Sul pregiudizio di genialità e altri stereotipi legati al genere


Come sostiene la storica statunitense Joan Wallach Scott, “Il genere è il primo terreno nel quale si manifestano le differenze di potere”. Nel suo articolo Gender: A Useful Category of Historical Analysis, Scott spiega che il genere è un fattore primario del manifestarsi dei rapporti di potere. Assorbiamo e ripetiamo migliaia di stereotipi, e uno di questi è il pregiudizio di genialità.

A partire dai primi anni di vita, le bambine e i bambini imparano subito che la femminilità è sinonimo di debolezza e inferiorità intellettuale. In realtà, non esiste una legge naturale che rende le donne “più deboli” o “meno capaci”, bensì un sistema che limita le loro capacità e le rende più insicure.

Spesso mi capita di chiedermi quali scelte avrei fatto se da bambina non avessi interiorizzato questa costante inadeguatezza. Ricordo un periodo in cui mi comportavo “da maschio” anche se non potevo diventarlo: mi piaceva la libertà di sporcarsi, di sudare, di ridere ad alta voce. Ammiravo quella caparbietà che già si manifestava nei miei compagni di classe, prepotentemente sicuri di sè, e la loro naturale inclinazione al potere e alla leadership.

A scuola impariamo i ruoli di genere

Fin dai tempi della scuola – vi ricorderete – i maschi sono considerati più aggressivi e prepotenti, meno ordinati e diligenti… questo implica che vengano rimproverati più spesso ma è anche l’essenza del loro privilegio, del loro destino a superarsi, competere, emergere. Le bambine e le ragazze, al contrario, sono considerate più empatiche e disciplinate.

Una classe di ragazze

(Credits: Yogendra Singh, Unsplash)

Provate a chiedere a un qualsiasi ragazzino se farebbe mai a cambio con una “femmina”: quasi sicuramente vi risponderà che no, non rinuncerebbe per nulla al mondo alla libertà del poter trasgredire una regola o a quella di oltrepassare i propri limiti.

”Femminuccia” è la cosa peggiore che si possa essere. Femminuccia è debole, è fragile, è impotente, è codarda. Femminuccia non sa affrontare la vita. Femminuccia si tira indietro davanti ai pericoli, è vanitosa e insicura. Nessuna femmina vuole essere femminuccia, figuriamoci i maschi.

Giulia Blasi, Manuale per ragazze rivoluzionarie

Il pregiudizio di genialità

Uno studio del 2017 pubblicato sulla rivista Science dimostra quanto gli stereotipi di genere riguardo all’abilità intellettuale si formino già in tenera età e influenzino gli interessi personali. Testando un campione di bambini e bambine tra i 5 e i 7 anni, la ricerca ha infatti dimostrato come fino ai cinque anni non percepiamo differenze intellettuali sostanziali tra uomini e donne, mentre a partire dai sei anni tendiamo ad attribuire agli uomini maggiori capacità intellettuali.

Se ci viene chiesto di pensare a un “genio”, la prima persona che ci viene in mente è di sesso maschile, e questo ci succede anche se siamo donne! È il cosiddetto “pregiudizio di genialità”. In sostanza, fin da bambine impariamo a non credere in noi stesse e a ritenere gli uomini più intelligenti. Al contrario, ai nostri amici viene insegnato che nulla è impossibile e, anzi, è importante farsi avanti.

La cosa più divertente è che queste non sono caratteristiche genetiche, bensì esempi dei più tipici ruoli di genere, ovvero la serie di “norme” che culturalmente associamo al femminile o al maschile. Come abbiamo già ribadito più volte, ci orientiamo grazie a dogmi, pregiudizi e bias cognitivi: alle femmine è attribuita la gentilezza, la bellezza, la docilità, l’obbedienza; ai maschi la forza, la potenza, l’aggressività, la violenza, la velocità.

