Pretty Nice Girl – IX– Risvegli


La mattina dopo mi sveglio presto e, prima ancora di aprire gli occhi, allungo il braccio per sincerarmi di non aver immaginato tutto. Non ho sognato: Colin è sdraiato di fianco a me e dorme beatamente. Sembra un bambino.

Adoro la domenica: è il giorno più bello della settimana (dopo il sabato, ovviamente) e oggi c’è il sole, l’aria è tiepida…quasi non sembra novembre!

Quando Colin si sveglia, mangiamo cereali nella mia cucina. Se ripenso a ieri sera, non riesco a non sorridere: è stato tutto magnifico. E ora, fare colazione qui insieme…

Chissà come la prenderanno gli altri. Emma disapproverà, ma, considerato quello che è successo l’altro giorno, la sua storia con il gallerista e tutto il resto, voglio darle fiducia.

Zoe si attribuirà parte del merito: suo e della seduta in palestra. Rebecca mi prenderà in giro…ma nessuno rimarrà insensibile al fascino di Colin. E’ talmente perfetto. Penso di non aver mai avuto un ragazzo così bello. Non che Colin sia il mio ragazzo. Almeno non ufficialmente…ancora!

Oddio, davvero non è il mio ragazzo? Certo, non posso chiederglielo…insomma che figura, non ho mica quattordici anni. Però…

E poi, dettaglio non insignificante, domani parte per gli Stati Uniti. Questo dettaglio l’ho momentaneamente accantonato ma non è il caso di fingere che la cosa non rappresenti un ostacolo per una eventuale relazione. Specialmente all’inizio.

Quindi, decido che non potrò presentarlo ai ragazzi come il mio fidanzato ancora per molto tempo. Ammesso che possa mai considerarlo il mio fidanzato, intendo. E presentarlo ai ragazzi, è ovvio…

“Brava!”

Mi riscuoto dal flusso di pensieri che mi ha inghiottita. Colin, seduto davanti a me, mi fissa divertito. La sua tazza è vuota.

“A forza di rimuginare hai fatto rammollire tutti i cereali.”

Ho fatto rammollire…abbasso lo sguardo e nella mia tazza, in effetti, si è creata una melma viscida di ciambelline d’avena rigonfie.

“Ops…” Ridacchio e vado a svuotare la ciotola nel cestino.

“Spero che tu non stessi pensando a che errore tremendo ha commesso a lasciarmi salire ieri sera.” Colin si alza e mi abbraccia da dietro, mentre sistemo le tazze nel lavandino. Mi giro verso di lui e lo bacio timidamente: sto pensando a un sacco di cose, ma la verità è che non conosco per niente quest’uomo. In fondo, sono abituata a circondarmi di persone che ho l’impressione di frequentare da sempre e, a parte i rari colpi di testa di Bradley, mi sento abbastanza al sicuro da reazioni inaspettate o comportamenti rischiosamente imprevedibili dei miei amici.

Con Colin mi sento scoperta e non sono sicura che la cosa mi piaccia. Anzi, non mi piace per niente.

Colin mi guida verso il salotto e ci accoccoliamo sul divano.

“Sono molto contenta di averti invitato a salire, ieri sera.” Gli sorrido e tiro il plaid a coprirci i piedi. “Questa notte sono stata…beh, molto bene, insomma!” Ecco che le guance mi diventano due pomodori. “Mi sono soltanto ricordata…”

“Che domani parto per New York” Conclude lui. “Oh, Phi, lo so è davvero un peccato però…te l’ho detto, se tu non hai fretta, se ti va di aspettare qualche settimana…E poi, tornerò nei week end…”

“Ma non si può fare il pendolare da New York tutte le settimane!” Ribatto.

“Lo so ma, ehi, New York è bellissima nel periodo natalizio e magari potresti venire tu per qualche giorno…” Non so se gioire o preoccuparmi ma non è il caso di rovinarci la mattinata con queste discussioni, per il momento mi va bene di stare in pigiama sul mio comodissimo insieme a lui.

“Non importa, vedremo come andrà…sono comunque contenta di averti qui, ora…” E dicendo ciò mi sporgo a baciarlo. Lui stringe la presa e mi solleva sistemandomi ben distesa sopra di sé.

Domani Colin prenderà un aereo che lo porterà a miglia e miglia di distanza chissà per quanto tempo, ma questa domenica è ancora lunga, penso, mentre uno dei miei preziosi cuscini di gobelin finisce per terra.

