Estopia capitolo VIII – Luthen


Capitolo precedente: In Viaggio

 

La giornata di marcia si compì nel silenzio più assoluto. Lidia rivolse a Freyja a malapena qualche parola, principalmente per esortarla a non rallentare il passo e, verso sera, per informarla che si sarebbero dovute accampare in qualche luogo (possibilmente riparato) e che avrebbero passato la notte all’addiaccio. Non c’erano insediamenti abitati raggiungibili a piedi in quella parte delle Highstorm e la notizia a Freyja parve strana: non era mai stata una scolara particolarmente brillante ma ricordava molti villaggi sulle mappe che aveva osservato durante le lezioni di geografia e lo stesso Belafois, che era un villaggio piuttosto grande, non le era mai sembrato così isolato. Forse, si disse, loro stavano seguendo un percorso eccezionalmente deserto ma avrebbe creduto che la catena delle Highstorm fosse più popolosa, per lo meno a quelle altitudini.

Seppur spaventata all’idea di dormire all’aperto, Freyja si sforzò di mostrarsi disinvolta. Rimpianse di non avere condotto il suo pony in quell’avventura, chiedendosi se mai Lidia le avrebbe permesso di portarlo con loro. Probabilmente no, si disse.

Quando il sole fu completamente tramontato e la sola luce ad illuminare il sentiero fu quella della luna, Lidia decise di addentrarsi tra gli alberi che lo costeggiavano, cercando uno sperone di roccia, una catasta di legna  o qualunque cosa che potessero interpretare come un riparo. Non avevano percorso che poche centinaia di metri quando scorsero alcuni massi disposti l’uno accanto all’altro a creare un semicerchio irregolare. Si sedettero, senza tanti complimenti, con le spalle rivolte alla roccia stringendosi nei mantelli e Lidia estrasse dal suo fagotto le solite focacce stantie e due mele porgendole a Freyja con un sorriso con cui sembrava scusarsi per il misero pasto. Rifiutò categoricamente di accendere un fuoco, sostenendo che fosse troppo rischioso, così mangiarono al buio, in silenzio e quando ebbero finito Lidia si sdraiò. Freyja, stanchissima e infreddolita, non poté fare altro se non vincere il proprio persistente imbarazzo ed accoccolarsi contro la schiena dell’amica alla ricerca di un po’ di tepore umano. Fortunatamente le ore di marcia forzata furono utili ad entrambe per sprofondare nel sonno e nel giro di pochi minuti, si assopirono.

Neanche un’ora dopo aver ripreso la marcia, la mattina successiva, raggiunsero un altipiano con un piccolo lago di montagna. Alla vista dell’acqua blu, l’umore di Freyja subì un’impennata di entusiasmo e la fanciulla si precipitò  verso la riva. Domando a fatica l’impulso di sbarazzarsi dei vestiti per fare una nuotata si accontentò di bagnarsi i piedi indolenziti. Nonostante la scarsa attitudine a comunicare che l’amica aveva mostrato in quei primi giorni di viaggio non le consentisse ancora di comprendere appieno la serietà della loro missione, Freyja aveva deciso, per scrupolo, di imporsi un contegno grave e dignitoso ma la faccenda si stava rivelando più spinosa del previsto.

“Lidia…è meraviglioso!” Si sfilò le scarpe e le calze, rabbrividendo mentre immergeva i piedi nell’acqua. “E’ gelata…”

Lidia la raggiunse con calma e si sedette su una roccia al suo fianco. Il sole d’alta montagna era caldo e per respirare meglio, sbottonò la giacca.

“Forse dovremmo approfittarne per rinfrescarci.” Sfiorò l’acqua con indecisione.

Freyja si sporse oltre la spalla dell’amica per cercare, finalmente, di specchiarsi nella superficie limpida limpida del lago.

“Cerca di non cadere dentro, per favore: vorrei evitare di…”

“Lidia!” Esclamò Freyja facendo un salto indietro. Lidia schizzò in piedi guardandosi intorno.

Senza parlare, Freyja la afferrò per la manica e, lentamente, la ricondusse verso l’acqua.

“Ma…perché?”

