Pretty Nice Girl – VII – Emma


La settimana trascorre come al solito, tra alzatacce, colazioni con Barbara e lavori più o meno umilianti per Robert.

Colin non si fa vivo, Bradley nemmeno. Intanto è quasi dicembre e nei negozi troneggiano preipitosi gli addobbi natalizi, nell’aria c’è già la frenesia degli acquisti compulsivi ed io avverto con fastidio l’appressarsi di capodanno, una delle feste che tollero di meno in assoluto.

Il giovedì devo accompagnare Robert ad una convention di fornitori e lui decide di offrire il meglio di sé, quanto a meschinità. L’appuntamento è alle 7.30 di fronte al palazzo dei congressi, io arrivo congelata e insonnolita alle 7.32 trovandolo già davanti al cancello che è, ovviamente, ancora sprangato. Il palazzo, infatti apre alle 9.00 e solo chi ha il pass per gli stand, cosa di cui io naturalmente non dispongo, può entrare prima. Robert non mi degna quasi di una parola e continua ad armeggiare con il suo palmare, con aria super impegnata.

Mi rannicchio contro una transenna cercando di evitare il vento gelato: ho anche lasciato i guanti in macchina. Dopo un quarto d’ora di silenzio immobile sono praticamente ibernata e decido di andare a recuperare i guanti, in fondo la mia auto è appena dietro l’angolo. Avviso Robert e mi avvio in fretta; impiego forse tre minuti per andare e tornare. Quando torno però, il piazzale davanti alla cancellata è deserto.

Chiamo Robert sul cellulare e non mi risponde. Mi guardo attorno perplessa: possibile che sia andato via? Forse l’hanno rapito, penso con un fremito, ma è improbabile.

Provo a richiamarlo e stavolta mi risponde.

“Robert, sono Ophelia…si può sapere dove sei finito?!”

“Ah, Ophelia, sono entrato: è venuto a prendermi Jacob della Bridgestone al cancello. Tu eri sparita…”

Non ci posso credere.

“Robert, sono andata a prendere i guanti in macchina, te l’ho anche detto…”

“Beh, io mi sono girato e non c’eri più…non potevo aspettarti in eterno! Comunque, alle 9.00 aprono, aspetta un po’ e poi raggiungimi allo stand della Bridgestone.”

Sono senza parole, guardo l’orologio, sono ancora le 8 e 10. Torno mestamente verso la macchina quantomeno per ripararmi dal vento. Nello stomaco ho un groviglio di amarezza e cattivi sentimenti: odio quest’uomo e odio questo lavoro.

Niente come una giornata che comincia così può far sentire sola e avvilita una persona. E la sensazione è che sarà un giorno lungo.

Infatti: alle 9 entro e a quel punto è un trottare ininterrotto dietro a Robert, carica di tutto l’inutile materiale promozionale che va raccattando ad ogni stand.

Lui, dal canto suo, intrattiene le relazioni –come continua a ripetermi- e si dimentica quasi sempre di presentarmi alle persone con cui si ferma ad intessere i suoi strategici rapporti commerciali.

Alle 12 mangiamo un panino rancido in piedi, al bancone di uno dei bar della fiera e ripartiamo all’attacco degli stand. Alle 3 inizia una presentazione della Continental su un nuovo modello di pneumatici da neve. Alle 4 e mezzo, finalmente, il supplizio finisce: Robert ovviamente non considera nemmeno per un istante l’opportunità di tornare in ufficio e, dopo avermi salutato brevemente, si dilegua tra la folla. Io rimango immobile per un attimo, carica di pacchetti, dépliant e listini prezzo in mezzo al corridoio di ingresso della fiera e riprendo fiato, assaporando la libertà riconquistata. Una folata di vento si intrufola tra le porte scorrevoli e mi scuote. Afferro saldamente le mie buste e mi incammino, esausta, verso la macchina.

Arrivo a casa che è già buio ma, attaccata alla porta con un pezzo di scotch, c’è una busta. Dentro trovo 2 biglietti per le Nozze di Figaro e una breve nota di Colin che si scusa per il ritardo nella ricerca dei biglietti e mi rassicura sulla piacevolezza dell’allestimento.

