Pretty Nice Girl – VIII – L’Appuntamento


La notte faccio una serie di incubi in uno dei quali, Emma mi affida due gemelli che diventano sempre più piccoli fino a trasformarsi in due aspirine e io finisco per perderli. Il sabato mattina mi sveglio presto, stanca e nervosa e neanche la prospettiva del teatro riesce a tirarmi su. Mi infilo la solita tuta-da-spesa e vado al supermercato: ho ancora un sacco di roba avanzata dalla sortita della settimana scorsa ma ho bisogno di un po’ di sana ruotine dopo la serata di ieri.

Mentre gongolo nell’assorta contemplazione di una pila di confezioni di bastoncini di formaggio da cuocere al microonde, ho l’impressione di captare una risata familiare proveniente dalla corsia dei cibi in scatola. Occhieggio intorno e non vedo nessuno, allora abbasso la testa per cercare di guardare oltre lo scaffale alle mie spalle e in questa posa da tartaruga delle nevi mi sento chiamare:

“Trish…che sorpresa! Ehm…cosa stai cercando?”

Alzo la testa di scatto e sbatto contro il bordo della mensola.

“Porc…” Mi piego in avanti premendo le mani sulla sommità del cranio, le confezioni di bastoncini di formaggio si sparpagliano ai miei piedi e Bradley, in piedi di fronte a me, si china per raccoglierle.

“Non dovresti mangiarla questa robaccia: sai cosa ci mettono dentro?! Oltre al fatto che è piena di grassi…”

Accanto a lui, Penelope sorride; cioè, chinata come sono non riesco a vederle la faccia ma sono sicura che da brava modella-ballerina stia deridendo le mie debolezze gastronomico-industriali.

Oltre che la mia ridicola goffaggine.

Cerco di raddrizzarmi alla meglio e biascico un: “Ciao ragazzi, come mai da queste parti?”

A questo punto Penelope parla, credo di non aver mai sentito la sua voce prima, se si escludono le due insulse parole che ci siamo scambiate la sera che l’ho conosciuta, alla libreria.

“Bradley me prepara el Timbalo” Sorride ed è davvero carina “Siamo venuti a fare la espesa” E così dicendo infila una manina sotto il braccio di Bradley e lui gliela stringe.

Ho la nausea.

“Ah, il timballo…è buonissimo, sei fortunata, Penelope” Mi sforzo di apparire cordiale ma, non capisco perché, vorrei saltare sullo scaffale più alto del reparto e bombardarli con bastoncini di formaggio in offerta.

“È un po’ che non ci sentiamo.” Brad sembra leggermente a disagio. Almeno te ne sei accorto, razza di fedifrago, penso tra me.

“Senti, il fratello di Pen è in città e pensavamo di organizzargli qualcosa di carino…non so, portarlo in qualche locale, andare un po’ in giro…ti andrebbe di venire?”

“Oh, sì Ofelia…sono sicura che mio fratello te piacerebbe muchissimo” Esclama Pen.

E allora? Cosa stanno cercando di fare? Non vorranno mica combinarmi un appuntamento?!

Sicuramente sbaglio ma mi sento un po’umiliata: cosa si è messo in testa Bradley? Che non posso trovarmi un ragazzo con cui uscire senza che lui e la sua preziosa espagnola intercedano per me?!

“Grazie ragazzi, ma per la verità questa sera ho già un impegno” Li guardo compiaciuta e aggiungo “Vado all’Opera…”

“Ah, che bello!” Esplode Penelope.

“Non sapevo ti piacesse l’Opera…” Bradley mi rivolge un’occhiata storta.

“No, a te non piace l’Opera: io la adoro” Forse calco un po’ troppo l’adoro perché lui non sembra convinto. O forse c’è solo rimasto male che ho un appuntamento galante e che vivrò una serata magica, indossando uno strepitoso vestito da sera rosso fuoco ed un collier di diamanti da togliere il fiato. Va bene, magari non sarà proprio così, ma di certo non passerò la serata a mangiare una torta riciclata e a guardare televendite alle tv mentre lui se la spassa con la sua nuova amichetta.