 

Il giovedì della settimana successiva c’è il field meeting con tutta la rete di vendita della Global. Robert ha dovuto rimandare la partenza per Bonn e, come al solito in fibrillazione, non perde occasione per punzecchiare me e Max. La sera del mercoledì siamo tutti impegnati in un disperato, tardivo assemblaggio delle cartelline con la presentazione di Jack da distribuire ai venditori. La copisteria che avrebbe dovuto occuparsene ci ha graziosamente informati a 2 ore dalla consegna che, a causa di una non meglio precisata serie di catastrofi, le cartelline incriminate non sarebbero state pronte prima di domani a pranzo. Sfortunatamente, però, il meeting inizia alle 9 e Jack è il primo a dover parlare, quindi io Max e Josh ci ritroviamo letteralmente incartati tra fotocopie, raccoglitori, spillatrici e simili. E sono quasi le otto di sera.

Quando finalmente riesco ad arrivare a casa le dieci sono passate da un pezzo ed io sono distrutta, oltre che impolverata e lercia di toner. In segreteria trovo un messaggio di Zoe che dice di dovermi assolutamente riferire le quote promozionali della palestra. Come no? Con tutto il tempo libero che ho a disposizione…Non posso certo iscrivermi in quel costosissimo club e andarci solo il sabato.

Domani, se esco viva dal field meeting, prometto di richiamarla. Mi preparo una cena ultrarapida e mi butto sotto la doccia e in meno di mezz’ora sono a letto, a dormire del sonno dei giusti. Prima di addormentarmi ho appena il tempo di pensare che Colin da quando è partito non mi ha ancora chiamata e che Bradley è letteralmente sparito da sabato sera. Ma sono pensieri fugaci e in pochi istanti sprofondo nell’oblio.

Il meeting è il solito tour de force e per tutta la giornata non faccio altro che correre di qua e di là, su dei tacchi piuttosto scomodi, a raccattare materiale, distribuire cartelline, scovare introvabili videoproiettori. E poi, ovviamente, c’è la parte delle pubbliche relazioni con il pranzo e le chiacchiere aberranti con il personale di zona dell’azienda. Non si tratta di snobismo, ma il venditore medio della Global è un individuo sulla trentina, ignorante, arrogante e con un discutibile senso estetico, che cova la disperata certezza di stare facendo carriera nel posto migliore e più selettivo del pianeta e di essere destinato a diventare amministratore delegato nel giro di qualche mese.

Oltre a tutto questo, ogni volta che parla con un esponente del sesso opposto, assume un atteggiamento da scapolo ambito, alla Jane Austen, e sa individuare sempre il tono più sgradevole per discettare di qualsiasi argomento. In genere, poi, l’unico argomento che trova è la quota di fatturato della sua zona dell’ultimo trimestre.

Come assistente di Robert, sono spesso costretta ad intrattenere, con questi geni del marketing, improbabili conversazione telefoniche, ma ogni volta, quando me li trovo davanti, tiro un sospiro di sollievo all’idea di essere solo una misera stagista e non una dipendente a tutti gli effetti: è una magra consolazione, ma mi fa sentire meno angosciata all’idea di essere ancora una precaria, la consapevolezza che, dopotutto, non sono legata alla Global per la vita.

Mentre con Max sistemo le cartelline sui tavoli per la sessione pomeridiana, dalla porta dell’ampia sala riunioni fa capolino Jack. Ha fatto la sua presentazione stamattina, per la verità credevo che fosse già andato via. Invece è qui e viene verso di noi.

“Ehm…ragazzi, volevo ringraziarvi per tutto quello che state facendo per il field meeting.” Io e Max ci scambiamo un’occhiata perplessa.

“Ma figurati, Jack, è il nostro lavoro dopotutto…” Max arrossisce mentre parla, deve essere perché Jack non ci rivolge spesso la parola intenzionalmente e, anche se Max non me lo confesserebbe mai apertamente, io ho idea che lui coltivi la segreta ambizione di entrare definitivamente nell’organico della Global e penso anche che diventare un venditore per lui rappresenti un obiettivo. Non posso condividere quello che prova ma un po’ lo capisco: ha due anni più di me e vive ancora con i suoi, per di più fuori città, per lui questa rappresenta una vera speranza di riscatto. Purtroppo né Robert né, suo malgrado, Jack sembrano volerlo incoraggiare in alcun modo.

