Domenica 22 Agosto 1993


Era una caldissima mattina di agosto e i miei genitori erano a letto, a godersi quei pochi minuti di sonno che avevano ancora a disposizione, prima che l’afa estiva irrompesse nell’appartamento dalla loro finestra, svegliandoli definitivamente.

Mia madre riposava con le mani sull’enorme pancione, all’interno del quale io scalpitavo per uscire.

Mi stavo perdendo delle perfette giornate di mare e per questo decisi che era giunta l’ora di presentarmi al mondo.

Quando mia madre iniziò a sentire le prime doglie, si sedette sul bordo del letto e attese. Non voleva svegliare mio padre, che continuava a dormire beatamente, fino a quando non fosse arrivato il momento di correre in ospedale.

Al piano di sotto, i miei  nonni si erano appena alzati e stavano facendo colazione. I loro gesti lenti erano carichi di attesa. Nonostante fosse ormai più di una settimana che aspettavano la mia nascita, la notizia li colse impreparati: non si è mai del tutto pronti a conoscere la prima nipote.

Mentre l’auto dei miei genitori usciva dal cancello automatico, i miei futuri vicini, ignari di quanto stesse accadendo, inforcavano le loro biciclette e si avviavano verso la spiaggia. Il sole ormai era alto e scottava, sulla loro pelle abbronzata.

Mio nonno, tutto contento, sollevava la serranda della sua gelateria e iniziava a preparare i gelati dietro al bancone. Credo che, preso dall’euforia, li abbia regalati a tutti i clienti della giornata, ma solo dopo essere venuto in ospedale a conoscermi.

Sulle spiagge di Rimini si riversava già la folla dei turisti, pronti a godere di quella calda giornata di agosto. C’era chi prendeva il sole, chi faceva il bagno e chi giocava a pallone: tutte cose che avrei presto amato fare anche io.

Il bambino con il costume rosso, che aveva appena due anni, affondava le sue mani nella sabbia tentando a suo modo di costruire un castello, mentre sua madre leggeva il giornale stesa sulla brandina. Ancora non sapevano che saremmo diventati grandi amici.

In una stanza di ospedale, mentre la mia testa bruna faceva capolino, mio padre rischiava di sentirsi male e veniva portato fuori a prendere una boccata d’aria dagli infermieri. Più tardi avrebbe dichiarato che era colpa del caldo.

E mentre io venivo alla luce e liberavo i miei polmoni con il primo pianto, ad Orbetello la scrittrice francese Marie Susini ci lasciava per sempre. Chissà, che non mi abbia passato il testimone…

+ Non ci sono commenti

Aggiungi