Il grande quadro della prossima Serie A
Il quadro generale
Il calcio è come un quadro: tantissime tonalità, dalle più sgargianti alle più cupe, sparse in modo a prima vista casuale su un supporto di legno datato, che ha ormai alle spalle tantissime primavere.
Il pittore ha un compito fondamentale, che sembra facile ai più: cercare, in un tempo ragionevole e in linea con l’ordine del committente, di assemblare, fondere ed amalgamare i pigmenti di cui dispone.
Possono essere i colori che la mesticheria di uno sperduto paesino di campagna dispone nel suo limitato deposito, oppure essere tonalità pregiate o esotiche, provenienti dall’altra parte dell’emisfero.
Possono essere economici, che con qualche moneta si portano a casa, oppure estremamente rari e costosi, che da soli possono comprare l’intera produzione di quadri dell’artista: sta tutto in base all’ordine del committente, o quasi.
Anche l’abilità del pittore stesso non è da meno: la storia ci insegna che solo pochi eletti, dotati di grandi qualità espressive e tecniche, hanno potuto prestare i loro servigi per Re e Imperatori, Papi e Nobili famiglie.
Ma oltre ai colori e all’artista, gli strumenti hanno un ruolo preponderante.
Una vecchia pubblicità recitava a grandi linee così: “per dipingere una parete grande, non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello”.
E nulla è più vero: si possono usare i migliori colori, o i migliori strumenti, o essere dei geni assoluti, dotati di un talento pittoreo straordinario, ma se manca uno di questi elementi non è automatico un risultato di eccellenza assoluta.

Partita di Calcio – Carlo Carrà (olio su tela, 90×70 cm – 1934) Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma
La metafora calcistica
Ed il calcio è riassumibile proprio così: la società calcistica è il pittore, colei che decide colori e strumenti, in modo da assemblare il quadro; i giocatori sono i colori, alcuni pregiati e altri meno, tutti però guidati dallo stesso scopo, rendere il quadro il più bello possibile; gli strumenti invece sono l’allenatore e il suo staff, coloro che hanno come obiettivo quello di permettere alla società di raggiungere i suoi obiettivi di gloria, ma al tempo stesso di far brillare i propri giocatori, al massimo delle loro possibilità.
Nelle righe che seguono, gli strumenti saranno i protagonisti delle nostre storie: la prima storia parla di eccellenza e ricerca di sempre maggiore prestigio; la seconda parla di redenzione e di tornare al antico splendore; la terza invece parla di una nuova rinascita, di una fenice che risorge dalle ceneri degli inferi.
Storia di eccellenza
La prima storia parla della Vecchia Signora.
La stagione appena trascorsa ha visto l’ennesimo trionfo della Juventus nel campionato Italiano: una vittoria schiacciante, che ha denotato come il gap con le inseguitrici sia ancora netto.
Ma sebbene i successi nazionali siano sempre motivo di grande orgoglio, l’unico vero obiettivo, che ormai da anni causa incubi alla dirigenza targata Andrea Agnelli è la coppa dalle Grandi Orecchie.
Non è bastato l’innesto di uno dei due giocatori più forti della nostra generazione, quel CR7 che aveva vinto da protagonista le ultime 3 Champions e che ha portato la sua nazionale sulle spalle alla conquista dell’Europeo e, da poco, anche della prima edizione di Nations League.
Occorreva un cambio netto, un cambio di rotta: sebbene i successi, la sensazione è che servisse un cambio di strumenti, usurati ormai da 5 anni di vittorie; la società avrà visto una sorta di calo nella grinta e nella foga agonistica che invece erano state trainanti nelle prime due stagioni.
La scelta del cambio del CT Allegri, notizia già nota prima della fine della scorsa stagione, è ricaduta dopo diverse settimane di trattative su una vecchia conoscenza del calcio nostrano.
In bianconero arriva infatti Maurizio Sarri, liberato dal Chelsea di Roman Abramovich, dopo aver trionfato in Europa League nella sfida tutta inglese con l’Arsenal.
Ieri alla presentazione ufficiale, l’allenatore campano non ha abbandonato la sua schiettezza, che lo ha sempre caratterizzato e contraddistinto.
