Comunità LGBT, aborto e migranti: le realtà negate e le lotte del ministro Lorenzo Fontana


Chi difende la normalità oggi è un eroe!” Queste le parole pronunciate lo scorso febbraio da Lorenzo Fontana, ministro della Famiglia e le disabilità del neonato governo Lega-M5S, in occasione del passaggio a Verona del “Bus per la Libertà”, sulla cui fiancata capeggiava la scritta “Non confondete l’identità sessuale dei bambini”.

Veronese e cattolico, come si descrive sul suo profilo Twitter, Fontana si avvicina alla politica già a 16 anni, sotto la bandiera della Lega Nord: eletto consigliere comunale a 27 anni, diventa parlamentare europeo a 29, carica a cui affianca quella di vicesindaco di Verona. Il 29 marzo scorso, dopo aver lasciato il suo incarico di europarlamentare, viene eletto vicepresidente della Camera.

Ma cos’è la normalità per il neo ministro?

Il suo auspicio è un ritorno a “un’Europa cristiana”. Da qui la sua posizione pro-vita e la sua contrarietà al diritto delle donne all’autodeterminazione e all’aborto. Scelta che è considerata la “prima causa di femminicidio” dalle organizzazioni ultra-cattoliche italiane al fianco delle quali ha marciato in occasione della manifestazione per la vita lo scorso 19 maggio.

Ma non solo: il neo ministro si dichiara contrario anche all’eutanasia (“Se non si rispetta la vita dal concepimento alla fine naturale, si arriva ad aberrazioni”), all’ideologia del gender e alle adozioni da parte di coppie omosessuali.

Da “eteronormativo sfegatato” quale si definisce, cioè ideologo dell’eterosessualità obbligatoria, riconosce come naturale solo la famiglia composta da uomo, donna e figli. Tipologia di famiglia, questa, al momento secondo lui sotto attacco: “Da un lato l’indebolimento della famiglia, la lotta per i matrimoni gay e la teoria del gender nelle scuole, dall’altro l’immigrazione di massa che subiamo insieme alla contestuale migrazione dei nostri giovani all’estero, sono tutti fattori che mirano a cancellare la nostra comunità e le nostre tradizioni”.

Non manca dunque il riferimento all’immigrazione in termini di sostituzione etnica, per cui questo fenomeno porterebbe “all’annacquamento devastante dell’identità del Paese che accoglie” e sarebbe, sempre secondo il neo ministro, causa diretta del calo della natalità in Italia, altro tema a lui particolarmente caro: “Si dice che l’Europa che invecchia abbia bisogno di immigrati. Io credo invece che abbia bisogno di rimettersi a fare figli”. Per ovviare al problema della natalità, Fontana propone incentivi quali aumento degli assegni familiari o riduzione dell’IVA sui prodotti per i neonati, oltre al potenziamento dei consultori al fine di dissuadere le donne ad abortire.

Questo il biglietto da visita con cui si è presentato al Quirinale per il giuramento del nuovo governo, a cui sono seguite a tempo record le prime interviste per dichiarare che le famiglie arcobaleno per legge non esistono.

Le reazioni dal mondo LGBT non si sono fatte attendere. Marilena Grassadonia, presidente dell’associazione “Famiglie Arcobaleno”, ha commentato sottolineando che “I nostri figli non sono un’ideologia, sono una realtà. Il ministro Fontana ha giurato sulla Costituzione e dunque mi aspetto che sia il ministro di tutti gli italiani, anche dei nostri bambini.”

Le ha fatto eco Andrea Rubera, esponente dei Gay Cattolici Italiani, che ha ricordato come sia purtroppo vero che i figli delle famiglie arcobaleno non siano tutelati dalle leggi, bensì dalle sentenze dei tribunali. Eppure esistono e sono integrati ovunque.

Per questo le dichiarazioni di Fontana e Salvini, in cui rendono noto che non è previsto alcun cambiamento alla legge sulle Unioni Civili secondo il contratto di governo, non rassicurano, ma gettano luce su una preoccupante realtà: nei prossimi anni nulla verrà fatto per adeguare la legislazione alla realtà della contemporaneità.

Una realtà che poco si riflette nell’idea del ministro, di una società composta da individui di un unico orientamento sessuale, un’unica religione, un’unica nazionalità.

Come dichiarato da Monica Cirinnà, “madre” della legge sulle unioni civili, negare l’esistenza di chi chiede diritti e riconoscimento equivale a voler oscurare una parte dei cittadini del nostro Paese.

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