Tremolanti e un po’ sfocate ai loro piedi, il lago rifletteva due figure: quella di un giovane alto con folti capelli neri e, accanto, una sagoma più minuta, incorniciata da lunghi riccioli biondi.

“Perché tu conservi la forma che ti ha conferito l’incantesimo mentre io…sono la solita me stessa?”.

Un lampo cupo attraversò gli occhi di Lidia, o almeno fu quello che a Freyja sembrò di vedere ma fu solo un attimo. L’amica indietreggiò di un passo, con un sorriso storto.

“Ma è chiaro: la mia magia è molto più potente su di me, mentre su di te l’effetto è smorzato. Piuttosto, ora che lo sai, cerca di fare attenzione e non andare a chiedere altri specchi in giro…”.

Freyja spalancò ancora di più la bocca: “Come fai a sapere che ho cercato uno specchio dalla vecchietta? Mi spii con i tuoi poteri?!” Il suo tono voleva suonare indignato ma non era sicura di essere riuscita nell’intento.

“Diciamo che mi preoccupo che non ti accada nulla.”

Freyja si voltò stizzita. “Scusa se te lo dico ma non mi sembra il modo! So badare a me stessa!”

“Scusami, Freyja, non volevo essere indiscreta…”. Lidia le sfiorò la spalla ma Freyja si divincolò, andando ad accovacciarsi su un masso sistemato un po’ più in alto.

Passarono alcuni minuti in silenzio, poi Lidia disse.

“Beh, se non mi vuoi perdonare, immagino non vorrai nemmeno fare il bagno con me e io devo proprio approfittare di quest’acqua limpida…”.

Freyja sussultò: Lidia non poteva aver letto nella sua mente il desiderio di tuffarsi, poco prima…

Iniziava a pensare che l’amica si preoccupasse un po’ troppo sfacciatamente per la sua incolumità.

Ciononostante, anche lei voleva nuotare ed era molto più che disposta a perdonare quell’invadenza pur di passare una mezz’ora spensierata. Si voltò sorridendo proprio mentre l’amica piegando le ginocchia spiccava un lungo salto, tuffandosi con eleganza nel lago.

Una repentina ondata di imbarazzo stava per assalirla alla vista del corpo nudo di Lidia ma, con uno sforzo, Freyja riuscì a reprimerla: erano nella stessa situazione, due ragazze o due ragazzi, erano soltanto le amiche di sempre. E aggrappandosi con forza a questo certezza, si spogliò in fretta anche lei e, tuffandosi, sollevò un mare di schizzi.

Era incredibile ma non aveva più visto Lidia ridere o divertirsi sin da quando erano bambine. E la cosa buffa era che, in effetti, agli occhi di un estraneo, non era affatto Lidia quella che rideva ma la sua copia maschile.

Una volta che si furono stancate di nuotare, si stesero sull’erba verde per asciugarsi al sole.

“Oh Lidia, è magnifico.” Mormorò Freyja fissando il cielo. “Non fraintendermi, so che questo non è un viaggio di piacere, ma ho la sensazione di non essere mai stata così bene in tutta la mia vita…”

Si voltò, sorridendo. Lidia annuì guardando il cielo.

“Capisco cosa intendi.” Disse in un soffio. Poi si rigirò su un fianco, puntellandosi con un gomito, e aggiunse: “Freyja, finché siamo sole va bene, ma dobbiamo smetterla di chiamarci con i nostri nomi se non vogliamo tradirci, prima o poi.”

Anche Freyja si tirò su.

“E’ vero, dobbiamo trovarci dei nomi nuovi.” Sorrise. “Come vorresti che ti chiamassi?”

Lidia la guardò negli occhi a lungo e con aria solenne, il che provocò in Freyja un miscuglio di sensazioni confuse, e infine disse.

“Vorrei che mi chiamassi Luthen.”

Freyja annuì.

“Va bene: Luthen. E’ un nome strano ma mi piace: è esotico!” Ridacchiò. “Invece io ho sempre pensato che mi sarebbe piaciuto chiamare un figlio Roderick, quindi puoi chiamarmi Roddy, che te ne pare?”