“No, sul serio: vi state impegnando molto e per tutti noi questo conta” prosegue Jack e Max continua a sorridergli, sempre più rosso.

“Beh, comunque io sto tornando in ufficio, quindi siccome porto via la macchina, ho detto a Jack che uno di voi due torna con me.”

All’improvviso, mi si drizzano le antenne: tornare con Jack significa non dover aspettare qui almeno altre due noiosissime ore di discussioni, risparmiarsi il viaggio in macchina con Robert e, forse, riuscire ad arrivare a casa ad un’ora decente, una volta tanto. Senza neanche pensarci, mollo le cartelline che ho ancora in mano, tra le braccia già cariche di Max e mi dirigo svelta verso la porta: “Sono pronta, prendo la giacc…” E m’interrompo: cavolo, non ho nemmeno chiesto a Max se volesse andare lui. Mi giro titubante e vedo Max immobile seminascosto dalla pila di cartelline. Jack, ha un’aria piuttosto divertita. Spero non si faccia strane idee per il mio entusiasmo.

“Ehm, scusami Max, non te l’ho nemmeno chiesto…vuoi…vuoi andare tu?”

Una nuova ondata di rossore investe le guance di Max che inizia ad assomigliare ad un cartone animato: è troppo timido ‘sto ragazzo.

Stavolta però la figuraccia fa esitare anche me.

“No, no…tranquilla, davvero: preferisco rimanere…” Si affretta a dire Max con aria poco convinta. Però a questo punto il danno è fatto e Jack esce dalla sala riunioni dicendomi che ci si vede tra un quarto d’ora al parcheggio. Quando è fuori, provo a scusarmi con Max in modo più convincente ma mi rendo conto che ignorarlo completamente, per di più davanti al capo, non è stata una cosa carina.

Questo è uno dei difetti che devo assolutamente cercare di risolvere: in certi momenti passo sopra le persone come una ruspa e non me ne rendo conto. Anche con Bradley, qualche volta, devo averlo fatto.

Prendo la giacca e raggiungo la macchina di Jack nel parcheggio. Lui è già dentro e sta fumando. Appena monto, grazie a dio, spegne la sigaretta. Il field meeting lo organizziamo in un centro convegni un po’ fuori città, quindi c’è quasi un’ora di macchina per tornare al quartier generale della Global. Jack avrà sicuramente molto lavoro da sbrigare, anche perché non dice una parola e rimugina su chissà cosa per quasi tutto il viaggio, ma io ho già deciso che appena arriviamo recupero la mia macchina e me ne vado a casa. Tanto oggi Robert non chiama, ne sono abbastanza sicura. E poi posso sempre inventarmi di essere stata trattenuta in amministrazione. Mentre me ne sto lì seduta che gongolo, Jack sembra risvegliarsi dalla sua trance di mutismo.

“E così…ti stai trovando bene?”

Mi volto di scatto verso di lui: “Sì…sì, certo. È una gran bella esperienza!”

Cerco di sembrare almeno un po’ entusiasta e, a quanto pare, lui se la beve.

“Bene. Ora…quanti mesi sono che stai con noi?”

“Quasi sette. All’inizio di marzo mi scade il contratto, infatti…” Ah, ho capito, vuole parlarmi del mio luminoso futuro in azienda. Forse quella della macchina è stata tutta una scusa per poter stare da soli e affrontare una seria discussione sulle mie prospettive professionali…Mi raddrizzo sul sedile e cerco di darmi un tono. Finalmente hanno capito che sono troppo brillante per marcire al post vendita con Robert, forse non mi lasceranno nemmeno concludere il periodo di stage, forse vogliono assegnarmi un compito un po’ più gratificante, un lavoro serio…non mi sembra vero! Devo assolutamente sembrare intelligente. Devo sembrare sveglia, positiva, decisa, attaccata al marchio. E devo sembrare competente, devo a tutti i costi farmi venire in mente una battuta brillante, una cosa alla Josh, che denoti le mie vastissime conoscenze di finanza e mercati, di andamenti e di opportunità per la Global…deve sembrare che ne seguo le vicende, che leggo l’inserto economico del giornale. Oddio, è la mia occasione! È proprio vero: quando meno te l’aspetti…quando meno te l’aspetti!