“Bene, divertiti allora” Dice Brad, poi si rivolge a Penelope: “Noi faremmo meglio ad andare, dobbiamo ancora passare a prendere la carne”.

“OK. Senti Ofelia, mio fratello si ferma fino a Natale: magari la serata speciale possiamo organizzarla per venerdì prossimo…te va?” Dio, perché deve fare la gentile a tutti i costi?

“Mah, magari ci sentiamo in settimana…”

“No, no, dobbiamo assolutamente stabilire ora: mio fratello sa preparare dei piatti spagnoli deliziosissimi ma bisogna organizzare per tiempo. Diglielo anche tu, Bradley…”

“Può decidere da sola, Pen…” Ma sentitelo!

“Ok, allora, accetto volentieri Penelope: a venerdì”. Beccati questa, villano!

“Bene, buon teatro per stasera. Ciao.” E si allontanano.

 

Mentre torno a casa ripenso all’atteggiamento mio e di Bradley: impacciati, suscettibili, è difficile da capire se penso che fino a poco più di 10 giorni fa rappresentavamo una vera e propria costante l’uno per l’altra. Siamo migliori amici da secoli, abbiamo sempre parlato di tutto, siamo stati due punti di riferimento per le nostre vite. È assurdo cambiare così d’improvviso, come se niente fosse. E il bello è che ancora non riesco a capire come siamo potuti arrivare a questo punto. La nostra amicizia non si è mai indebolita tanto prima, nonostante le reciproche storie.

Quando arrivo a casa trovo, davanti alla porta, un piccolo bouquet di lillà e mughetti con un bigliettino. È di Colin – dio, quanto è raffinato – dice che mi passerà a prendere alle 19.30 e, soprattutto, di non cenare. Wow, quindi dopo il teatro la serata proseguirà…

Infilo una confezione di bastoncini di formaggio nel microonde e lavo un paio di carote. Mentre aspetto che la filante morbidezza degli stick raggiunga il grado di gommosità ideale, inizio a riflettere su cosa mettermi per l’opera. Devo trovare qualcosa di elegante, ma non troppo sfarzoso perché non credo stiamo andando a vedere una prima. Cavolo, se non avessi sprecato la gonna asimmetrica la settimana scorsa…Mentre mi accomodo davanti al piatto fumante, però, mi investe, vigliaccamente, la visione del fisico tonico e slanciato di Penelope. Scopro la mia mano che pizzica quel rotolino sulla pancia che staziona beato intorno al mio punto vita da un po’: in effetti, negli ultimi tempi, ho lievemente trascurato i miei addominali…a guardare bene, tutti i miei muscoli sono leggermente rilassati. Lo so, dovrei andare in palestra, ma quando?

E poi io odio la palestra, è una cosa viscerale, che non riesco a controllare: oltre a detestare profondamente ogni tipo di fatica fisica, tutto il mio essere si rifiuta di sprecare ore in puzzolenti seminterrati, a cercare di copiare i movimenti convulsi di un istruttore strillone. Mi ripugnano in modo particolare le serie, le ripetizioni di pesi, gli esercizi di fronte allo specchio, i saltelli, il sudore, le docce superaffollate, gli spogliatoi umidi, i completini da aerobica…A questo va aggiunto, dettaglio niente affatto trascurabile, che sono leggermente scoordinata. Giusto un pochino insomma, ma quel tanto che basta per finire sempre a fare la figura della sfigata quando tutti sembrano così portati, così realizzati, mentre io arranco, madida e con gli occhi sbarrati…

Lo so, sono scuse, sono le solite vecchie scuse.

La mano dalla pancia passa alle cosce, mentre i bastoncini, desolatamente trascurati, si raffreddano nel piatto. D’un tratto prendo una di quelle iniziative che, di solito, il corpo asseconda senza consultare il cervello: afferro il piatto e rovescio la mia delizia di formaggio fuso nella pattumiera. Poi, addentando una carota, rovisto in frigo finché non riesco a trovare una confezione di fiocchi di latte light. E, non ancora soddisfatta, appena finito di mangiare, alzo il telefono e chiamo Zoe.