“E’ un nome davvero stupido, ma se ti piace…”

“Come osi? Pensi che il tuo sia meglio? Non ha nemmeno un diminutivo…come dovrei chiamarti, Luthy?!”

“Non ne avresti il coraggio…”

Ridevano rumorosamente e Lidia sembrava aver dimenticato del tutto i suoi crucci. Così, tra uno scherzo e una canzonatura, la sosta trascorse piacevole.

Le due amiche erano ancora di buon umore quando si rimisero in viaggio e Freyja pensò che fosse un’eccellente occasione per chiedere a Lidia qualche informazione in più sulla loro meta.

“Non vorresti raccontarmi qualcosa della tua famiglia, Luthen?” La guardò di sottecchi.

Lidia sembrò riflettere un attimo.

“Non ti dirò della mia famiglia, amica mia, ti racconterò del mio Paese e di come sarà quando lo vedrai.” Si fermò. “Perché sai, Freyja, è lì che stiamo andando, nel Paese della Pioggia.”

Freyja la guardò rapita: era come ai vecchi tempi, quando Lidia iniziava una delle sue storie era come se tutto il resto smettesse di esistere: rimanevano solo le parole di Lidia e le visioni che quelle parole erano capaci di evocare.

“Nel luogo in cui siamo dirette, messer Roderick, piove sempre. L’acqua scende dalle nuvole come una cascata di stelle, come un velo di seta sottile e trasparente che si accende quando i raggi del sole lo attraversano. E’ come se dalle nuvole scendessero gocce d’oro puro e il cielo è solcato da centinaia di arcobaleni…Quando saremo lì, capirai che non c’è niente da temere nella pioggia e l’amerai.” Si voltò a guardarla. “So che la amerai.” Concluse.

Continuarono a camminare finché il sole non scomparve alle loro spalle e quando le prime stelle fecero timidamente capolino, Lidia decise che si sarebbero potute accampare. Neanche quel giorno avevano incontrato villaggi,  nemmeno una casa, quindi si accoccolarono come poterono nella fossa circolare lasciata dalle radici di un albero caduto. Non accesero un fuoco nemmeno quella sera e consumarono silenziose il pasto frugale sotto il cielo stellato ma il loro animo era più lieve.

Quando si furono stese, schiena contro schiena come la sera precedente, Freyja ebbe l’impressione che un tepore piacevole si diffondesse nelle sue membra e, prima di chiedersi se ci fosse di mezzo qualche incantesimo, si addormentò profondamente e non riaprì gli occhi fino a poco prima dell’alba.

Si alzò in piedi constatando di avere una gamba completamente immobilizzata e un dolore acuto e diffuso tra il collo e la schiena. Sperò che gli acciacchi sarebbero passati con un po’ di movimento. Lidia – o meglio, Luthen – dormiva e la sua espressione indifesa e corrucciata intenerì Freyja che rimase a fissarlo per qualche minuto. Mentre era lì a pochi centimetri dal suo viso, egli si mosse, nel sonno e parlò. Fu solo un brontolio inarticolato, ma a Freyja parve di distinguere le parole “carcere” e “ribelle”. Colse anche una parola sconosciuta, un nome probabilmente, ma non poteva esserne certa e non ebbe modo di interrogarsi oltre perché pochi istanti dopo, Luthen (o Lidia) aprì gli occhi. Non sembrò sorpreso di vedere Freyja china su di lui, intenta a studiarne i lineamenti ma, tirandosi a sedere, esclamò: “Ho dormito troppo!”

“Così pare, amica mia.” Freyja si mise in piedi. “E hai anche chiacchierato nel sonno, se vuoi saperlo.”

Lidia la guardò, ancora assonnata.

“Non avrei dovuto dormire…e comunque, ho detto qualcosa di interessante?”

“…credo stessi facendo un brutto sogno. Hai pronunciato un nome ma non l’ho compreso…”

Lidia si fece più attenta e seria. Si passò una mano nei capelli arruffati, alzandosi a sua volta.

“Dobbiamo muoverci, siamo troppo lente.” E così mormorando quasi tra sé, abbandonò il giaciglio e si avviò a passo spedito verso il sentiero del giorno prima. Freyja si affrettò a seguirla anche se, rifletté costernata, mettersi in marcia senza dedicare nemmeno un minuto alla colazione rappresentava, ai suoi occhi, un’idea ben originale.

