Ode all’ultraterreno Sufjan Stevens – The Ascension


Sono passati cinque anni da quando Sufjan Stevens, cantautore di Detroit ma newyorkese di adozione, ha dato alle stampe il migliore album del decennio: Carrie & Lowell. Il dolore per la perdita della madre sublimava in un etereo capolavoro di chitarre acustiche e ronzii di condizionatori di stanze di albergo. Proprio nel dolore si trovava la dimensione e lo spazio dell’esistenza, una prova di vita davanti alla morte, una luce che sorgeva proprio dalla perdita.

Con questo nuovo The Ascension (uscito come sempre per Asthmatic Kitty Records), per l’ennesima volta Sufjan spariglia il mazzo.

La copertina di The Ascension, ottavo album di Sufjan Stevens

La copertina di The Ascension, ottavo album di Sufjan Stevens (Credits: Asthmatic Kitty)

The Ascension: l’ottava fatica di Sufjan Stevens

Negli anni che ci separano dall’ultimo disco solista ufficiale, Sufjan non è certo rimasto con le mani in mano. Ha dato alla luce diversi progetti con vari artisti, come il monumentale Planetarium (con Dessner, Muhly e McAlister) e il disco di outtakes, The Greatest Gift. Non contento, ha dato poi alla luce due canzoni meravigliose per la colonna sonora di Chiamami col tuo nome di Luca Guardagnino, e si è proiettato in incursioni nella musica classica con The Decalogue e in esperimenti wave assieme al patrigno Lowell con Aporia.

Ed è a questo punto che l’obliquo ex-menestrello del Michigan, si arma di drum machine e sintetizzatori e, dalle Catskill Mountains dove si è trasferito a seguito di una brutta esperienza con i ratti, dà alla luce la sua ottava opera solista: The Ascension.

Alcune anticipazioni sono arrivate nel mese di settembre con l’uscita, dopo l’iniziale America, sofferta ma, tutto sommato, nei territori tipici dell’artista, di alcuni singoli dal taglio smaccatamente pop come Video Game e Sugar. Un’onda che Stevens ha accarezzato in qualche episodio della sua carriera – soprattutto in alcune rivisitazioni live come quella di All of me wants all of you – ma che non ha mai trovato un vero e proprio spazio nella sua produzione.

Le sonorità di The Ascension

Le melodie sofisticate di Sufjan Stevens si scontrano questa volta con un tappeto inarrestabile di elettronica, che a volte aggredisce i sensi, altre accarezza lo spazio con delicatezza. Questa in realtà non è la prima incursione di Stevens nel mondo del suono sintetico: già nel nevrotico The Age of Adz del 2010 si era inoltrato in una coltre di bizzarrie elettroniche, senza però ottenere un risultato così fortemente coerente come in questo nuovo lavoro.

A dispetto del suo titolo, che sembrava preludere a delle tonalità ancora più spirituali, The Ascension è invece un lavoro estremamente materico, monolitico, con una fortissima messa a fuoco e un’inedita propensione a essere diretto nel linguaggio ed essenziale negli strumenti.

Già l’introduttiva Make Me an Offer I Cannot Refuse mette le cose in chiaro su quello che sarà il mood del disco: un continuo dialogo tra la voce ultraterrena e carezzevole di Stevens e la sua nemesi elettronica, una giungla di articolazioni sintetiche. In questo brano, come in altri episodi più avanti, come Ativan – un farmaco ansiolitico equivalente al nostro Tavor – riecheggiano i Nine Inch Nails di Hesitation Mark.

I testi del nuovo disco di Sufjan Stevens

Le parole sembrano centrate verso una sorta di rivendicazione di individualità, un’emancipazione dal Sufjan cantore con banjo della mitologia rurale americana del decennio precedente, ma anche del figlio che piange la scomparsa della madre.

Se le intime Run Away with me e Tell me you love me (uno dei momenti più intensi dell’album) richiamano lo stile di Vision of Gideon, della colonna sonora di Chiamami col tuo nome, Video Game è un vero e proprio esperimento di synth-pop in cui Stevens gioca con una vasta tavolozza di cliché. Ne viene fuori un curioso mix tra Drake e gli Ultravox dell’era Midge Ure, con l’interpretazione vocale sempre un po’ estemporanea, con un risultato piacevolmente straniante.

Un momento del video di Sufjan Stevens dedicato al singolo Video game

Jalaiah Harmon in momento del video di Video game (Credits: Asthmatic Kitty)

My love, I’ve lost my faith in everything
Tell me you love me anyway, Tell me you love me anyway

In Lamentation un cantato quasi afono si mischia a una serie di campionamenti tribal, mentre Die Happy è un lungo mantra che parte come una sinistra ninna nanna e prosegue vero un esplosione ritmica mentre la voce ripete osssessivamente “I wanna die happy”.