Mi giro di nuovo verso Jack e devo avere lo sguardo un tantino allucinato perché lui tossicchia e abbassa un po’ il vetro. Forse è imbarazzato, forse è la prima volta che deve affrontare un discorso tanto serio con una risorsa giovane. Mamma mia, ma allora c’è in ballo qualcosa di grosso…

“E…della presentazione di questa mattina, cosa ti è sembrato?”

“Della tua?”

“Sì, della mia.”

Eccoci: in gamba, Ophelia, mi raccomando!

“L’ho trovata illuminante!”

Alza le sopracciglia, l’ho colpito, sì! Però, devo terere un profilo moderato.

“I dati che hai presentato erano molto dettagliati e le tue proiezioni saranno utilissime per allineare gli investimenti in pubblicità e le altre iniziative promozionali a quelli che sono i nostri obiettivi di vendita. Oltre tutto, i grafici con gli andamenti dell’ultimo quinquennio e quelli con il trend atteso serviranno ai seller per raddrizzare il tiro”. E qui viene il pezzo forte, la considerazione da vero genio degli affari, da donna che sa: “Hai fatto capire chiaramente che certe decisioni degli ultimi anni, così come certi comportamenti rinunciatari hanno rischiato di dare un colpo molto duro alla divisione post vendita. Credo proprio che quelli che dovevano intendere abbiano registrato l’antifona!” E sfodero un sorrisetto da intrigo istituzionale che mi viene una meraviglia.

Per un momento Jack non dice una parola, credo proprio di aver fatto centro. Poi, si volta a guardarmi e sembra che sia la prima volta che mi mette veramente a fuoco: bravo ragazzo, hai capito quanto sono sprecata per quel bavoso di Robert?!

“Oh, sono contento che tu l’abbia trovata tanto interessante, ma…volevo sapere se io ti ero sembrato nervoso. Sai, stamattina c’era anche il Presidente, stanotte ho dormito poco e…” Ma dove vuole arrivare?

“No, no. Sei stato perfetto: sicuro, incisivo…un vero affabulatore!”

Mi guarda interrogativo: saprà cosa vuol dire affabulatore, no?!

“Insomma, ok?”

“Sì…certo: sei stato assolutamente ok! Non c’è ombra di dubbio.”

OK.

“Bene” E sembra rilassarsi. “Ti spiace se mi accendo una sigaretta?”

“No, no: fuma pure”. Che schifo, spero che almeno abbassi il vetro.

Aspira un paio di boccate e per un po’ non parla. Ehi, e allora? E il mio colloquio?!

“Hai molto da fare in ufficio?” Butto lì dopo qualche minuto, lui sembra davvero distratto adesso.

“Cosa? Mmmm, sì, ho un gran casino…” All’improvviso mi squilla il cellulare, cavolo, proprio mentre si decide del mio futuro alla Global.

“Scusa” Gli sorrido e inizio a frugare nella borsa. Al decimo perforante squillo, riesco finalmente a mettere le mani sul telefono. Sul display appare uno strano numero, vuoi vedere che…

“Pronto?”

“Phi!” Ho un tuffo al cuore: finalmente!

“Colin! Come stai? Dove sei?!” Strillo. Poi mi rendo conto che così il mio personaggio di gelida donna d’affari rischia di perdere credibilità e cerco di abbassare un po’ il tono di voce. “Sono molto contenta di sentirti”. Sono al settimo cielo, cavolo.

“Oh, Phi, mi dispiace di non averti chiamata prima, ma non hai idea: qui è un delirio, si lavora giorno e notte, figurati che mangiamo in sala riunioni. Sono pazzi questi americani…”

“Tranquillo, non c’è problema, ma…com’è lì? Il cliente? Ti diverti?”

“Il cliente è davvero un pezzo grosso, pensa che io, in cinque giorni l’ho visto solo una volta. Noi lavoriamo con un pool di avvocati locali: praticamente dei Robocop in abito gessato. È un caso estremamente interessante, però, tempo per divertirsi ce n’è poco. Tu come stai?”

“Bene, io…sto bene. Oddio, le solite cose, qui la storia è sempre quella…Non sai quanto ti invidio! Senti, ma…quanto ti fermi?”

“Penso che non potrò tornare prima di Natale, quindi immagino di venire a casa direttamente per le feste, mi prenderò due o tre giorni…c’è sempre la festa dei miei nel Derbyshire, te la ricordi no?”