Donne e scienza: cosa dicono le statistiche

I testi scolastici contribuiscono a educare i nostri figli al pregiudizio: un recente studio ha dimostrato che bambine e ragazze ottengono risultati migliori nelle discipline scientifiche quando sui loro libri di testo compaiono anche immagini di scienziate donne.

Ancora oggi il pregiudizio che le donne non siano brave in matematica (e non solo quello) preclude loro carriere nel settore tecnico-scientifico. Nel mondo, meno di 4 laureati su 10 nelle materie Stem (Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) sono donne, e il trend italiano è in linea con la media europea e mondiale.

Una scienziata in laboratorio. Immagini come questa nei libri scolastici, afferma uno studio, hanno un effetto importante nei risultati nelle discipline scientifiche... e nel contrasto a pregiudizio di genialità e altri stereotipi di genere

Immagini come questa nei libri scolastici contrastano la formazione del pregiudizio di genialità e abituano all’idea che anche le donne possano lavorare in ambito scientifico (Credits: thisisengineering, Unsplash)

Le donne sono in numero minore, nonostante siano più brave degli uomini e si laureino più in fretta. Secondo un’indagine di Almalaurea sui laureati e sulle laureate del 2018, il voto medio di laurea delle donne è più alto (103,7 su 110, rispetto al 101,9 degli uomini) e circa il 49% di loro ha concluso gli studi nei tempi previsti. Per gli uomini, la percentuale si aggira invece intorno al 46%.

Inoltre si è dimostrato che le ragazze che hanno frequentato corsi Stem, nonostante i risultati accademici più promettenti, hanno tassi di occupazione e retribuzione più bassi rispetto agli uomini.

Il pregiudizio di genialità e gli altri stereotipi non si formano solo a scuola

Ma i testi scolastici non sono l’unica fonte ai cui attingiamo quando impariamo e interiorizziamo stereotipi quali il pregiudizio di genialità. I giocattoli che riceviamo in tenera età, i libri che leggiamo, i cartoni animati che guardiamo e le regole comportamentali che la nostra famiglia ci insegna – più o meno consciamente – sono solo alcuni dei mille stimoli che ci portano a pensare che le donne siano più emotive e deboli e gli uomini siano più pragmatici e capaci.

“Poiché si vuole che i maschi siano più vivaci, più vitali rispetto alle femmine, che al contrario devono essere tranquille e passive”, afferma la scrittrice e pedagogista Elena Gianini Belotti nel suo saggio Dalla parte delle bambine, “i movimenti del feto si interpretano in questa chiave”. Insomma, il “gioco delle aspettative”, come lo definisce l’autrice, parte addirittura dalla gravidanza, “e non avrà mai fine”.

Attraverso i giochi, lo sport, i vestiti, attraverso l’osservazione di ciò che circonda e attraverso il giudizio altrui impariamo a replicare i ruoli e ci precludiamo la possibilità di esprimerci su un territorio “diverso” e più ampio.

Anche se può sembrare innocuo, definire caratteristiche e comportamenti “maschili” o “femminili” può influenzare le scelte lavorative e i ruoli che sono considerati “normali” per ciascuno dei generi. Il considerare le bambine emotive e affettuose, ad esempio, ha sempre rafforzato l’idea che le donne siano più adatte a svolgere lavori di cura (infermiera, badante, e così via) e quelli di insegnamento, o che spettino loro le faccende domestiche e di gestione dei figli.

I settori dell’educazione, della salute e del lavoro domestico, dentro i quali si verifica la più alta concentrazione di donne, sono l’estensione dei compiti tradizionali che queste ricoprono a casa.

Giochi da maschi e giochi da femmine

Nell’inverno del 2018 lavoravo come fundraiser per una campagna della ong Intersos e sono stata assegnata a un negozio di giocattoli nel centro di Milano. All’epoca il mio percorso di studi di genere era a malapena cominciato, ma già mi infastidiva moltissimo notare che i giocattoli per i bambini e quelli per le bambine erano posizionati in due scaffali differenti, si riconoscevano per uno specifico colore predominante (rosa per le bambine e azzurro per i bambini) ed erano molto limitanti, per entrambi i sessi.

