Le persone pensano che io sia felice


Le persone pensano che io sia felice. Lo so, me ne accorgo dal modo in cui mi guardano. Quasi mi invidiano.

Sono tutti convinti che io stia bene, nel mio mondo, che non conosca la sofferenza, né il dolore, che io sia addirittura libero. Non si rendono conto di quanto pesanti siano le mie catene.

Ero solo un ragazzo quando mi accorsi che la realtà non corrisponde sempre a ciò che possiamo vedere o toccare con mano.

Quel giorno incontrai un uomo e fu lui a farmelo capire. Un uomo con cui solo io potevo parlare, eppure non dubitai nemmeno per un momento della sua esistenza.

I miei amici credettero che fosse uno scherzo, quando mi sorpresero a conversare timidamente con il vento autunnale, e io mi feci una risata assieme a loro.

Capii subito che qualcosa non andava, già conscio del fatto che nessuno vede il mondo allo stesso modo.

Crescendo imparai a convivere con questa consapevolezza e non rivelai mai a nessuno dell’uomo vestito di nero, che iniziò a seguirmi e a farmi compagnia. Dopotutto, andavamo molto d’accordo e mi faceva piacere che mi fosse accanto nei momenti di difficoltà.

Possedeva il raro potere di placare le mie paure e mi insegnava ad affrontarle. Mi sapeva consigliare e aveva il buon senso di farsi da parte quando l’occasione lo richiedeva. Era l’espressione vivente della parte più nascosta di me.

Tutto andò bene finché non decise di abbandonarmi. Non ho mai capito perché lo abbia fatto, ero certo che sarebbe rimasto con me per sempre.

Per alcuni mesi vissi da solo e ben presto mi sentii perso. Ero senza una guida, in balia delle mie angosce e dei miei timori, e nessun altro riusciva a comprendere cosa provassi.

Mi convinsero a frequentare uno psichiatra, ma nemmeno lui fu in grado di aiutarmi. Mi prescrisse dei farmaci che mi impedivano di pensare.

Persi il lavoro, i pochi amici rimasti si allontanarono, la mia famiglia mi dimostrò il suo affetto ma, credendo di sapere cosa fosse più giusto per me, finì per soffocarmi.

Completamente solo, smisi di  curarmi e principiai a viaggiare, senza una meta precisa. Provai a mantenermi suonando la chitarra lungo le strade delle città in cui mi recavo, alla continua ricerca della mia dimensione, di quel luogo in cui mi sarei finalmente sentito a casa.

Ero piuttosto lontano da dove ero partito quando, con mia immensa sorpresa, ritrovai l’uomo vestito di nero. Questa volta portava anche un paio di occhiali scuri che gli coprivano il volto, un volto assai diverso da quello che ricordavo, quasi trasfigurato.

Quell’uomo era cambiato e me lo dimostrò ancor di più quando mi rivelò il suo piano terribile: intendeva vendicarsi con tutti coloro che mi avevano fatto soffrire. Diceva che era per il mio bene, che solo così sarei finalmente stato felice. Io non ero affatto d’accordo con lui, ma non riuscii più a liberarmene.

Poi le cose mi sfuggirono rapidamente di mano: l’uomo disse che avrebbe cominciato proprio dalla mia famiglia, perché era colpa loro se mi trovavo in quella situazione.  Tentai di dissuaderlo, ma fu tutto inutile. Non sapevo che fare.

Quella fatidica notte io non volevo fare del male a nessuno: io stavo solo proteggendo le persone che amavo. Quando vidi l’uomo vestito di nero all’interno del suo fuoristrada dai vetri oscurati, pronto a partire, io capii di non avere scelta.

Appiccai il fuoco a mente fredda, non avevo affatto notato la donna che casualmente passava di lì. L’automobile saltò in aria violentemente, mentre l’uomo vestito di nero mi osservava compiaciuto dall’altro lato della strada. Al suo posto, la sfortunata ne era rimasta gravemente ferita.

Non ho mai capito come siano andate le cose quella notte, ma so per certo che non lo rividi mai più.

Le persone pensano che io sia felice. Non si accorgono che io vedo quello che loro stessi creano con le loro paure, le loro vendette, il loro odio.

Nel posto in cui vivo ora mi trattano con affetto nonostante mi considerino un criminale. Provano pena per me, credono che io non mi renda conto di ciò che ho fatto. E la loro pietà non fa che alimentare i fantasmi che continuano a tormentarmi. Il fatto che loro non li vedano non significa che non esistano.

Il mio mondo non è tanto diverso dal loro, dopotutto.

Il giorno in cui potrò riabbracciare la mia famiglia dirò loro che volevo soltanto proteggerli, e forse mi crederanno.

Forse anche loro mi guarderanno con la stessa pietà ma non mi importerà più, perché a quel punto sarò a casa.

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