“Phi, che sorpresa!”

“Ciao Zoe, scusa se ti chiamo così presto…stavi per farti un riposino?” Che cosa assurda da chiedere a una come Zoe!

“Ma no, figurati, volevo fare un salto dal parrucchiere: dovrei dare una ravvivata alle mèche…” Appunto.

“Ah, allora non ti disturbo…”

“Guarda che non mi disturbi affatto…che hai Phi, mi sembri strana…”

“Sì, cioè, no…è che volevo chiederti una cosa che…senti, quella palestra in cui vai tu…”

Un gridolino acuto esplode nella cornetta: ”Hai deciso di iscriverti?! Che bello, Phi, possiamo andare insieme!”

Oddio, ha frainteso, ha sicuramente frainteso. “Veramente, pensavo più che altro…”

“Ma dai, andiamo ora: dal parrucchiere ci passo quando usciamo! Facciamo alle 16 lì davanti?”

Cerco disperatamente di recuperare la situazione: “In realtà…pensavo di chiederti qualche informazione, magari sui prezzi…”

“Non ti preoccupare, come socia posso presentarti io e farti avere uno sconto sull’iscrizione…e poi la palestra ha tutto: beauty center, sauna, estetica, magari ti scappa di farti una ceretta al volo e non sai dove andare? Beh, loro sono aperte fino alle nove di sera…sono grandiose…è davvero conveniente, tutto considerato”

Tutto considerato? La mia realtà di misera stagista mi fa indietreggiare, almeno moralmente, davanti all’idea di convenienza che può avere una come Zoe e il mio lato pigro (che è un lato abbastanza ingombrante) fa una capriola di gioia.

Tirarsi indietro adesso, però, diventa complicato: so che Zoe non mi lascerà andare se prima non l’avrò assecondata almeno per questo pomeriggio. Il mio silenzio terrorizzato deve suggerirle qualcosa perché dopo un po’ aggiunge:

“Senti, oggi vieni a provare come mia ospite, poi decidi…” Mi dico che come compromesso è accettabile e le do appuntamento alle 15.30 di fronte alla palestra.

Riaggancio tirando un sospiro di scampato pericolo, anche se non riesco ad essere completamente rilassata: il total perfection center costerà sicuramente troppo perché io possa permettermelo e Zoe sa essere tremendamente ostinata.

Intanto devo rimediare qualcosa di appropriato per fare ginnastica. Vado in camera e frugo nel cassetto dello sport (un cassetto piuttosto piccolo, in realtà) poi tiro fuori una vecchia sacca di tela e ci infilo dentro un paio di fuseaux grigi un po’ corti, una maglietta oversize scolorita e dei  calzini bianchi di spugna, dopodiché afferro le mie Nike storiche e vado in terrazzo per cercare di lavarne le suole, alla buona.

Mezz’ora dopo sono per strada che sgambetto verso la palestra di Zoe, non ho ancora deciso cosa mi metterò stasera ma posso sempre pensarci durante l’ora di lezione e posso sempre chiedere qualche velato suggerimento a Zoe, stando attenta a non farle capire che devo uscire con Colin.

Appena mi vede, Zoe mi bacia, raggiante: credo che l’idea di fare proseliti, anche solo in teoria, la gratifichi molto. Entriamo nel Club e devo constatare che è davvero bello: pavimenti di marmo, gigantografie di spiagge caraibiche alle pareti, ci sono anche un bar e un ristorante all’ultimo piano. Tutto sembra già troppo lussuoso perché io possa iscrivermi. E comunque non troverei mai il tempo per frequentare una palestra con assiduità ed è risaputo che, in questi progetti, la costanza è tutto. Scendiamo negli spogliatoi e…ragazzi che classe! Ampi, confortevoli, con una lunga fila di armadietti lucenti e pile di asciugamani morbidi per i soci; accanto allo spogliatoio ci sono anche la sauna e il bagno turco, oltre ad un’invitante, gigantesca, vasca idromassaggio.

