Il sipario calante sul Salone del Libro di Torino


Il Salone del Libro di Torino è ormai rinomato per la sua completezza tematica e il suo essere un’importante vetrina per tutto il mondo dell’editoria e non solo. Un evento che permette di coinvolgere qualsivoglia generazione e tutte le innumerevoli sfaccettature di interessi nella carta stampata. Insomma, un evento coinvolgente su talmente tanti fronti, da essere teatro di una vera e propria invasione dell’area espositiva del centro Lingotto Fiere di Torino. Anche quest’anno non è stato da meno con un successo recensito da tutte le maggiori testate giornalistiche locali e non.

Il salone del libro con il sipario calatoTutti parlano dei preparativi, delle aspettative, dei risultati in itinere e al termine dell’evento, ma di quel frangente in cui ci sono gli ultimi acquisti, in cui si inizia a inscatolare nuovamente tutti i libri, in cui si incomincia a chiudere baracca e burattini, quello no, non interessa quasi mai a nessuno. Io, invece, ho trovato nelle ore finali del Salone del Libro di Torino, un crogiolo di emozioni, sensazioni, elementi caratterizzanti la fiera torinese. Quei momenti prima che il telo del sipario tocchi il pavimento del palcoscenico, che contengono il sospiro finale dei protagonisti dello spettacolo. Ed è lì che volevo arrivare.

Innanzitutto la prima cosa che salta all’occhio sono gli spazi. Durante tutta la fiera, riuscire a camminare tra gli innumerevoli stand è sempre un delirio senza senso e fare a spallate per sfogliare due pagine o vedere il relatore che interessa fa parte del gioco è risaputo. Invece nelle ultime due ore tutto cambia, c’è ancora gente, ma si può camminare ciondolando in mezzo alle corsie che si districano tra i vari banchetti. Si vedono tante scartoffie per terra, rimasugli di tovagliolini nei pressi delle aree ristoro, qualche scontrino caduto a terra, alcuni fogliettini di carta smembrati in piccoli pezzetti da qualche visitatore forse annoiato. Ci si rende conto che non è solo la fine di una giornata, ma la fine dell’evento intero.

Poi si alza lo sguardo mentre si cammina, e si vede il Salone del Libro di Torino da un’altra angolazione. Quella dei volti. Occhi sorridenti che celano una stanchezza disumana. Un sentimento realmente visibile solo quando i commessi distolgono lo sguardo dal curioso che hanno avvicinato nella speranza di vendere un altro libro. Una vendita, questa, oramai quasi solo più il frutto del voler alleggerire il carico da portar via dallo stand. Testimonianza di questo trend sono i cartelli e i fogli A4 scritti con pennarello nero con la dicitura “SCONTI DI FINE FIERA” oppure semplicemente la percentuale scritta a caratteri cubitali.

I saldi generano quell’ultima corsa all’affare. Una corsa a cui partecipano anche i dipendenti dei vari stand che “finalmente” – direbbero loro – riescono a trovare un momento tutto loro per godersi il salone. Li si vede girare sicuri della loro direzione, perché magari hanno già avuto qualche soffiata i giorni precedenti sugli stand più attinenti ai loro gusti. Si vedono molti sorrisi tra colleghi di pochi giorni che si sono conosciuti con piacere per riempire insieme i brevi momenti di pausa. Poi via, dritti di ritorno alle loro postazioni facendo lo slalom tra gli ultimi clienti e i dipendenti delle pulizie che incominciano a spingere la propria attrezzatura per il lavoro più lungo, perché per loro il sipario non è ancora realmente calato.

Ma le sensazioni che si percepiscono non finiscono qui, il ticchettio dell’orologio si avvicina al GONG finale, i lavoratori stremati sono seduti con le maniche delle camice stropicciate che non sono più arrotolate con la perizia iniziale, ormai solo un ricordo lontano. Le lavoratrici portano le mani al volto per sistemare ancora una volta, l’ennesima, le ciocche dei lunghi capelli dietro le orecchie, sempre che non passino direttamente al raccoglierli a coda di cavallo prima dello step finale: l’inscatolamento.

Le scatole. Diventano loro le protagoniste di questo momento. Sfilano dietro i banchi con ancora libri esposti e vengono ricomposte accompagnate da colonne sonore di nastro adesivo largo e marrone srotolato, attaccato, troncato. Non è più il tempio delle colte disquisizioni sui più disparati temi, non è più l’anfiteatro delle opere liriche di pagine che cantano lo sfogliare della carta con le dita. Un formicaio si impossessa del Salone del Libro e incomincia a trascinare il tutto fuori.

Gli stand si svuotano e ritornano alla loro intonsa composizione originale. La luce del tramonto, solitamente sui tetti di Torino, ora entra dalle porte d’uscita per lo scarico e carico merci stendendo un tappeto luminoso sulla soglia . I camioncini e minivan fanno la spola. Il tessuto del sipario oramai è calato fino al pavimento del palcoscenico editoriale torinese. Il serpente della coda per entrare ora ha invertito la sua direzione e abbandona, stanco ma soddisfatto, la vetrina in cui ha fatto sfoggio dei suoi colori, dei suoi odori e dei suoi suoni.

 

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