“Sì, me la ricordo” Rido “Beh, allora non ti stancare troppo e chiamami una volta ogni tanto”

“Certo che ti chiamo…e, Ophelia?”

“Sì?”

“Mi manchi.”

Divento paonazza…che faccio, che faccio? Accidenti a Jack! Mi giro verso il finestrino.

“Mi manchi anche tu.” Sussurro. E attacco.

Ecco, ho appena buttato alle ortiche la mia immagine di rampante donna in carriera. Cerco di riassumere un colorito dignitoso e mi siedo di nuovo dritta.

Jack non dice una parola. Oh, in fondo, chissenefrega! Sono così contenta che Colin mi abbia chiamato…e ha anche detto che gli manco. Ok, i tempi sono maturi: posso riunire le ragazze e spiattellare tutto…

“Era il tuo fidanzato?” Jack ha la solita aria distratta. Io rimango un po’ sorpresa: come si permette di ficcare il naso? Ha deciso di non propormi più il favoloso lavoro che mi spetta di diritto, e va bene, ma come osa impicciarsi nella mia vita e nelle mie telefonate private?! Non rispondo e lui si allunga verso il pacchetto delle sigarette nel portaoggetti della sua auto aziendale.

“Scusa, non volevo essere indiscreto…”

“Ma no, figurati. Beh, non è che sia proprio il mio fidanzato…è un ragazzo che frequento”

“Ed è partito?”

Aridanga!

“Sì, è a New York per lavoro…”

“Ah, e di cosa si occupa?” Inizio a chiedermi se tutte queste domande abbiano a che fare con lo strepitoso incarico di responsabilità per la Global che dovrebbe offrirmi.

“È un avvocato famoso.”

Oddio, magari il famoso potevo risparmiarmelo.

Lui però si limita ad annuire e il resto del viaggio lo facciamo in silenzio; dopo poco siamo nel parcheggio della Global. In ufficio, controllo rapidamente la posta e faccio un paio di telefonate. La prima è per Zoe.

“Ah Frau Schneider! Che piacere. Ha chiamato per quei prezzi? Ho da proporle delle tariffe interessanti, però dovrei richiamarla…” Poi abbassa la voce “C’è una processione di vecchi bacucchi, clienti di Jason – il suo capo – che stanno letteralmente svaligiando la galleria!”

“Ok ma non ti ho chiamato per la palestra: ho delle grosse novità da raccontare a te Becky ed Emma. Avete programmi per stasera?”

“Chiama Rebecca, stamattina farneticava qualcosa su una certa festa esclusivissima. Per Emma non so che dirti…Ti devo lasciare, a dopo” E attacca.

Ok, Zoe ci sta. Chiamo Rebecca all’atelier.

“Ehilà Phi…Come dici? Addirittura delle novità?! Mmmmm, allora succeeeede qualcosa di gustoso nella tua vita!” E ride “Senti, stasera c’è l’inaugurazione del nuovo flagship store di Lizzy Harris. Non sono ancora sicura al cento per cento, ma forse conosco un tipo delle pubbliche relazioni che ci può imbucare. Potremmo andare lì e farci le nostre confidenze piccanti davanti ad un glamourosissimo cocktail gratuito, che te ne pare? Magari finiamo pure su qualche rivista di gossip e moda!”

Di norma, in mezzo alla settimana non mi concedo serate folli ma sono appena le 16.30 e io sto per andarmene a casa…

“Ok, Bex, ci vediamo da voi alle otto?”

“Ok, alla grande! Un bacio”.

D’accordo, terza telefonata: ma porca miseria, Emma, possibile che il tuo cellulare sia sempre irraggiungibile?! Vabbè vorrà dire che riprovo più tardi: ora raccatto armi e bagagli e volo a casa…magari faccio anche in tempo a depilarmi!

Mentre guido ripenso alla conversazione surreale avuta con Jack: mi pare evidente che non volesse affatto passare in rassegna le varie possibilità di crescita che la Global sente di volermi offrire in questo momento. Piuttosto, che stupida io a credere una cosa del genere! Ma allora tutte quelle domande cretine? Mah, più conosco Jack, più mi convinco che quel ragazzo non sia normale.

E forse per la Global va benissimo così.

 

 

Photo by elizabeth lies on Unsplash

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