Ha parlato del suo passato a Napoli, e di come per 3 anni avesse rincorso l’obiettivo di battere la Juventus, senza riuscirci: dice di averci messo il 110%, lo stesso impegno che metterà nel vestire i suoi nuovi colori, nell’essere lo strumento adatto per rendere il quadro bianconero il più prezioso mai visto.
Storia di redenzione
La seconda storia parla invece dell’Inter.
Dopo una stagione travagliata ed una Champions League agguantata un po’ al fotofinish, la dirigenza asiatica che ormai da qualche stagione tiene le redini dell’Internazionale di Milano, decide che è l’ora di dare una scossa.
L’effetto Spalletti, che aveva inizialmente gasato la tifoseria, con ottime partite e risultati che arrivavano copiosi, si è velocemente affievolito, fino a trasformarsi nell’esatto opposto.
Lo spogliatoio stesso è entrato in subbuglio, con il neo-capitano Icardi relegato ai margini del gruppo: per buona parte del girone di ritorno sparisce, non presentandosi neanche agli allenamenti.
Viene poi aizzato dalla moglie/agente Wanda Nara, che nei salotti calcistici decide di attaccare la società per un accordo contrattuale difficile da soddisfare e l’allenatore per non aver dato il giusto peso a Maurito.
Sebbene la cosa sembrasse assurda fin dall’inizio, a quanto pare sulle colpe di Spalletti era condivisa anche dalla società.
Al suo posto quindi, pochi giorni dopo il termine del campionato, il presidente Zhang ha trovato un accordo fino al 2022 con un’altra conoscenza del calcio italiano: Antonio Conte.
Il suo palmares parla per lui, e le esperienze come allenatore di Juventus, Nazionale Italiana e Chelsea lo rendono un profilo adatto ad una società che ha grandi progetti come l’Inter.
Tuttavia la storia di Antonio Conte, dopo essere approdato alla corte di Abramovich, non ha preso la svolta sperata: dopo una prima stagione trionfale, con la vittoria della Premier, l’avventura dell’allenatore di Lecce si è eclissata velocemente la stagione successiva, sostituito da quel Sarri che sarà suo rivale in campionato.
Conte ha l’occasione di redimersi, di dimostrare che, come ha già fatto in passato con Juve e Nazionale, è lui il top player che serve per vincere in Italia e per dipingere un quadro vittorioso anche in Europa a 10 anni dal Triplete.
Storia di rinascita
L’ultima storia invece parla del Diavolo.
In tempi passati, non troppo lontani, era forte e da molti ritenuto imbattibile.
Ma quei momenti, caratterizzati da innumerevoli vittorie e trofei sono ormai da anni un lontano e pallido ricordo nella mente dei suoi seguaci.
Il Diavolo ormai non incute più il timore reverenziale di 20 anni fa, quando in Italia e in Europa nessuno poteva ostacolarlo.
Un cambio di società turbolento, svariati allenatori susseguitisi alla guida di una squadra formata da giocatori mediocri o ormai senza obiettivi: se si aggiungono i tanti milioni spesi per veri e propri buchi nell’acqua, il quadro che si presenta ha l’aspetto di uno scarabocchio di un bambino, rispetto alla Cappella Sistina del passato.
Ci sono volute la grinta di un guerriero e un pistolero per riportare vicinissimo ai fasti del passato il Milan: la tenacia e la forza di Gennaro Gattuso, sommati ai gol del giovane talento polacco Piatek, hanno infatti fatto sfiorare il miracolo sportivo ad una squadra che, fino a Gennaio, mancava di spirito combattivo e di identità.
Anche per l’altra faccia della Milano calcistica è giunto il momento di cambiare: ora toccherà a Marco Giampaolo essere lo strumento per il nuovo Milan.
Sicuramente non un nome altisonante, rispetto ai protagonisti delle nostre storie: tuttavia l’anno appena trascorso ha fatto vedere il suo potenziale alla Sampdoria, portando un rinato Quagliarella in Nazionale e ad aggiudicarsi la classifica di Capocannoniere.
Un nuovo inizio, sia per lui che per il Milan: una rinascita per tornare a far brillare con colori sgargianti un quadro da troppo tempo cupo.
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