Prendiamo posto su due panche vicine e iniziamo a spogliarci. Immaginavo che Zoe sarebbe stata elegante anche nella sua mise da palestra, ma non mi aspettavo che potesse essere tanto, come dire, intonata al resto dell’ambiente: ha dei panta-jazz rossi, morbidi e leggerissimi che quasi mi viene la tentazione di chiederle di prestarmeli per l’opera, tanto le stanno bene, un top sbracciato bianco con i bordini rossi che le lascia la pancia (molto piatta, a dire la verità) scoperta e degli scarponcini neri super tecnici. Completano il tutto un polsino di spugna azzurra e un asciugamano blu con la scritta Fitness. A guardarla, quasi mi commuovo. Soprattutto se procedo all’impietoso ma inevitabile confronto con la mia tenuta. Ingolfata nella magliettona spiegazzata, con due gambette che sbucano dal ginocchio in giù e le scarpe ancora un po’ umide devo riconoscere che l’effetto è più da profuga che da sportiva, però, tutto sommato, per una sola volta può andare, così mi scambio un sorriso divertito con Zoe (anche se il suo assomiglia più ad un ghigno di ribrezzo) ed esco dallo spogliatoio.

Come avevo previsto, non sono esattamente quello che si definisce una creatura leggiadra mentre mi produco in improbabili combinazioni a tempo (si fa per dire) di musica. Però, incredibilmente, non sono nemmeno così imbranata come mi aspettavo e quando la lezione finisce annaspo con una punta di soddisfazione mal celata. Zoe deve accorgersene perché mi viene vicino e con un sorrisetto mi dice: “Hai visto? È divertente, e Sergio (l’istruttore) non è nemmeno uno dei più bravi…dovresti fare una volta con Sonia.”

Ridacchia con l’aria di chi la sa lunga.

Prima della doccia, ci andiamo a bere un integratore al bar della palestra, ambiente che consta di un bancone e qualche tavolino con un barista molto in tiro e spiritoso che saluta Zoe dimostrando un certo entusiasmo. Considerato quello che ho sudato, decido che un integratore di sali minerali è proprio quello che mi ci vuole e mentre sorseggiamo un’acqua minerale con del limone Zoe e un bibitone giallo fosforescente io, mi sento molto rilassata. Così rilassata che quando Zoe mi dice quanto costa l’abbonamento in quel tempio del benessere non stramazzo al suolo priva di sensi. Anzi, le dico che, sì è un po’ carestoso, ma che tutto sommato potrei farci un pensiero. Lei sembra soddisfatta: è una astuta, Zoe, sa come agire per ottenere un risultato e sa che, oggi, non c’è bisogno di insistere o calcare la mano perché devo assimilare l’idea di una nuova me atletica e in forma ma che tra pochi giorni sarò io a implorarla di presentarmi come nuova socia. Fortunatamente per lei, però, Zoe ignora cosa possano significare uno stipendio da fame e la precarietà lavorativa, quindi non sono sicura che capirà quando cercherò di spiegarle che davvero non posso permettermi il suo club delle meraviglie. Comunque, ora sto proprio bene, quindi non è il momento di privarla delle sue certezze, non sarebbe neanche carino…

Dopo il drink scendiamo a fare la doccia e usciamo che sono le sei passate. È veramente tardi e io non ho ancora deciso cosa indossare stasera. Mentre torno a casa sono profondamente concentrata e al portone non saluto nemmeno la signora del piano terra che sta controllando la cassetta delle lettere. Una volta nella mia camera, spalanco l’armadio e mi siedo sul letto in assorta contemplazione.