I biglietti sono per sabato. Io, che è la prima volta che ricevo un invito così originale e che ormai avevo iniziato a pensare che non l’avrei risentito, rimango a fissare la busta sul pianerottolo, con il cappoto, i fagotti di Robert e le scarpe strette, mentre la borsa mi scivola dalla spalla.

La mattina dopo è venerdì: giorno di riunione. Arrivo alle otto e un quarto e, mentre sono in ascensore, cerco di prepararmi spiritualmente all’inevitabile shampoo. Quando entro in ufficio, invece, trovo Max al telefono (con chi a quest’ora?!) e Josh impegnato a scrivere un’email; la scrivania di Robert è vuota.

“Beh? Che è successo?!” Chiedo mentre mi sfilo il cappotto.

“Ti sei salvata stamattina, è?” Ridacchia Josh “Robert ha la febbre, ha già chiamato, ovviamente.”

E, ti pareva!

“Non ti preoccupare, Max gli ha detto che eri in bagno.”

Figurati se l’ha bevuta…comunque, va benissimo così, anzi, è quasi troppo bello; è venerdì, Robert non c’è, io ho ricevuto un invito per andare all’opera domani da uno degli uomoni più interessanti che abbia conosciuto nell’ultimo decennio…che giornata promettente!

E infatti, tutto procede stranamente per il verso giusto: Robert richiama verso l’ora di pranzo e, a giudicare dalla voce, è piuttosto malconcio, inoltre, mercoledì prossimo deve andare a Bonn per lavoro e non credo che lunedì rischierà una ricaduta venendo in ufficio. È incredibile come certi avvenimenti all’apparenza insignificanti riescano a cambiare in modo tanto radicale la tua percezione dell’esistenza.

Ammetto di essere un po’ umorale, a volte, ma sfumature come questa che mi catapultano dalla depressione profonda alla più incontrollata esaltazione. Per festeggiare, dopo pranzo, mi sento quasi in dovere di offrire a tutti il caffè e compro anche una confezione di cioccolatini alle nocciole che distribuisco generosamente alle vittime dei soprusi di Robert. Ne conservo perfino uno per Jack.

Il pomeriggio passa in fretta (nonostante quello che dice Robert, il venerdì è una giornata in cui si riesce a combinare poco perché molti uffici chiudono prima), alle sei ordino con Max le carte sulla mia scrivania e mi preparo ad andare via. Mentre sono in macchina ricevo la telefonata di Emma.

“Ciao, ti disturbo? Sei ancora alle prese con il maniaco?”

“Emma! No, è malato” Sorrido tra me, è moralmente accettabile gioire in questo modo perché una persona si è presa l’influenza? “È una settimana che provo a chiamarti, Emma…si può sapere che fina hai fatto?!”

“Scusa, lo so che mi hai chiamato…ultimamente le cose a casa non vanno benissimo…ho avuto parecchio da fare. Senti, hai impegni stasera?”

La visione di una cantina piena di fumo e di gente che beve birra vestita di nero mi attraversa la mente ma la scaccio subito: Emma è una mia amica.

“No, niente? Hai qualcosa in mente?”

“No…cioè, niente di che, una cosa tranquilla. Ti va se andiamo in qualche posticino a berci una cosa? Ho un po’ di roba da raccontarti…”

“Certo…senti, se vuoi puoi venire da me, prendiamo qualcosa al Take Away cinese e mangiamo a casa”

“Ah…va bene. Vengo verso le nove? E…Phi?”

“Sì?”

“Non dirlo a Bradley, ti dispiace?”

“Macché, tranquilla: stasera saremo solo noi due!”

Anche perché, cara Emma, Bradley non lo sento da un po’ di tempo…

Tornando a casa mi fermo a comprare un vassoio di dolci: Emma adora la crema, quando affrescava il mio balcone spesso per pranzo mangiava soltanto enormi krapfen farciti. Io e Bradley eravamo increduli.

A ripensarci quello è stato un mese davvero felice: l’estate in cui mi sono trasferita nella nuova casa, abbiamo ridipinto, lucidato, scartavetrato e ripulito tutto quello che poteva essere “fatto in economia”. A pranzo mangiavamo tra i barili di pittura in balcone. Io e Brad mangiavamo panini o insalata russa (una delle fissazioni di Brad in quel periodo), Emma si presentava la mattina con un sacchetto di krapfen per la colazione e a pranzo faceva fuori quelli avanzati. Siamo andati avanti così per giorni interi e non riuscivamo a capire come Emma potesse ingurgitare tali quantità di paste alla crema.

