Arriva dal Brasile, invece, l’esperienza sostenibile di Fairtrade.

Anacardi (Credits Engin Akyurt, Unsplash)
Più indirette, ma non certo meno problematiche, le conseguenze che l’aumento della produzione di quinoa ha avuto sugli abitanti di Bolivia e Perù, dove si coltiva l’80% di questo alimento.
Con una crescita della richiesta globale pari al 600% nei primi dieci anni del nuovo millennio, infatti, il prezzo della quinoa è aumentato al punto da costringere una parte delle popolazioni locali a eliminarla dalla dieta, di cui faceva parte da sempre.
Monocolture e prodotti esotici: quali alternative?
Come abbiamo visto nella nostra piccola guida all’alimentazione sostenibile, ci sono diverse possibilità per scegliere prodotti rispettosi dell’ambiente e delle persone che lavorano nella filiera agroalimentare.
Per evitare prodotti da monocolture, l’attenzione più importante è sicuramente nella scelta di agricoltori che lavorano rispettando criteri di sostenibilità ambientale come il metodo biologico – che non a caso prevede la compresenza di più colture – meglio ancora se a chilometro zero.

Monocolture in Lussemburgo (Credits Johnny Goerend, Unsplash)
Quando invece si acquista un prodotto esotico, come abbiamo visto, i marchi del commercio equo e solidale sono la prima scelta per chi cerca un’alternativa sostenibile, rispettosa dell’ambiente e dei lavoratori.
Come dimostrano le polemiche incrociate sull’olio di palma, non è tanto o solo il boicottaggio, ma l’acquisto consapevole a fare la differenza.
Per ora ci fermiamo qui, ma il nostro percorso alla scoperta dell’alimentazione sostenibile continua. L’appuntamento è con il prossimo articolo, che sarà dedicato al tema del packaging e alla logistica della grande distribuzione organizzata.
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