Dieci minuti dopo sono ancora nella stessa posizione solo che lo stomaco mi brontola e il ticchettio dell’orologio mi assorda: non è possibile che non mi venga in mente niente! Vado in cucina e afferro una carota (di questo passo diventerò un coniglio), deve, deve esserci qualcosa di adatto nel mio sofisticato guardaroba…Alla fine, decido di portarmi avanti col lavoro, iniziando a truccarmi. Mentre ritocco le sopracciglia con un po’ di nero e le pettino in su col fissatore, però, sto ancora rimuginando. Credo che, alla fine, opterò per il vestitino nero con spalle all’americana e collo a sciarpa: un po’ mi dispiace, perché è uno dei pezzi forti del mio armadio e avrei voluto conservarlo per una cena o per una festa però è veramente troppo tardi per tentennare ancora. Comincio a pensare che tutta la fatica che ho fatto in palestra mi abbia prosciugato anche spiritualmente, al punto che…Din-don.

Oddio, la porta.

Guardo disperata l’orologio: sono le 18.59. È in anticipo?! E io non ho nemmeno le calze! Mi fiondo in camera e strappo il tubino dalla stampella, me lo infilo alla velocità della luce e intanto strillo un “ARRIVO” in direzione dell’ingresso. Meno male che sono già truccata…Afferro le scarpe argentate col cinturino alla caviglia e mi precipito alla porta. La spalanco e…Bradley?!

“Che ci fai qui?!” Ansimo.

Mi guarda leggermente disorientato. “Stai…uscendo?”

Ho il vestito slacciato a metà sulla schiena, sono senza calze, ho le scarpe in mano e la fascia per capelli in testa “Sì, tra un po’…sono in super, super ritardo e…mi hai fatto prendere un colpo! Che ci fai qui, Brad, credevo fossi con Penelope. Non dovevi prepararle el timbalo?” Forse calco un po’ sull’accento perché Bradley mi lancia un’occhiata storta.

Poi mi ricordo: stamattina, al supermercato, gliel’avevo detto che sarei andata all’Opera…cos’è? Non ci ha creduto ed è venuto a verificare? Pensava di trovarmi in pigiama ad ingozzarmi di bastoncini di formaggio davanti alla tv?!

Scuote la testa. “Pen stasera ha uno spettacolo” Si guarda intorno “Credevo che potessimo andare a vederci un film insieme…”

“Brad!” Sono improvvisamente infuriata “Te l’avevo detto che sarei uscita stasera, non ci hai creduto?!” Tutto questo è un po’ umiliante. “Pensavi che non avessi niente di meglio da fare che stare qui ad aspettare che Penelope ti desse buca per andare a vedere un cesso di film insieme?!”

“Sei la solita squilibrata, Ophelia” fa lui gelido “Credevo ti facesse piacere…”

“Ma falla finita, ti prego, non venirmi a raccontare favole. È solo che non sai quello che vuoi Brad e ti nascondi dietro alle accuse di superficialità che lanci a me, in continuazione. Sai cosa c’è? Che mi sono stancata di fare da punchball alla tua insicurezza, di essere insultata ogni volta che tu non ti senti realizzato. Prima te ne esci con quelle storie che io non ti rispetto, che voglio sempre averla vinta e poi, da un giorno all’altro sparisci e ti innamori alla follia di una ballerina brasiliana…” Vabbè, più o meno…

“Ma che stai farneticando…” Prrrrrrrr.

Il citofono, ommioddio, stavolta è davvero tardi. Siamo fermi sulla porta di casa mia, io non ho ancora né scarpe né calze, non mi sono pettinata, non ho preparato la borsa…non ho nemmeno finito di allacciarmi il vestito. Mi precipito a rispondere: “Ophelia? Sono Colin…”

“Ah, Colin, scendo subito…” sibilo con voce strozzata.

“Ehm…ti spiace se salgo un attimo? Avrei qui una cosa…” Oddio, oddio…”No…cioè, sì certo, sali, terzo piano.” E apro.

Bradley, dalla soglia, scruta il pianerottolo e sembra incerto. Mi precipito fuori e apro leggermente l’ascensore, poi afferro Bradley per un braccio, lo tiro dentro e chiudo la porta.

“Allacciami!” Gli ordino girandomi di schiena.

