
50 anni senza Jimi Hendrix – Vita, affetti e dubbi sulla morte raccolti in un libro
Secondo la rivista Rolling Stones, Jimi Hendrix è il miglior chitarrista di sempre. Difficile dar loro torto, quando si parla di un artista che fin da ragazzo ha dimostrato una grande attitudine per la musica: addirittura, pur di suonare, ha imparato a usare una chitarra per destrorsi al contrario – era mancino, infatti, come forse già sapete.
Nonostante sia stata molto breve, la vita di Jimi Hendrix si può certo definire intensa. E oggi, a 50 anni da quel 18 settembre 1970 che ci ha portato via l’autore di Voodoo child, davvero non potevamo che dedicare un pensiero alla sua memoria, complice anche un libro che riguarda i suoi ultimi giorni di vita.

Jimi Hendrix suona Purple Haze (Credits: Track Record/Reprise Records)
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La vita di Jimi Hendrix
Jimi Hendrix ha avuto una vita consacrata alla musica, come dicevamo: dopo aver vagato per gli Stati Uniti, all’età di circa vent’anni decise di trasferirsi a New York. Qui passò da una band all’altra finché nel 1966 fondò il suo primo gruppo: Jimmy James and The Blue Flames (alias The Rainflowers).
Erano gli anni delle formazioni rock a tre membri, dei festival interminabili, ma anche dei grandi movimenti di massa. La gente chiedeva libertà, la fine delle guerre, la fine delle ingiustizie.
La musica fu sicuramente uno strumento importantissimo per trasmettere questa voglia di evasione. Jimi si è sempre reso protagonista partecipando a moltissimi eventi. Il Monterey International Pop Festival del 1967 fu la consacrazione statunitense per il gruppo.
Questa attività, però, durò molto poco: nello stesso anno nacque la band Jimi Hendrix Experience. Al basso c’era Noel Redding, mentre alla batteria Mitch Mitchell. Questa fu la chiave verso il successo!

(Rielaborazione: Marco Frongia)
Anche questa formazione terminò presto il suo cammino: al festival di Woodstock del 1969 Jimi si presentò con i Gipsy Sun And Rainbows. Anch’essi finiti male, come pure la Band of Gypsys che portò Hendrix ad affacciarsi al 1970 insieme a Billy Cox al basso e Mitch Mitchell alla batteria.
Con questa formazione Jimi suonò fino all’ultimo concerto. La scaletta del 1970 era quella che i suoi fan si aspettavano: Land of new rising sun, Message to love, Purple haze e l’immancabile Foxy lady. Quell’estate di inizio decade fu un susseguirsi di concerti nel lungo tour europeo che vide Jimi Hendrix cavalcare palchi di festival rimasti nella storia, come la sua storica performance all’isola di Wight.
L’ultimo concerto di Hendrix fu la sera del 16 settembre 1970 presso il Ronnie Scott’s Jazz Club di Londra. Quella sera Jimi fece una jam session con Eric Burdon, voce degli Animals: suonarono Mother Earth dei Memphis Slim e in seguito, il chitarrista eseguì una cover di Tobacco Road di John D. Loudermilk.
Provo spesso ad immaginare cosa volesse dire essere tra i 500mila spettatori del festival dell’isola di Wight: tre giorni e tre notti ininterrotte di musica tra sole, pioggia, ritardi.
Oppure essere presente alla piccola jam session con Burdon. Insomma, poter dire di aver assistito a uno dei concerti che hanno rivoluzionato la storia della musica.
Il Club 27: storie di vite finite troppo presto
Proprio in questo scenario Jimi Hendrix trova la fama, ma ahimé anche la morte.
Classe 1942, fa tristemente parte del Club 27, ovvero un gruppetto di cantanti famosi deceduti all’età di ventisette anni. Dopo la morte di Kurt Cobain, frontman dei Nirvana, si iniziò a pensare alla strana coincidenza: Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin… tutti mancati precocemente, tutti alla stessa età.
Per lo più artisti rock, tanti vissuti a cavallo tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 70. Kobain invece è deceduto negli anni 90. A valle della morte di Amy Winehouse nel 2011 è stato creato anche un documentario dal titolo 27 Gone too soon.
Spesso i motivi dei decessi sono imputabili a droga, alcol, suicidio. Ma nel caso della morte di Jimi Hendrix?
The story of life – Gli ultimi giorni di Jimi Hendrix
Enzo Gentile e Roberto Crema hanno raccolto in The story of life – Gli ultimi giorni di Jimi Hendrix le testimonianze delle persone che l’hanno frequentato negli ultimi giorni della sua vita.
Non solo per amore di cronaca, ovviamente. Nella prefazione del libro, scritta dal fratellastro Leon Hendrix, viene spiegato che probabilmente Jimi non è morto per overdose di farmaci. Leon sostiene che non l’avrebbe mai fatto: la spiegazione più probabile, secondo lui, è quella dell’omicidio.

(Credits: Alessia Tupputi)
Ovviamente questa teoria non è dimostrabile a molti anni di distanza, ma soprattutto non ha trovato fondamento nelle ricerche della polizia all’epoca. Bisogna aggiungere però che anche Monika Charlotte Dannemann, all’epoca fidanzata di Jimi Hendrix, aveva la stessa teoria di Leon.
Ultima persona ad averlo visto vivo, Dannemann fu interrogata dieci giorni dopo la morte di Jimi Hendrix. Sotto giuramento presso la Westminster Coroner’s Court di Londra, dichiarò che il suicidio secondo lei non era una risposta plausibile: Jimi dormiva da ore e per prendere i farmaci avrebbe dovuto alzarsi dal letto, recarsi in cucina e prenderne altri per poi tornare a dormire. Inoltre prendeva sotto prescrizione medica dei medicinali simili, quindi sapeva esattamente come gestirli.
La struttura del libro e i punti salienti
In ogni caso purtroppo il libro non ci svela la verità sulla morte di Jimi Hendri, ma – grazie alla dettagliata ricostruzione storica degli ultimi dieci giorni della sua vita – ci aiuta a riflettere su cosa possa averlo portato a tanto o se invece esista qualche elemento che possa giustificare l’ipotesi di una cospirazione.
Approcciarsi a questo libro come a un romanzo significa rimanerne delusi. Si tratta invece di una descrizione, ora per ora, di ciò che accadde in quel settembre del 1970. Tutti gli artisti che hanno collaborato con Hendrix in quel periodo sono stati chiamati in causa, e anche parte delle sue fidanzate.
Anche se il volume può risultare a tratti poco scorrevole per la sua struttura, lascia trasparire perfettamente la fatica di Jimi, ma anche la sua voglia di pensare al futuro. Affiorano bene i rapporti con le varie persone che gli hanno orbitato intorno, ma soprattutto la follia di quell’epoca così eccentrica ed emozionante.

(Credits: Alessia Tupputi)
Sicuramente il 1970 è stato un anno incredibile. Enzo Gentile e Roberto Crema ci danno un quadro molto dettagliato di quell’epoca all’interno del libro – alla fine c’è persino un capitolo di approfondimento sulla situazione politica, economica e sociale di quell’anno in Italia. Portano anche testimonianze di persone dello spettacolo che in qualche modo sono state in contatto con Jimi in un momento storico in cui smartphone, internet e i social non esistevano.
Un’epoca in cui un artista come Jimi Hendrix poteva spostarsi da un concerto all’altro in treno, su un vagone normale, con persone normali. Un epoca in cui la morte di un nero era solo la morte di un nero. Tanto che nessuno in ospedale, fino alla fine, si accorse di avere tentato di salvare la vita a Jimi Hendrix…
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