Allevamenti intensivi e ambiente – Quanto è sostenibile la carne che mangiamo?


Allevamenti intensivi e ambiente – Quanto è sostenibile la carne che mangiamo? è scritto in collaborazione con Alessandra Modica e Laura Panini

Già da qualche anno si parla dell’impatto ambientale degli allevamenti intensivi. E mentre il consumo mondiale di carne prosegue nella sua crescita, la produzione industriale continua a incidere negativamente sul pianeta e sulla nostra salute.

L’approfondimento della rubrica Sosteniamoci sull’alimentazione sostenibile prosegue quindi con una puntata dedicata agli allevamenti intensivi, al ruolo del consumo di carne nella nostra dieta e alle possibili alternative.

Allevamenti intensivi e ambiente

Emissioni di gas serra, consumo di suolo e acqua: sono queste le principali voci che determinano l’impatto negativo degli allevamenti intensivi sull’ambiente. Andiamo a vederle nel dettaglio.

Emissioni di gas serra degli allevamenti intensivi

I numeri del report Foraggiare la crisi. In che modo la zootecnia europea alimenta l’emergenza climatica, pubblicato da Greenpeace nel settembre 2020, sono eloquenti.

Un quarto delle emissioni globali dovute all’attività umana – il 23% circa – deriva dal settore agroalimentare. All’interno di questo comparto, gli allevamenti intensivi sono responsabili del 70% della produzione di gas serra, senza contare le coltivazioni destinate ad uso mangimistico.

In pratica, le emissioni globali derivanti dall’allevamento superano quelle dell’intero settore dei trasporti (14,5%), con un trend in aumento. Le stime per i prossimi decenni, infatti, prevedono una crescita del settore agricolo fino al 52% delle emissioni globali.

Allevamento intensivo in Usa

Allevamento intensivo in Usa (Credits: Jo-Anne McArthur, Unsplash)

A livello europeo, nonostante i progressi tecnologici, negli ultimi dieci anni le emissioni derivanti dall’allevamento sono aumentate costantemente, in modo proporzionale all’aumento dei capi allevati. Un incremento che, da solo, equivale all’impatto climatico di 8,4 milioni di auto.

In Italia, infine, la produzione intensiva di carne e latticini è la seconda causa di formazione delle polveri sottili. Un impatto in crescita costante dal 1990 al 2018, dovuto alle emissioni di ammoniaca degli allevamenti, come riportato anche da un recente report dell’Ispra.

Consumo di acqua e suolo

Diversi studi hanno dimostrato come – con la sola eccezione della frutta secca, comunque distaccatissima dal primo posto in classifica – le carni siano in assoluto gli alimenti che richiedono più acqua per essere prodotti. I dati dell’Institute for water education dell’Unesco, diffusi dal Water footprint network, offrono una sintesi chiara della situazione:

Consumo di acqua per produzioni alimentari

Consumo di acqua per la produzione di alimenti (dati Ihe/Wfn, elaborazione grafica e traduzione Luca Rasponi)

Oltre all’inquinamento delle falde acquifere dovuto agli allevamenti industriali, la Fao sottolinea anche l’impatto dei pascoli intensivi. Quando la concentrazione di animali eccede le capacità del suolo, infatti, questo si impoverisce di vegetazione, con problemi anche per il ciclo di ricostituzione dei bacini idrici a causa del calpestio. Fenomeni che portano desertificazione nei climi aridi e deforestazione in quelli umidi.

A proposito di deforestazione, “nell’ultimo quarto di secolo – scrive ancora la Fao – sono state disboscate foreste pari a un’area grande quanto l’India. In particolare nell’America centrale e meridionale, l’espansione dei pascoli per la produzione di bestiame è stata una delle forze trainanti di questa distruzione totale”.

Deforestazione causata dai pascoli

Deforestazione per ottenere superfici pascolive tra il 2001 e il 2015 (Credits: Global Forest Watch, World Resource Institute)

Nei primi 15 anni del nuovo millennio, secondo il rapporto Global Forest Watch del World Resource Institute, “solo per ottenere superfici pascolive sono stati abbattuti più di 45 milioni di ettari di boschi”. Al secondo posto della classifica la palma da olio con 10 milioni di ettari, al terzo la soia (oltre 8 milioni di ettari) “in gran parte destinata a soddisfare la domanda di mangimi per l’allevamento”.

Impatto sulla salute

Anche l’impatto sulla salute umana di un’alimentazione prevalentemente basata sul consumo di carne è stata più volte oggetto di studio in anni recenti.

Oltre alla correlazione tra un eccessivo consumo di carni rosse e alcuni tipi di tumore, la continua crescita dell’inquinamento ambientale ha reso più attuale il rischio che gli alimenti di cui ci nutriamo contengano sostanze pericolose per il nostro organismo.

Queste sostanze tossiche – dette inquinanti organici persistenti (POPs) – tendono a concentrarsi negli organismi viventi molto di più che nell’ambiente. Un esempio noto è quello delle microplastiche e del mercurio all’interno del pesce.

Pesci al mercato di Taiwan

Pesci al mercato di Taiwan (Credits: Jo-Anne McArthur, Unsplash)

L’abuso di antibiotici negli allevamenti intensivi, infine, può generare negli animali microrganismi resistenti alle cure antibiotiche, che si trasmettono all’uomo attraverso l’alimentazione, contribuendo al problema sempre più diffuso dell’antibiotico-resistenza.

Alternative possibili agli allevamenti intensivi

I dati visti finora sono molto chiari, eppure il problema dei costi ambientali dell’industria agroalimentare è scarsamente dibattuto. Come mai? Sicuramente per la grande forza economica del comparto, in grado di condizionare le posizioni di molti governi e il sistema dei media.

Ma anche e soprattutto perché l’alimentazione è il risultato di abitudini talmente radicate da essere spesso molto difficili da mettere in discussione. Però le alternative esistono: scopriamo insieme alcune strategie per migliorare, ridurre o azzerare il nostro consumo di carne.

Dalle scelte veg alla cultured meat

Come abbiamo visto a proposito della moda, quando si tratta di sostenibilità la prima regola è ridurre i consumi. Nel frattempo, si può cominciare a lavorare per migliorarne la qualità.

Nel caso delle carni, per esempio, la presenza della certificazione biologica testimonia una maggiore qualità del prodotto con garanzie per la salute umana e il benessere animale. Ma non risolve, purtroppo, il problema dell’impatto ambientale.

Un allevamento intensivo a Taiwan

Allevamenti intensivi a Taiwan (Credits: Jo-Anne McArthur, Unsplash)

Anche per questo, sempre più persone scelgono una dieta del tutto priva di carne, per ragioni che approfondiremo meglio nel prossimo articolo, in uscita la prossima settimana. Una scelta che si propone, tra l’altro, di eliminare alla radice il problema degli effetti negativi degli allevamenti intensivi sull’ambiente.

Il futuro, in ogni caso, potrebbe riservare sorprese. La più vicina – già sancita da un recente provvedimento della Commissione europea – è il ricorso agli insetti sia per l’alimentazione animale che per quella umana. Una scelta motivata dal fatto che la carne d’insetto è in proporzione la più ricca di nutrienti, mentre l’allevamento di questi piccoli animali risulta meno costoso e impattante sull’ambiente.

Ma, a proposito di sorprese, è in fase piuttosto avanzata anche la ricerca sulla carne coltivata in laboratorio, che sembra pronta a diventare realtà nel giro di pochi anni. E sarebbe di sicuro una rivoluzione, probabilmente molto positiva per l’ambiente e gli animali.

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