Lui esita un momento e poi prende ad infilare la serie di minuscoli bottoni nelle rispettive asole. Quando ha finito (ci mette un secolo) volo in camera e mi infilo come un razzo le calze e le scarpe. Mentre mi tolgo la fascia e mi sciolgo i capelli, suona il campanello. Sto per andare ad aprire quando sento il cigolio della porta, mi affaccio in corridoio e vedo Colin con un enorme mazzo di rose rosse che guarda Bradley con aria leggermente sorpresa. Avanzo a passo spedito, scavalco Brad e stampo un grosso bacio sulla guancia di Colin. “Colin, scusami, sono in ritardo…” Esclamo sorridendo e aggiungo con voce stridula. “Mio dio, non ho mai visto delle rose così magnifiche!” Lui sembra riprendersi e mi porge il mazzo: “Buona sera Ophelia…sei molto bella.”

“Grazie” e prendo i fiori. Poi, mi giro verso Brad che se ne è rimasto impalato alle mie spalle con un’espressione inebetita che è a metà tra l’inacidito e il demente.

“Colin, ti presento Bradley. Bradley è un mio vecchissimo amico, praticamente un fratello. Abbiamo studiato insieme all’università; stasera cucina il timballo per la sua fidanzata spagnola ed è passato a scroccarmi un po’ di candele per creare l’atmosfera.” Se osa contraddirmi lo strozzo.

“Brad, lui è Colin Padmington, uno dei soci dello studio di Will. Ti ho già parlato di lui, ricordi?” Aggiungo sorridendo a Colin. “Vado a mettere le rose nell’acqua e prendo la borsa: faccio in un attimo!”

“Non preoccuparti, sono venuto in taxi così non abbiamo problemi di parcheggio” poi, stringendo la mano di Bradley “Molto lieto, Bradley, spero di avere l’onore di assaggiare anch’io il tuo famoso timballo, prima o poi.”

“Come no…” Risponde Brad. Non credo di averlo visto così a disagio prima d’ora, nemmeno la sera che Eva, la sua ex fidanzata, pomiciò pubblicamente con il suo regista alla fine di uno spettacolo che eravamo andati a vedere tutti, persino sua madre.

Vado in cucina e infilo le rose nel lavandino: accidenti, sono proprio meravigliose. Non credo di aver mai ricevuto delle rose rosse prima di oggi…questo Colin da dove è uscito, da un romanzo dell’Ottocento? Dopo aver sistemato i fiori, corro in camera e tiro fuori una pochette nera e argento con decori jais dentro cui infilo i biglietti, un pacchetto di gomme, lo specchietto e il cellulare.

Poi, prendo due candelotti alla pesca dal ripiano del bagno, mi do una ravvivata ai capelli e torno in soggiorno dove trovo i miei due uomini impegnati in un’impacciata conversazione sulla musica moderna. Mollo le candele a Bradley e lo spingo verso la porta quasi a forza. Prendo il cappotto, le chiavi e sorrido a Colin con il fiato corto. Lui mi fa una rapida carezza sulla guancia. “Tranquilla, non abbiamo nessuna fretta”. Io ho la sensazione di arrossire leggermente e non ho il coraggio di guardare Bradley. Chissà, poi, il perché di questa farsa.

Usciamo di casa e finalmente salutiamo Brad, salendo sul taxi. Santo cielo, la serata è appena cominciata e io sono già esausta.

Arriviamo a teatro con un quarto d’ora d’anticipo: incredibile. Colin indossa un completo grigio scuro ed è disinvolto ed elegantissimo. A guardarlo, mi sento la testa leggera e…la pancia vuota. Accidenti a quella stupida carota!

“Vuoi che prendiamo qualcosa da bere, prima di andare a sederci?” Colin mi indica il bar del teatro.

“Volentieri” Oddio, spero che non abbia sentito il mio stomaco che brontolava…

Prendiamo due aperitivi e io chiedo anche un toast, rivolgendo a Colin un’occhiata colpevole: “Scusa, è che non ho praticamente pranzato…” Lui sorride e scuote la testa. “In realtà, vengo da un altro aperitivo e lì ho mangiato qualcosa. Però non rovinarti l’appetito: dopo ho prenotato in un posto molto carino”

Viene da un altro aperitivo? Beh…che serata intensa. Ma no, non devo fare l’acida, in fondo anche la mia giornata è stata parecchio movimentata.