La mattina avanzò veloce e presto il sole fu tanto alto da farle sudare. Lidia non aveva detto una parola da quando erano ripartite e Freyja, fiutando il suo cattivo umore, era rimasta in silenzio anche lei.

Erano quasi cinque giorni che aveva lasciato casa sua, si chiese se i genitori la stessero cercando, se si stessero disperando per la sua fuga…poveri mamma e papà, pensò, davvero non avevano meritato un dolore del genere. Forse la signora Jennings aveva detto loro che era partita con Lidia, forse ora una spedizione guidata dal padre e da Ben era già sulle sue tracce per riportarla indietro…Alzò gli occhi verso il cielo terso e con una mano cercò di schermarsi dai raggi del sole. Faceva davvero caldo…non avrebbe creduto che a quelle altitudini la temperatura potesse essere così alta. Forse si stavano avvicinando a qualche regione tropicale, pensò tra sé, ma i mucchietti di neve ai lati del sentiero la fecero dubitare di quella conclusione.

Fissò per un attimo i capelli neri ed arruffati dell’amica e, quasi come se lo sguardo di Freyja l’avesse solleticata, Lidia si voltò.

“Cosa c’è?”

Freyja sbuffò. “Non è giusto, tu hai le gambe più lunghe, fatichi di meno. E poi, questo caldo è insopportabile!”

Lidia si fermò asciugandosi la fronte “E’ vero, fa caldo…ed è insolito per questa stagione, si avvicina l’inverno.” Guardò di nuovo Freyja. “Sei stanca? Ce la fai a proseguire? Possiamo fare una pausa se vuoi. Ma non conosco bene questa regione, non sono tranquilla, vorrei sbrigarmi ad attraversare il bosco che segna il confine tra questi monti e la città di Glossa.”

“Di cosa hai paura? Sono giorni che non incontriamo anima viva se si escludono quei due vecchi…non ti spaventeranno gli animali? Una maga potente come te…” Girò lo sguardo intorno e concluse “…e comunque non mi sembra che ci siano nemmeno quelli.”

“Già, non si incontrano neanche gli animali. Anche questo è strano…ma riposiamoci, vieni, cerchiamo un po’ d’ombra.” Lidia afferrò la mano di Freyja e la guidò fin sotto un alto abete, dove sedettero.

La borraccia di Lidia era, stranamente, sempre piena, pensò Freyja mentre prendeva una lunga sorsata d’acqua. Lidia si era allentata il collo della casacca e aveva un’aria accaldata e scarmigliata che rendevano il suo travestimento affascinante, Freyja la guardò imporporandosi e ridacchiando.

“Cosa c’è ora?”

“Niente…” E arrossì di più.

“Non è vero: perché ridi? Ridi di me…” Freyja smise di ridere e fissò l’amica: sembrava irritata.

“Oh Lidia, come sei permalosa. Stavo solo considerando che questo tuo aspetto maschile…beh, non è privo di fascino.” Arrossì di nuovo. “ Ti dona, ecco!” E scoppiò in una risata resa stridula dall’imbarazzo.

Lidia non rispose ma scattò in piedi voltando le spalle all’amica. Esitò un attimo poi disse:

“Ho fatto…insomma, ho reso graziosa anche te. Cioè, non che avessi bisogno dell’intervento della magia per sembrare graziosa…anche come ragazzo…” Incespicò con le parole e Freyja se ne accorse.

“Beh, tu sei venuto meglio.” Si alzò anche lei e andò a pararglisi davanti, sorridendo. “Ecco, intanto sei più alto, vedi…” E, prima che l’altro facesse in tempo a ritirarsi, gli sfiorò la fronte con un dito.

Per un istante tutto fu sospeso: come se la radura all’ombra dell’abete restasse congelata tra un secondo e quello successivo, un istante in cui gli occhi azzurri di Freyja vennero afferrati ed inghiottiti dal nero di quelli di Luthen, soffocando ogni parola ed ogni pensiero.