Entro in casa rabbrividendo per il freddo, negli ultimi giorni ha iniziato a soffiare un vento gelato. Appoggio il sacchetto con i dolci in cucina e controllo la posta. Pubblicità, offerte speciali, una cartolina dai miei che sono andati a Firenze e che tornano domani: devo ricordarmi di chiamarli.

Il primo impulso è di telefonare a Brad e farmi raccontare la sua settimana ma mentre compongo il numero ci ripenso e abbasso la cornetta: lui non si è più fatto vivo, magari non è nemmeno in casa…non mi va di essere la prima a richiamarlo né voglio rischiare di venire liquidata in poche parole.

Mi concedo una doccia bollente e mi butto un momento sul letto prima di vestirmi. Abitare da soli è fantastico: non credo che mi piacerebbe dover chiacchierare a tutti i costi con qualche coinquilina quando torno dal lavoro. Adoro starmene per conto mio, godermi il silenzio e la penombra, avere i miei spazi, il mio ordine…certo, a volte deve essere piacevole passare le serate a spettegolare fino a tardi e deve essere bello vivere quella sorta di sorellanza che si crea tra ragazze ma preferisco così. Forse, si tratta solo di una iperbole individualista moderna, perché mi rendo conto che quando i miei erano giovani, raramente si aveva il privilegio di una casa propria al di fuori della famiglia ma ora credo chiunque ucciderebbe per un rifugio esclusivamente proprio, che permetta di chiudere fuori, anche solo per poco, il resto del mondo. Per quanto si possa essere affezionati al resto del mondo.

Infilo un paio di jeans ed una maglia a collo alto e mi accoccolo sul divano per telefonare al take away cinese. Ordino una porzione di riso, spaghetti alla piastra con verdure, pollo con i germogli di bambù, ravioli al vapore e lychees.

Mentre aspetto Emma guardo un po’ di tv, cercando di allinearmi agli sviluppi della storica telenovela della quinta rete: va avanti da anni, ma una volta acquisita una base solida e una certa dimestichezza con i personaggi principali, è sufficiente vedere un paio di puntate a semestre per riuscire a seguire tutte le vicende.

Sto cercando di capire se la nuova modella bionda sia la figlia o l’amante del secondo marito di uno dei personaggi storici,quando suona il citofono. È Emma, guardo l’orologio…incredibile, non sono ancora le nove! C’è qualcosa che non torna ma mi riprometto di non essere incalzante con le domante: voglio che Emma passi una serata rilassante. Quando entra ci abbracciamo e le prendo la giacca, lei va a stravaccarsi sul divano e prende una manata di M&M’s dal tavolino.

“Ah, stai guardando Spasmi D’Amore…hai visto che fico il nuovo marito di Jolanda? E la madre? Sembra una quindicenne…una vera zoccola, cerca continuamente di farsi il cognato del figlio…”

La madre? Quella sarebbe la madre?! Ecco, magari proprio una volta ogni sei mesi non basta…

Comunque, spengo la tv e mi siedo anch’io sul divano.

“Ho già ordinato, dovrebbero arrivare a minuti.”

“Meno male, sto morendo di fame!” Emma, si sfila gli anfibi e si mette comoda.

“E così? Ho saputo che esci con un pezzo grosso dello studio di Will! Che pare sia un gran fico, oltre che ricco sfondato…”

Per un momento deglutisco a vuoto, cos’è questa storia?! Chi chiacchiera così sfacciatamente alle mie spalle dopo che io stessa ho visto Colin solo due volte?!

“Emma…chi ti ha raccontato questa assurdità?”

Mi guarda di traverso “ Perché, non è vero che ci esci?”

“Beh…” Non so se mi va di raccontare i fatti miei così su due piedi: insomma, sono mesi che non ci vediamo da sole per parlare…potrebbe almeno lasciarmi il tempo di rilassarmi un po’ “Mah, l’ho visto solo un paio di volte e sempre per caso, trovo che sia una bellissima persona, non c’è dubbio, ma montare già un flirt…mi sembra un po’ prematuro, no?”

