Crisi di governo, a che punto siamo


L’Italia intera incollata alla politica nel mese di agosto: chi l’avrebbe mai detto? Miracoli della crisi di governo, aperta dalla Lega con una mozione di sfiducia al Presidente del Consiglio e non ancora risolta dopo il primo turno di consultazioni.

Per capire come siamo arrivati a questo punto e ipotizzare possibili scenari – esercizio particolarmente difficile nel pieno svolgimento delle trattative – bisogna tornare indietro di qualche mese, precisamente alla fine di maggio.

La storia finora

A minare il difficile equilibrio dell’esecutivo Lega-5 Stelle – com’era facilmente prevedibile anche prima del voto – sono state le elezioni europee, che hanno sostanzialmente capovolto i rapporti di forza tra i due alleati di governo.

Nonostante gli screzi anche gravi superati in precedenza, infatti, era solo questione di tempo prima che il partito di Matteo Salvini, forte dell’aumentato consenso, forzasse la mano per tornare a elezioni o pretendere un cambio di passo e nomi nel governo.

Da qui il battage comunicativo che ha caricato di tensione anche simbolica il voto negativo del M5S sulla Tav in Parlamento a fine luglio, additato come testimonianza di un “governo dei no” al quale diventava necessario porre termine.

Nonostante questo, le tempistiche della mozione di sfiducia nei confronti di Giuseppe Conte (9 agosto) e la conseguente apertura della crisi di governo hanno destato molte perplessità, perché complicano la strada della legge di bilancio e tagliano fuori l’Italia dalle trattative per la formazione della nuova Commissione europea.

L’azzardo di Salvini, oltre a far piombare il Paese nell’incertezza totale a poco più di un anno dal voto, rischia però di ritorcersi contro di lui. Dopo il primo turno di consultazioni condotte dal Presidente della Repubblica, infatti, è cominciato un dialogo tra PD e M5S per la formazione di un nuovo governo.

Dentro la crisi

Al di là della retorica sul “governo dei no” (la posizione del Movimento sulla Tav non è certo una novità), la scelta della Lega può essere interpretata come un tentativo di far saltare il banco traendo profitto da ogni scenario che dovesse venirsi a creare.

Se si andasse al voto, Salvini otterrebbe quei «pieni poteri» che con proprio questa formula nefasta ha chiesto agli italiani. Per la Lega, infatti, sarebbe fin troppo semplice vincere le elezioni a mani basse, con una lista unica o una rinnovata coalizione di centro-destra a trazione leghista.

Se la trattativa tra PD e M5S non andasse a buon fine, prenderebbe concretezza un rimpasto di governo in cui, per garantire la leadership a Di Maio, il Movimento dovrebbe probabilmente cedere su quei “ministri con la T” (Toninelli, Trenta e Tria) poco graditi alla Lega.

Se infine si arrivasse all’accordo PD-5S, Salvini si ritroverebbe all’opposizione gridando all’inciucio e accreditandosi come unico rappresentante della “volontà del popolo”. Con il rischio però – se il nuovo governo dovesse durare – di perdere l’onda di consenso che sta premiando i sovranisti in tutta Europa.

Calcoli politici di questo genere riguardano in ogni caso tutti gli schieramenti, in particolare 5 Stelle e PD: entrambi sono divisi sull’ipotesi di un accordo da chi si muove per consolidare la propria posizione interna, come Matteo Renzi (favorevole) e Alessandro Di Battista (contrario).

E adesso?

Dal primo turno di consultazioni, effettuato tra mercoledì 21 e giovedì 22 agosto, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è uscito visibilmente irritato, concedendo alle forze politiche non più di cinque giorni – fino a martedì 27 – per arrivare a una decisione.

Ora il pallino è in mano ai 5 Stelle, che trattano con il PD tenendo comunque aperta la porta alla Lega. Con il partito di Zingaretti l’ostacolo principale sembra essere il nome del Presidente del Consiglio, che il segretario dem chiede non sia Giuseppe Conte per evidenti ragioni di discontinuità.

Con Salvini, al contrario, il rischio per il Movimento sarebbe un nuovo arretramento di fronte all’ex alleato, che rientrerebbe dalla finestra dopo essere uscito dalla porta apparentemente indebolito, ma avendo in realtà dimostrato di poter decidere le sorti del governo.

A Sergio Mattarella spetterà il compito non facile di arrivare a una sintesi, che oltre a mediare tra interessi politici contrapposti sia in grado di garantire quel “bene del Paese” così spesso citato in questi giorni, ma rispetto al quale il Presidente della Repubblica sembra essere il solo garante.

Per due giorni almeno le notizie continueranno a rimbalzare senza sosta, tra indiscrezioni, lanci di agenzia e talk show più o meno compulsivi. Tra una maratona Mentana, qualche meme e un clic al Generatore di governi, non resta che rimanere alla finestra in attesa di scoprire come andrà a finire.

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