Space Oddity – La Stranezza Spaziale del Maggiore Tom


CRONACA

Ore 21.18 al meridiano di Greenwich, 20 luglio 1969: il modulo lunare “Aquila” posa la sua base sulla Luna; circa sei ore e mezzo più tardi è Neil Armstrong il primo uomo a posarci il piede.

Ma siamo proprio sicuri sia il primo?

In effetti qualcuno ci è già arrivato nove giorni prima, e ci tornerà tante altre volte: l’11 luglio, la Philips ha pubblicato il singolo Space Oddity / Wild Eyed Boy from Freecloud di un certo David Bowie, ventiduenne londinese, conosciuto all’anagrafe come David Robert Jones, con un disco omonimo all’attivo che non ha riscosso alcun successo, dalla bizzarra passione per i mimi, per Lindsay Kamp e per la recitazione (la sua carriera conta già, tra le altre cose, la pubblicità di un ghiacciolo…).

Il brano in realtà vide la luce per la prima volta il 13 gennaio dello stesso anno, ispirato dalla proiezione del nuovo film di Stanley Kubrick 2001 – Odissea nello Spazio. In questa prima versione il giovane David pone le basi per quella che sarà la svolta alla sua carriera, ai suoi innumerevoli personaggi, alla musica “cosmica”, al sogno spaziale e anche a quella fantascienza più connessa allo spiritualismo che da anni gemma nel sottobosco londinese.

Una prima versione quindi, a ranghi ridotti, essenziale e non dotata di quell’epica psichedelica di cui è condita la versione che tutti conosciamo, nasce in concomitanza con i lavori del film Love you Till Tuesday, cui David Bowie sta lavorando con Ken Pitt; proprio Pitt spinge David a portare avanti il progetto di Space Oddity e, terminata la prima germinale registrazione, il giovane cantautore consegna la registrazione all’amico e produttore (che rimarrà per il resto della vita entrambe le cose) Tony Visconti il quale, primo colpo di scena, bolla la canzone come insignificante e ne cede la produzione all’amico Gus Dudgeon che, con maggiore lungimiranza, se ne innamora e si mette a disposizione per le nuove registrazioni.

In questo periodo David Bowie viene introdotto dall’amica e cantautrice Lesley Duncan ad un gruppo di osservazione UFO e meditazione che si riunisce a Redington Road e, sempre in questi giorni, avviene l’incontro con una delle persone che, in un modo o nell’altro, cambierà per sempre la sua esistenza; la futura moglie (e futura ex-moglie) Angela “Angie” Barnett.

Insomma, queste intense sere di primavera sono il preludio ai lavori su Space Oddity, la Philps/ Mercury inizia a mostrare il suo interesse per il brano. David ottiene per la prima volta dopo 14 mesi un contratto discografico; è marcato stretto, la casa di produzione viene a sapere dell’allunaggio dell’Apollo 11 previsto per il 20 del mese successivo (siamo all’inizio di giugno) e Bowie con la sua squadra iniziano le registrazioni. Si decide l’aggiunta di un’orchestra ed il 20 giugno David è ai Trident Studios per registrare sotto la supervisione della Mercury nella persona di Lou Reizner.

Da qui tutto diventa storia.

Si tratta per altro di una delle primissime sessioni per un ragazzo di nome Rick Wakeman, poco più tardi carismatico tastierista degli Yes, che seguirà David Bowie sino all’album Hunky Dory, e qui nasce anche la collaborazione con l’arrangiatore d’orchestra Paul Buckmaster.

Arriviamo pertanto alla fatidica data dell’11 luglio, Space Oddity viene ufficialmente pubblicata, accompagnata da The Wild Eyed Boy From Freecloud sul lato B, ed inizia a ricevere le prime recensioni positive, prime tra tutti quelle degli addetti ai lavori della Mercury stessa (ma anche una storica stroncatura firmata niente meno che da John Peel).

Nel mentre, David porta avanti le registrazioni degli altri brani che faranno da cornice al successivo album e presenta i brani dal vivo con un primo embrione di rock band.

Il vero secondo colpo di scena arriva però nella notte del 20 luglio: David è a casa di una amica e sta seguendo l’allunaggio alla TV, il modulo Aquila si è appena poggiato sulla superficie lunare, la BBC sta trasmettendo il suo speciale Man on the Moon. Ad un tratto, aggirando il temporaneo divieto di trasmettere brani dedicati allo spazio, va Space Oddity in onda  come colonna sonora dello speciale: la storia di David Bowie è ufficialmente cominciata.

MITOLOGIA

Space Oddity, come del resto il suo autore, è uno di quei brani che fonda la sua leggenda sull’incrocio di diversi fattori: il tempismo, il contesto e l’immaginario.

Il tempismo è evidente: parlare di capsule spaziali, di astronauti che osservano la terra sulla quale non potranno tornare, di come le stelle sembrino diverse da lì, nei nove giorni che precedono l’allunaggio, è sicuramente la prima dimostrazione di quanto Bowie sia sempre stato un artista fortemente immerso nel suo tempo, sino spesso a trascenderlo.