Poi un uccello volò fuori da un cespuglio e il ghiaccio si sciolse, improvvisamente. Freyja indietreggiò confusa e Lidia si voltò per riprendere la marcia. Fu Freyja però a parlare di nuovo per prima.

“Sai Lidia, stavo ripensando a quello che mi hai detto sulla signorina Ludlum o qualunque cosa fosse, al fatto che si separò da voi prima che giungeste a Belafois…” Freyja si chinò a raccogliere il proprio mantello finito in terra. “Quando ho parlato con la signora Jennings, tuttavia, lei mi disse che ad arrivare a Belafois furono sei persone…o sei entità a quanto pare e che una di queste sparì subito. Disse di averlo percepito e disse che, col tempo, concluse che doveva essere stata la Ludlum. Ma, mi chiedevo, se la signorina Ludlum non è mai arrivata a Belafois, di chi si trattava?”. Luthen si girò a guardare Freyja con le sopracciglia leggermente aggrottate ma prima che potesse rispondere un lampo atterrò con fragore ai loro piedi, facendo volare indietro Freyja.

Atterrò pesantemente contro il tronco di un albero e il dolore le esplose nella testa; un secondo dopo la sagoma scura di Luthen si parava tra lei e una figura avvolta in uno sgargiante mantello rosso.

Seguì un silenzio che sembrò durare un’eternità in cui Freyja pensò che Lidia avrebbe polverizzato il nuovo arrivato. Il suo orecchino si era fatto di un nero intenso e scintillante e proiettava un’ombra scura sul viso di Luthen che però, contrariamente ai timori di Freyja, rimase immobile studiando la figura ammantata. Infine, questa parlò:

“Ebbene?”

Freyja era ancora accovacciata ai piedi del tronco e tentò di rimettersi in piedi ma una fitta di dolore la fece piegare in avanti. Si premette le mani sulla testa e, ritraendole, si accorse che erano coperte di sangue. “Non muoverti.” Le impose Luthen, avanzando verso il nuovo arrivato. Teneva i palmi delle mani rivolti verso il terreno e Freyja ebbe l’impressione che aloni scuri guizzassero intorno ai suoi polsi.

Lidia parlò con voce profonda. “Chi sei? Perché ci hai attaccato?”

“Queste terre sono proibite, vi ho attaccati perché per quanto ne so siete assassini…”

Il nuovo arrivato scostò il mantello rosso con un gesto secco, il cappuccio scivolò via scoprendo un volto giovane incorniciato da lucidi riccioli castani. Da entrambe le orecchie pendevano due orecchini simili a quelli di Lidia, solo molto più piccoli e con una pietra rossa incastonata al centro del pendaglio argentato. Il giovane sorrise, scoprendo una fila di denti bianchi e Freyja, nonostante la ferita, avvertì un rimescolio nello stomaco. Ebbe l’impressione che anche l’incedere di Luthen diventasse per un attimo meno deciso.

“Sono una Guardia Scelta dell’Imperatore, ci sono state due morti sospette in uno sperduto villaggio prima del Picco di Lys e la mia magia mi dice che è da lì che voi venite. Se non bastasse, ho l’ordine di impedire a chiunque provenga dai monti, di accedere a Glossa.” E sempre sorridendo, portò la mano sinistra all’altezza della spalla opposta e, come se stesse lanciando un disco, scaraventò un altro lampo verde verso Luthen.

Ma la giovane Guardia Imperiale doveva aver sottovalutato il suo avversario, perché Luthen scansò l’attacco con grazia e tendendo i palmi delle mani verso di lui lasciò che una lunga spirale nera lo investisse. In pochi secondi l’avversario giaceva inerte ai piedi dell’abete e sarebbe morto soffocato se Freyja, raccogliendo tutte le sue energie non si fosse lanciata verso Luthen e non l’avesse circondato con le braccia gridando.

“Luthen, LUTHEN…smettila: lo ucciderai! Lascialo…”.

Gli occhi di Luthen, ora intensamente neri, erano velati e dilatati: sembrava in trance. Le grida di Freyja lo scossero e, riluttante, abbassò le mani.