Per le bambine si trovavano cucinette, bambole, kit fai-da-te per gioielli, vestiti e personaggi sagomati, decorazioni per capelli, travestimenti da infermiera o da estetista. I bambini invece potevano scegliere tra attrezzi da meccanico, kit da costruzione, macchinine, dinosauri, strumenti da scienziato e travestimenti da dottore, poliziotto o pompiere.

Come se non bastasse, quotidianamente assistevo a scene raccappriccianti di genitori, zii o nonni: ho visto padri rimproverare i loro figli maschi per aver chiesto una cucinetta e madri che si lamentavano per una carta da pacchi blu (blu era il colore del marchio del negozio!) invece che rosa – non sia mai che la bambina si senta meno femmina!

Cosa succederebbe se provassimo a limitare gli stereotipi di genere

La prima domanda che ogni cliente rivolgeva alla proprietaria del negozio di giocattoli era, quasi sempre: “cosa posso regalare a una bambina/a un bambino di 5 anni?”.

E se – per una volta – provassimo a considerare il fattore sessuale indifferente, che cosa succederebbe?

Probabilmente una bambina si interesserebbe a quello che realmente le piace, senza aver paura di non essere all’altezza o di non essere portata. Un bambino potrebbe finalmente sentirsi libero di sfogare le sue emozioni senza sentirsi debole o inadeguato.

L'insegna di un bagno pubblico - stereotipi

(Credits: Hafidz Alifuddin, Pexels)

A proposito di sentirsi liberi di essere quello che si è, risale a giovedì scorso un bellissimo episodio di solidarietà: una classe di studenti del liceo classico Gian Battista Vico di Napoli ha scioperato e protestato per difendere il compagno transgender a cui era stato vietato l’uso del bagno dei maschi.

Come combattere il pregiudizio di genialità e gli stereotipi di genere

Gli studi scientifici di genere (o gender studies), nati nella seconda metà del secolo scorso, hanno contribuito in modo significativo alla riduzione, a livello individuale e sociale, dei pregiudizi e delle discriminazioni basati sul genere e l’orientamento sessuale.

Ci siamo sempre chiesti se il nostro modo di essere fosse frutto della genetica o del contesto in cui cresciamo. Le evidenze empiriche ottenute grazie a questi studi ci dicono, ogni giorno di più, che il sessismo, l’omofobia, e gli stereotipi di genere sono appresi sin dai primi anni di vita e sono trasmessi attraverso fattori culturali più che attraverso fattori genetici. La socializzazione, le pratiche educative, il linguaggio, la comunicazione mediatica, le norme sociali hanno più peso della “natura” dell’essere umano.

Albert Einstein, protagonista della copertina di questo articolo sul pregiudizio di genialità e altri stereotipi legati al genere

Il pregiudizio di genialità dimostra che, se ci viene chiesto di pensare a un “genio”, tendiamo a pensare a una persona di sesso maschile. Nella foto, una statuetta raffigurante Albert Einstein, forse il genio più “famoso”.  (Credits: Andrew George, Unsplash)

E quindi necessario, fin dai primi anni di vita, eliminare i bias di genere e gli stereotipi dall’educazione di famiglie, libri di testo e insegnanti. Ma non solo!

Come ha detto Linda Laura Sabbadini, direttrice dell’Istat e chair del Women 20 (l’engagement group del G20 sulla parità di genere), “non solo inclusione ma empowerment”.

Dobbiamo cercare di incoraggiare le donne a partecipare e prendere il proprio spazio all’interno dei settori tradizionalmente dominati dal maschile (e viceversa), fornire consulenze anti-stereotipi e orientamenti di carriera nelle scuole e nelle università, promuovere borse di studio per le donne nelle carriere Stem, garantire l’accesso alle tecnologie per ragazze e ragazzi, e tanto altro.

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