L’era del dialogo sordo e degli occhiali per ciechi


Il dialogo, questo elemento fondamentale della società, è diventato vapore acqueo nel mare di parole che ogni giorno vengono propinate a destra e a sinistra alla ricerca dell’imposizione della propria verità, unica e indissolubile.

È sotto gli occhi di tutti, ma non sempre ce ne rendiamo conto: il dialogo è emigrato dall’Italia verso territori sconosciuti. La legge della voce più grossa, forte e dirompente è tornata a dominare le terre della penisola italica. I giornali sono quotidianamente rimpinzati di botte e risposte sterili ripescate dagli account Facebook e Twitter dei politici, degli influencer o delle persone comuni che, in un attimo, trovano il momento di gloria. Basta infatti un istante per far risuonare una loro verità rimbalzando da un utente all’altro e diventando virale. In quel momento assume il ruolo di verità assoluta e sembra quasi che essa si imponga come una dittatura sulla visione della realtà: può essere solo e soltanto così. Una visione che si radica talmente tanto nel profondo delle persone finendo per essere il combustibile che alimenta visioni al limite dell’assurdo. Punti di vista tenuti in piedi da motivazioni che, sedendosi e fermandosi un attimo a pensare, non starebbero in piedi nemmeno nel mondo di Alice nel paese delle meraviglie.

Eppure, a questo sembra essersi ridotto il dialogo in Italia. Provate davvero a pensarci insieme a me: quante volte negli ultimi mesi vi è capitato di prendere parte o ascoltare un dibattito costruttivo, calmo e ragionato tra persone che la pensassero diversamente l’una dall’altra? Un dialogo tra persone che non ripudiano a priori la possibilità che vi possa essere una realtà alternativa a quella che i singoli credono sia la più corretta?
Temo che la risposta sia la stessa mia: pochissime volte.

Il termine “comunicazione” trae la propria origine dalla remota radice sanscrita com, il cui significato di “mettere in comune” si è trasferito al latino communis – che sta a significare “comune”. A sua volta communis è un composto di cum munis, che significano rispettivamente “insieme” e “obbligazione, dono”.

Una comunicazione tra due persone, fatta insieme, è un dono per entrambe.

Dialogare con le altre persone è un regalo bellissimo che la società civile e democratica ha permesso a tutti noi di goderne. Questo perché lo scambio di opinioni tra individui diversi, li arricchisce e completa con nuovi tasselli di conoscenza e visione del mondo. Capire questo semplice concetto può cambiarci la vita.
Purtroppo, però, non sembra essere più così limpido e chiaro questo pensiero.

La cultura del nemico si è impossessata anche dei nostri dialoghi.
Non siamo più in grado di accettare l’idea dell’altro, il pensiero diverso e contrastante il nostro. Chi la pensa diversamente da noi, molto semplicemente, non ha capito un cavolo dalla vita. Un dialogo è diventa costruttivo e giusto da affrontare fintanto che ci danno ragione, fintanto che gli altri accettano senza discutere quello che per noi è la realtà dei fatti. Piccolo problema che si aggiunge: sempre più spesso la realtà che difendiamo a spada tratta non è nemmeno nata nella nostra testa, ma ci è stata propinata da altri che, banalmente, ragionano allo stesso modo fino ad ora descritto. Se non la pensi come me, non hai capito nulla dalla vita.

Come tornare a dialogare quando nemmeno le evidenze schiodano la fermezza dei sordi e la marcia dei ciechi?
Bella domanda (almeno, credo lo sia), soprattutto se si pensa che molto spesso nemmeno la realtà oggettiva dei fatti compiuti nella storia dell’umanità, dei numeri scientifici di premi Nobel o dell’esperienza pragmatica delle cose, riescono a smuovere la granitica convinzione di molti. Se davvero non si è più aperti ad altre possibilità, se si è diventati tutti dei ciuchini con i paraocchi (con tutto il rispetto per questi animali), allora dove si può trovare uno spiraglio per il dialogo? Arrendersi a queste considerazioni è l’errore più grande. Continuare a stimolare il dialogo e pensare che anche in questa situazione contemporanea ci possa essere la possibilità di crescere e comprendere: questo dev’essere ciò che ci porta a non smettere di sperare.

Bisogna anche tenere conto di un altro aspetto non indifferente ai giorni nostri e cioè la cosiddetta e famigerata “rete”. Attenzione però, non bisogna vederla come qualcosa di maligno, come la causa degli atteggiamenti di chiusura al dialogo delle persone solo perché il fenomeno delle fake news dilaga e continua a seminare zizzania nella società. Siamo tutti esseri dotati di cervello per pensare, di occhi per leggere e di orecchie per ascoltare e perciò non facciamo l’errore di puntare il dito sulla rete, perché ogni singola persona ha tutte le carte in regola per poter evitare l’innesco di determinati meccanismi. Siamo noi che decidiamo di essere degli interlocutori sordi e dei lettori ciechi, non è la rete che ci fa diventare tali.

Il dialogo che sia frutto di un pensiero critico

È necessario che si torni a leggere con attenzione e con pazienza, senza prendere per buona la prima cosa che si trova. Un vecchio e saggio detto recita: “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”. Quindi informiamoci tutti con qualche click in più, sfogliando qualche giornale in più, ascoltando qualche notiziario o opinionista in più. Ma soprattutto, torniamo ad ascoltare chi ci parla, ad accettare che ci possa essere qualcuno che la pensa diversamente da noi e che il suo punto di vista è una ricchezza, non un male da debellare.

Bisogna tornare al dialogo per aiutare a ricostruire il tessuto sociale. Bisogna tornare ad ascoltare per comprendere meglio le dinamiche sociali che si manifestano ogni giorno. Bisogna tornare a comunicare.

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