“Lo sapevo, è quella gallina di Zoe che spara un sacco di cavolate! Comunque, non che mi importi se esci con uno snob, figlio di papà tipo Will, solo che…sai, da te mi aspetto qualcosa di più che da quella stupida viziata di Zoe!”

Mi sembra evidente che la situazione tra Emma e Zoe si sia leggermente inasprita nelle ultime settimane. Dovrei chiamare Zoe e cercare di capire se l’ostilità è così evidente anche da parte sua, però la battuta di Emma mi brucia un po’: Colin non è uno snob figlio di papà…per lo meno non lo sembra.

“Non aspettarti troppo da me, Emma, non vorrei rimanessi delusa.”

Penso che lei capisca la frecciata, perché mi sorride un po’ a disagio e si raddrizza sul divano.

“Scusami, Phi, non è per litigare che sono venuta, né per offenderti…So che negli ultimi tempi ci siamo un po’ perse di vista e so che gran parte della responsabilità è mia…sono stata latitante e particolarmente strana, lo riconosco.”

“Oh, Emma, dispiace tanto anche a me di non essermi più fatta sentire. Negli ultimi mesi non ho fatto altro che lavorare e lamentarmi con Brad su quanto mi faccia schifo stare alla Global” Per un attimo penso al povero Brad che si annoia a morte mentre mi ascolta per la centesima volta lanciarmi in un’arringa sulle ingiustizie di Robert “Ho trascurato tutti i miei amici più cari e ho lasciato che i rapporti con te e Bradley si rovinassero…”

Mi guarda, un po’ sorpresa: “Come sarebbe? Hai litigato con Brad? Pensavo foste culo e camicia come al solito”

“Beh, diciamo che ultimamente non ci stiamo sentendo…” Rispondo evasiva mentre una scampanellata annuncia che, finalmente, è arrivato il fattorino cinese. Mi alzo e vado ad aprire. Emma cava dalla tasca alcune banconote accartocciate.

“No” La anticipo “Offro io, questo posso ancora permettermelo” Le sorrido.

“E poi, così mi faccio perdonare per non essermi fatta viva quando era chiaro che avevi qualcosa che non andava…” Mi fermo perplessa, ma che ho detto?!

Emma aggrotta le sopracciglia interrogativa ma io mi lancio fulminea verso la porta, aggiungendo “È la fame!” E lei annuisce pensierosa.

Il cibo è eccellente, io poi ho un set completo di bacchette e ciotoline quasi originale, cioè l’ho preso a un mercatino dell’usato quindi nessuno mi dice che non appartenessero a qualche Ming costretto ad emigrare.

Divoriamo il riso,i noodles e il pollo, cospargiamo i dumplings di salsa agrodolce e innaffiamo tutto con l’ottima birra che avevo strategicamente sistemato in frigo sabato. Dopo la cena, apro il cartoccio dei krapfen e lo piazzo davanti allo sguardo illanguidito di Emma.

“Nooo, pure! Ma così mi fai sentire un verme che non ti ho portato nemmeno un pacchetto di caramelle…!” Afferra una pasta infilandone metà in bocca.

Io la imito e dopo qualche minuto il vassoio è ripulito. Ci guardiamo divertite.

“Facciamo proprio schifo…” Le dico. Lei, per tutta risposta, rutta beatamente. Forse è un po’ ruspante ma…è Emma e le voglio un gran bene. Scoppiamo a ridere e ci spostiamo di nuovo sul divano.

Io mi sistemo sul bracciolo e lei si allunga dal lato opposto. Appena sedute, Emma tira fuori dalla borsa una canna e fa per accenderla. Poi però si ferma e mi guarda, in attesa. Non mi piace che si fumi a casa mia, ma qualcosa mi dice che Emma ha argomenti scottanti da tirare fuori e non mi va di fare la moralista adesso.

“Una sola…” Le intimo.

“Giuro!” E accende il fiammifero.

“Ho conosciuto un tipo.” Lapidaria. Però non mi pare una cosa tanto grave, dopotutto, e invece di chiedere subito Chi? Quando? Che fa?, mi limito ad esclamare: “Grande!”

E siccome lei tace, dopo un po’ mi sento in dovere di aggiungere: “Chi è?”

“Un gallerista”. Accidenti!