The Ascension e la spirituralità di Sufjan Stevens

Ancora una volta presenti in modo massiccio i riferimenti mistico-religiosi, di una cristianità del tutto personale, con cui da sempre Sufjan Stevens si misura e misura il mondo; solo che questa volta è il mondo a essere sotto accusa, ed è proprio questa la novità di questo album. L’abbandono dell’introspezione, delle metafore e delle parabole per scontrarsi con il mondo, la tecnologia, la frenesia, i rapporti umani…

Il rapporto tra il dentro, il fuori e il divino è al centro dell’epico trittico Ativan, Ursa Major e Landslide, in cui il cantautore stende il proprio sguardo con tocco sofisticato, in costante equilibrio tra le derive taglienti di drum machine distorte e sintetizzatori e le melodie sempre ellittiche.

Put my feelings on the table
Eat my heart out if you’re able
Separate the fever from the fact

Arriva dunque il momento di Gilgamesh, brano che evoca la divinità sumera alla ricerca dell’immortalità e la giovinezza, che ricorda Bjork dei tempi di Homogenic, seguita dall’oscura Death Star, che potrebbe essere uscita da uno degli ultimi lavori dei Flaming Lips, che serve a lanciare la più distesa Goodbye to All That. Sufjan Stevens gioca con le frasi fatte, con il citazionismo più popolare, ma contestualmente le destruttura, come apparentemente destrutturata è la forma canzone, che in questo caso appartiene più all’universo del rock progressivo che al pop.

Si torna invece alla canzone più canonica con la melanconica Sugar, il cui lungo intro ricorda i primi The Knife, mentre il refrain cita niente meno che L’armata delle tenebre di Sam Raimi; un’altra grande prova di elettro-pop potenzialmente da classifica di un autore incredibilmente a suo agio nei generi più svariati, senza tuttavia apparire mai vittima del compromesso.

Il brano The Ascension

Ed eccoci arrivati all’ascensione, il penultimo brano a cui è affidato il compito di ricongiungere i fili dell’opera; The Ascension sembra ripartire da dove il precedente album Carrie and Lowell ci aveva lasciati, Blue Bucket of Gold. Solo che qui ritroviamo un Sufjan pieno di dubbi e di domande, deluso e disilluso, che mostra le crepe della sua fede religiosa, la sua fede nella vita, come una ferita che non è più il caso di nascondere.

But now it strikes me far too late again
That I was asking far too much of everyone around me
And now it strikes me far too late again
That I should answer for myself as the Ascension falls upon me

Abbandonati definitivamente i racconti e le mitologie, prende sulle spalle il peso della confessione; il malessere che lo avvolge non è più personale, bensì universale. La radice della sofferenza si cerca ora nel mondo, con i suoi carichi di tensione, di apatia, individualismo, relazioni e conflitti.

America: primo singolo e chiusura di The Ascension

Il brano America chiude il disco, oltre a essere stato il primo singolo, atipico per la sua durata di più di dodici minuti, e serve a chiarire definitivamente il concetto:

I have loved you, I have grieved
I’m ashamed to admit I no longer believe
I have loved you, I received
I have traded my life
For a picture of the scenery
Don’t do to me what you did to America

La copertina del singolo America, tratto da The Ascension di Sufjan Stevens

La copertina del singolo America, tratto da The Ascension di Sufjan Stevens (Credits: Asthmatic Kitty)

Si conclude così, in una coda sempre più dematerializzata, un viaggio lungo – un’ora e venti minuti circa – di elettro-pop denso, monolitico e privo di compromessi. Un viaggio alieno e ultraterreno, nonostante la sua estrema concretezza; la capacità compositiva di Stevens permette di tenere in piedi il tutto anche i momenti più sinistri ed eccessivi, a tratti ostici, soprattutto nella parte centrale del disco.

The Ascension di Sufjan Stevens, in breve

Questo non sarà il disco migliore di Sufjan Stevens, considerato il livello di alcune sue opere, ma è di certo il più netto, diretto e coraggioso; coraggioso perché dà una versione del tutto personale dell’ampio spettro della musica pop, perché non si preoccupa di dire troppo e nemmeno di suonare rassicurante.

L’artista è da sempre noto per la sua imprevedibilità, nel suono e nei contenuti, ma questa volta quello che troviamo non è uno stile diverso: è proprio un Sufjan Stevens differente.

Il vaso è definitivamente in frantumi e nessuno ha più intenzione di nascondere i cocci sotto il tappeto; cosa ci aspetta ora?

And I did it all with exultation, while you did it all with hopelessness
Yes, I did it all with adoration, while you killed it off with all of your holy mess
What now?

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