Abbiamo due posti in platea e, anche se già mi immaginavo ad occhieggiare col mio binocolino da uno degli eleganti palchi che la contornano, lo spettacolo è assolutamente grandioso. Oddio, forse un po’ lungo…ma ci sono due intervalli durante i quali chiacchiero con Colin e bevo un altro bicchiere di vino bianco nel foier. La testa mi gira un po’ ma credo dipenda dal fatto che ho mangiato solo un toast.

Quando usciamo sono estasiata e credo che Colin se ne accorga perché mi sembra piuttosto soddisfatto. Prendiamo un taxi che ci porta in un ristorante in centro che ha tutta l’aria di essere terribilmente costoso. Meno male che mi sono messa il vestito nero! Entriamo e un cameriere in livrea ci scorta ad un tavolo apparecchiato con un’infinità di posate e bicchieri. Sono un po’ emozionata, non sono mai stata a cena in un posto del genere, dio quanto mi sento provinciale! Colin mi sorride “Spero ti piaccia…”

“Beh, non credo che qui potremo mangiare con le mani ma…sì, non è male” Gli rispondo, ammirando la tovaglia pesante che ricopre il tavolo.

“Conosco lo chef, è un mio ottimo amico da quando studiavo a New York, per questo ti ho trascinato in un posto così formale. È un genio, vorrei che prendessi il menù degustazione perché sono convinto che adorerai tutto quello che prepara…” Sembra quasi che voglia schermirsi.

“Colin, è un posto bellissimo. Volevo solo dire che non mi aspettavo di venire in un ristorante così lussuoso. Sono sicura che il menù degustazione sarà eccellente.” Mi chiedo, per l’ennesima volta, da dove esca quest’uomo. Mi chiedo perché un uomo così affascinante, gentile, raffinato sia da solo e, soprattutto, mi chiedo come sia possibile che stia facendo tanto per conquistare proprio me, con tutte le donne che potrebbe avere.

La cena è squisita e, come la scorsa volta, la conversazione è amabile. Scopro che i suoi sono originari del Derbyshire e che per Natale riuniscono tutta la famiglia nella loro enorme casa di campagna. Io gli racconto che il Natale mi piace ma che le feste con i parenti mi mettono sempre in apprensione. Parliamo di regali e vacanze e il tempo, come l’altra volta, vola. Alla fine della cena, davanti ad un sorbetto di arance e crema, arriva una domanda che mi mette seriamente in crisi.

“Quel tuo amico, quel Bradley…non era da te per le candele prima.”

In realtà, non è nemmeno una domanda, è un’affermazione. Come se avesse capito subito che gli avevo raccontato una balla. E la cosa mi mette in imbarazzo perché così la situazione sembra equivoca, quando invece io non ho fatto proprio niente di male. Poso il cucchiaino e bevo un sorso d’acqua.

“No, non era venuto per le candele. Però, non vorrei che ti facessi un’idea sbagliata: Bradley è il mio più caro amico da anni. So che la situazione può dare adito a fraintendimenti ma tra noi non c’è mai stato niente. Siamo come fratelli.”

Lui alza le sopracciglia “Phi, non ti sto accusando di niente. Non mi devi nessuna spiegazione…” Oh no, così non va…così non va per niente.

“Colin, non c’è niente da spiegare. Niente di interessante, almeno, ma, se vuoi, posso raccontarti la mia vicenda con Bradley.” Santo cielo, la mia vicenda con Bradley, ma come parlo?!

“Ma no, scusa, l’ho detto così per dire.” Beve del vino.

“Scusa tu ma a questo punto preferisco riassumerti la questione in poche parole, perché non mi piacciono gli equivoci né le persone che vivono la vita reale come se fosse un telefilm in cui tutto va romanzato e reso più drammatico da improbabili qui pro quod!” Forse mi sto agitando un po’ troppo. Invece, Colin sembra più calmo; si appoggia allo schienale della sedia e intreccia le mani con uno sguardo assorto: “D’accordo, allora raccontami.”.