“Wow, Emma, complimenti…” Silenzio.

“E?” Proseguo “Che tipo di gallerista?”

Lei mi guarda come se fossi stupida.

“Un gallerista d’arte…” Ma sì, certo, è evidente. In fondo Emma non è solo una punk e una svitata: è un’artista e anche molto di talento, secondo me.

“Vabbè, te lo dico. Sono venuta per questo, no? Ha una galleria d’arte, qualche anno più di me e un matrimonio alle spalle con…un paio di figli.” Sono ammutolita.

“E…quando…?” Biascico.

“Sei mesi fa”

Sei mesi fa? Sei mesi?!

Strappo la sigaretta dalla mano di Emma e do una lunga, profonda tirata. Mentre il fumo mi esce dal naso, appoggio la testa allo schienale del divano: ommioddio, da quando la conosco, Emma non ha mai avuto una relazione che durasse più di una settimana. Se si esclude Peter, ovviamente, ma lui non conta credo perché non è una vera relazione. E ora se ne esce con uno che potrebbe essere il padre (quasi…) e che ha due marmocchi?! Mi ci vorrà un po’ per abituarmi all’idea. Emma si riprende la canna e aspira.

“Sono incinta”. Alzo la testa di scatto e scivolo all’indietro, perdendo l’equilibrio e urtando con il piede la ciotola delle M&M’s che descrive un variopinto semicerchio in aria prima di franare sul pavimento, dove io sono già distesa, tramortita per il volo e la notizia.

Ovviamente, Emma non è affatto incinta, o almeno questo è quanto sostengono i due stick da test allineati sul tavolino del mio salotto. Sta soltanto sperimentando un normalissimo anticipo di menopausa (a 27 anni) che va avanti da circa quattro mesi.

“Sai, forse dovresti vedere un medico” Le dico, un po’ scombussolata: bella serata stiamo passando! Proprio bella!

“Sì, forse hai ragione…probabilmente è lo stress; negli ultimi tempi ne ho accumulato parecchio…”

“Lui sa di questo ritardo?”

Emma mi guarda un po’ sorpresa.

“Lui? Ehm…no. E comunque non avrebbe potuto essere suo, nella maniera più assoluta.”

Cioè? D’accordo che Emma non è famosa per il suo severo senso della morale, però…

“E di chi pensavi che fosse?!”

Lei sembra indifferente.

“Di Peter.”

“Cooooooosa?! Emma…e quando…come…”.

“Mah, non ti agitare, non è niente di serio: eravamo un po’ fatti. Non mi è nemmeno piaciuto, lui lo sa, io lo so. Io e Peter non siamo fatti l’uno per l’altra.” Allunga i piedi sul divano. “E comunque non era per parlare di questo che ero venuta, mi dispiace che ti sia preoccupata. E mi dispiace anche per i tuoi stick, te li ricompro…” Indica i test di gravidanza ma io le faccio cenno di non preoccuparsi. Erano anche prossimi alla scadenza…

Mi sento un po’ scossa però e quando le assicuro che è tutto a posto non ho un tono per niente deciso. Oltre al fatto che comincio ad avere un sonno clamoroso, sarà la sigaretta, sarà lo shock, sarà la Global.

So di essere molto meschina ma, mio malgrado, lancio un’occhiata all’orologio: siamo riuscite ad arrivare alle due e mezza. Emma intercetta lo sguardo e io mi sento un verme. Lei però non sembra dispiaciuta.

“Ok, senti: io vado”

“Oh, Emma, scusami…non devi andare via, mi fa piacere se rimani…”

“No, guarda, tranquilla: devo andare sul serio. Non lasciamo passare altri sei mesi però. Per rifarlo, intendo.”

“No, certo e…non mi hai più parlato di questo gallerista” Cavolo, è vero!

“Già, il gallerista…magari la prossima volta, tanto non c’è molto da dire.” Raccoglie la borsa e si avvia alla porta. Io la seguo con lo sguardo prima di alzarmi dal divano e raggiungerla. Quando sta per uscire la abbraccio e la stringo un po’.

Lei ricambia con una stretta rapida, mi sorride e va. Appena chiusa la porta respiro profondamente: stanno succedendo piccole cose strane.

 

Photo by Nigel Tadyanehondo on Unsplash

 

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