La spirale si ritirò liberando il giovane mago che però rimase immobile, al suolo.

“E’ morto?!” Sussurrò Freyja, arrancando verso il corpo rigido e lasciandosi cadere in ginocchio lì accanto.

Lo afferrò per le spalle, scuotendolo debolmente: sembrava così giovane. Gli sfiorò la fronte pallida lasciandovi un’impronta di sangue. “Svegliati, svegliati…non siamo assassini…”.

Si voltò verso l’amica con occhi carichi di lacrime.

“Era solo un ragazzo…l’hai ucciso, Lidia…”.

D’un tratto sentì le forze abbandonarla e scivolò di fianco, accanto al corpo della giovane Guardia, perdendo i sensi.

Riaprì gli occhi dopo quello che le sembrò un momento ma intorno faceva freddo e al posto del sole brillava un lontano spicchio di luna. Provò a sollevarsi ma una fitta alla testa le strappò un lamento e ricadde indietro.

“Ti sei svegliata, finalmente.” Accanto a lei Lidia la osservava con i suoi occhi verdi.

“Lidia…cosa è successo?”

Perché Lidia aveva riassunto il suo aspetto? Poi guardò meglio e si accorse che, inginocchiato lì accanto, c’era ancora Luthen, solo che i suoi occhi, invece che neri come l’ebano, erano quelli color smeraldo dell’amica. Freyja si chiese se la magia di Lidia si fosse indebolita a seguito dello scontro con l’altro mago.

Già! L’altro mago…che fine aveva fatto?!

“Lidia, quel giovane…è morto?” Domandò con un filo di voce.

Luthen la fissò in silenzio per un po’, poi scosse il capo e indicò una sagoma poco lontana.

“E’ lì, sta bene: dorme.” Rispose in tono piatto.

“Oh, meno male…meno male Lidia! Temevo che…avevo paura che l’avessi ucciso…” Calde lacrime riempirono di nuovo gli occhi di Freyja.

“Ci tieni così tanto? Tieni così tanto alla vita di quel giovane?” La voce di Luthen suonò fredda, cattiva, i suoi occhi erano di nuovo due pozze nere.

Freyja cercò di controllare le lacrime che già le correvano lungo le guance.

“Io…tu non sei un’assassina, Lidia, non sei un’assassina…” Singhiozzò. “Hai un grande potere ma devi controllarlo…quel giovane…io non voglio che tu uccida nessuno.” Concluse.

“Quel tipo ha provato ad ammazzarci, se non l’hai notato. Ti ha ferita…”

“Ma io sto bene…” Protestò Freyja.

“Perché io ti ho curata, sciocca! Se fossi stata sola…”

“Ma io non ero sola! Io sono con te e…so che puoi proteggermi, puoi proteggerci da qualunque attacco. Ma quello è solo un ragazzo e tu sei talmente più potente di lui…non devi lanciare incantesimi così distruttivi contro persone che non sono malvagie. Ti prego…”

Lo sguardo di Luthen si addolcì, poi scosse la testa socchiudendo gli occhi.

“Non posso proteggerti da qualunque attacco, amica mia. Ci saranno magie contro le quali il mio potere potrà fare ben poco.” Sembrava parlasse tra sé.

Freyja allungò una mano fino a posarla su quella di Luthen. “Vorrà dire che quando quel momento arriverà, sarò io che proteggerò te.” Sorrise e lui ricambiò la stretta.

“Ti fa male la testa?” Chiese.

“Un po’…” Freyja chiuse gli occhi e sentì la mano fredda di Luthen sfiorarle la fronte. Il dolore si attutì e lei scivolò, lentamente, in un sonno profondo e senza sogni.

Accovacciato lì accanto, Luthen accarezzò lievemente i riccioli biondi sparsi sul piccolo cuscino improvvisato e fissò a lungo e intensamente i lineamenti di Freyja. Non si può dire cosa pensasse in quel momento e se i pensieri arrivassero dalla mente di Lidia o da qualche altro luogo ma rimase a vegliare l’amica, immobile, concentrato, finché l’alba non venne ad illuminare le cime dei monti appena attraversati.

 

Capitolo successivo: Nella Città di Glossa

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