Il contesto: la Londra del ’69 è un magmatico crogiolo di artisti che hanno ormai da tempo mollato le redini e si lasciano allegramente portare alla deriva all’insegna del tutto è possibile: tanto per fare un esempio, pochi giorni prima della registrazione ai Trident, David sta assistendo al concerto di un tale di nome Robert Fripp che sta cercando finanziamento per un progetto di rock sperimentale di nome King Crimson, per poter produrre il loro rivoluzionario album di esordio.

L’immaginario: Space Oddity coglie gli spunti di tutto lo spiritualismo fantascientifico e li condensa nella durata di una canzone. C’è l’attrazione per lo spazio sconfinato, la passione un po’ ingenua per il futuristico, ma anche la paura dell’infinito e dell’imponderabile, la nostalgia, l’alienazione. In questo il lancio di David Bowie assume i contorni della fantasia disturbata di Philip K. Dick (Major Tom non ricorda in più di un tratto il Walt Dangerfield di “Cronache del Dopobomba”, il DJ cosmico che fluttua nell’orbita terrestre senza più meta?).

Major Tom appunto, quello che si potrebbe considerare come il primo alter ego di Bowie, rappresenta quasi un’epifania del futuro per il cantautore londinese, ma del suo stesso futuro.

Il Maggiore Tom è eccitato per il distacco tanto atteso:

This is Major Tom to Ground Control

I’m stepping through the door

And I’m floating in a most peculiar way

And the stars look very different today

Le stelle sembrano così diverse viste da lassù ed il Maggiore Tom si sente comunque calmo:

Though I’m past one hundred thousand miles

I’m feeling very still

And I think my spaceship knows which way to go

Ma a questo punto si insinua qualcosa nei pensieri dell’astronauta:

Tell my wife I love her very much she knows

Ed è qui che Bowie cambia registro, nel modo più improvviso e drammatico:

Ground Control to Major Tom

Your circuit’s dead,

there’s something wrong

Can you hear me, Major Tom?

Ed ecco che l’epopea spaziale di un astronauta diventa qualcosa di diverso, diviene una predizione di quello che sarà l’esistenza successiva del cantante, una parabola che lo spingerà al successo fulmineo, al rappresentare un simulacro in movimento della diversità, un simbolo che lui stesso vivrà come un peso. E come nelle migliori parabole, il nostro David si perderà nella cocaina, a Los Angeles, riducendosi uno scheletro ambulante in preda alla follia esoterica.

La parabola di Bowie proseguirà tra risalite e inciampi, Berlino e ancora l’America, tra personaggi sempre complessi e contradditori, alla ricerca di un ritorno al vero, che arriverà solo anni dopo.

Nell’altro immenso capolavoro del 1980, Ashes to Ashes, il Maggiore Tom ricompare e viene osservato da un David Bowie diverso, che ha attraversato l’inferno e ne è (forse) uscito, mentre non ne è uscito il povero esule protagonista di Space Oddity.

Ashes to ashes, funk to funky
We know Major Tom’s
a junkie
Strung out in heaven’s high
Hitting an all-time low

Bowie è inseguito dalle sue ombre, che osserva sì da lontano, ma da cui si sente comunque inseguito:

My mother said
to get things done
You’d better not mess
with Major Tom

Il maggiore in realtà comparirà addirittura (il riferimento sembra piuttosto palese), nel penultimo videoclip dell’artista, la dolente ed oscura Blackstar, testamento colmo di angoscia ambientato in un qualche pianeta (potrebbe essere anche la stessa terra in un altro tempo) in cui il teschio di un astronauta diviene oggetto di un culto tribale pseudo-dionisiaco.

L’uomo venuto in esplorazione dallo spazio e da un altro tempo, di cui diventa un simulacro.

Ecco, ancora una volta – e purtroppo sarà l’ultima –  il Maggiore Tom incrociare la strada del suo autore…

Siamo tornati al 2019, David Bowie ci ha lasciati da più di tre anni ed ogni espediente è utile per ricordare la sua arte; il giorno del 50esimo anniversario dello sbarco sulla luna l’epopea meravigliosa di Space Oddity e del Maggiore Tom tornano nei nostri cuori, e nelle nostre orecchie, tramite l’iniziativa Space Oddity x Unlock The Moon Experience della Parlophone che lancia  il sito web www.spaceoddity50.com che permetterà di ascoltare, puntando la fotocamere del telefono verso la luna, il nuovo mix 2019 del brano del 1969 a cura di Tony Visconti (lo stesso che aveva accantonato il brano nel 1969 bollandolo come poco interessante…).

La sera del 20 luglio poi, in occasione dello speciale Apollo 11: A 50th Anniversary Celebration—One Small Step, One Giant Leap, verrà mandato in onda il nuovo videoclip del brano, oltre alla ri-pubblicazione del singolo in versione mono, come nel 1969.

Insomma, l’epopea cosmica del maggiore Tom, ma soprattutto l’epica vicenda artistica del suo creatore, hanno con tutta evidenza ancora bisogno di tornare nei nostri cuori alla prima occasione utile.

Il tutto con la sensazione di essere osservati dall’alto da un tizio che “galleggia nel suo barattolo di latta”

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