A vederlo così concentrato, il cuore in un attimo mi batte più forte. Mentre gli parlo, ho la sensazione che i rumori del ristorante svaniscano, che le persone diventino piccole e lontane, che le luci si spengano una ad una. Mentre gli racconto di me e di Brad, mi rilasso anch’io, lui non mi interrompe mai, solo ogni tanto mi fa qualche domanda discreta e io comincio ad allargare il racconto al mio stage alla Global, all’università, ai miei amici, alla mia famiglia. Vado a ruota libera ed ogni cosa in più che gli racconto mi fa sentire a mio agio, arrivo persino a parlargli del mio ultimo ragazzo, una storiella insignificante con un amico artistoide e un po’ svanito di Emma. Quando mi fermo, vengo colta d’improvviso dalla paura di averlo annoiato.

“Mio dio, ti ho frastornato con tutte le chiacchiere sulla mia vita…”. Arrossisco leggermente ma lui sorride e ha il sorriso più dolce che abbia mai visto. Si allunga sul tavolo e mi prende la mano. Avverto un calore enorme e il mio rossore si accentua.

“Phi…sono lusingato che tu sia tanto sincera. Sai, vorrei…sapere tutto di te. Vorrei che ti sentissi sempre libera di raccontarmi quello che ti passa per la mente, perché ogni cosa che mi dici di te mi arricchisce.”

Non può essere vero un tipo così, è troppo assurdo. Sono semplicemente incantata. Ho deciso, voglio essere la sua schiava adorata, voglio passare il resto della mia vita a servirlo e sacrificare tutta me stessa esaudendo ogni suo più piccolo desiderio…

Una volta fuori dal ristorante camminiamo fino al parcheggio dei taxi, a poche centinaia di metri di distanza. L’aria è gelida e dalle bocche ci escono nuvolette di fumo, lo prendo sotto braccio e mi stringo al suo fianco rabbrividendo. Ad un tratto si ferma e si gira: “Vorrei davvero rivederti, Phi, tu ne hai voglia?”.

Prima che possa rispondere si china verso di me e mi bacia. È un bacio lento, delicato, che sembra non dover finire mai. Credo di non essere mai stata tanto accaldata nonostante il freddo intorno. Mentre il taxi ci riporta sotto casa mia, rimaniamo in silenzio. Una volta arrivati, scendo e lui scende con me, facendo segno all’autista di aspettarlo.

Non so come dirglielo…non mi è mai capitato prima…

“Vorresti…Ehm, mi farebbe piacere se salissi. Intendo dire, se ne hai voglia, ecco…”

Colin sorride e mi bacia di nuovo, stavolta in maniera meno casta.

“Ho molta voglia di salire, Phi. Anzi, non credo che in questo momento ci sia qualcosa che desideri di più.” Mi gira la testa. Lo circondo con le braccia e rimaniamo un attimo immobili, nel freddo, davanti al mio portone. D’un tratto mi scosta delicatamente.

“La prossima settimana dovrò partire. Abbiamo ricevuto un grosso incarico da un cliente straniero e devo andare a studiare la questione a New York. Starò via almeno un mese e questo solo per la fase preliminare, il caso potrebbe prenderci anche molti mesi e io avrò pochissimo tempo libero.”

Lo guardo e qualcosa dentro di me inizia a fare male: che succede ora, vuole scaricarmi?

“Mi piaci molto, Phi, te l’ho detto e in questo momento vorrei più di ogni altra cosa salire e passare la notte con te. Ma quello che ti ho appena detto è la verità. Devi decidere tu, vuoi che rimanga anche se sai come stanno le cose?”. Ho un tuffo al cuore. Raddrizzo la schiena e con la mano arrivo a sfiorare la sua guancia.

“Desidero che tu salga con tutta me stessa, Colin.”

Sento la sua stretta rafforzarsi per un attimo, poi, si allontana e mentre apro il portone sento che il taxi riparte e i suoi passi che si avvicinano, rapidi.

 

Photo by Almos Bechtold on Unsplash

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