Baustelle – L’amore e la Violenza Vol.2


Baustelle – L’amore e la Violenza Vol.2

Sottotitolo: “Dodici nuovi pezzi facili”

 

 

VOTO: 3,5/5

 

 

 

 

copertina album Baustelle – L’amore e la Violenza

 

Quando, nel gennaio 2017, Francesco Bianconi, leader dei Baustelle, annunciò l’uscita di “ L’Amore e la Violenza ” parlò di un disco “oscenamente Pop”; spiazzando critica e fans, data l’imponenza del precedente e meraviglioso “Fantasma”, disco sfaccettato, complesso e monumentale che, una volta per tutte, confermò lo spessore di una band che ha pochi paragoni nel panorama italiano.

 

La scelta di un cambio totale di direzione si è rivelata, a più di un anno di distanza, estremamente astuta soprattutto nello smarcarsi da qualsiasi gabbia stilistica, pur nella coerenza musicale che il percorso della band di Montepulciano mostra da ormai vent’anni.

Questo successivo “ L’Amore e la Violenza – Vol.2 ” non solo ne riprende il titolo, ma anche la cifra stilistica, smaccatamente ruffiana, alla quale del resto i Baustelle ci hanno abituati sin dal lontano Sussidiario illustrato della Giovinezza, esordio ormai datato anno 2000.

Se l’album precedente, a questo punto vol.1, riprendeva una strada di pop raffinato che i nostri avevano un po’ abbandonato dopo il bellissimo Amen (2008), e parlava di violenza e di guerra, in questo “secondo episodio” a farne da protagonista è invece…L’amore. Curiosamente però il primo cominciava con un brano strumentale che titolava ”Love”, mentre il nuovo album si apre con “Violenza”…

I Baustelle parlano di solitudine, di paura, di rimpianto, ne smussano i profili, di amore indagandone le forme e proiettandole lungo la parete del quotidiano, ridisegnate poi con l’impeccabile uso della poetica che Francesco Bianconi possiede. Certo, tutto ciò è filtrato da un immancabile autocompiacimento e, se vogliamo, un filo di sano snobismo, ma spesso, c’è da ammetterlo, un po’ di retorica aggiunge un pizzico di fascino al tutto.

L’amore è dunque il tema, ma un amore che è spesso rammarico o rimpianto, oppure, quando è vivo, è fotografia della sua precarietà, è coscienza della sua impermanenza.

Il disco si apre il con il già citato Violenza; un rumore bianco di un synth a ricreare un vento che apre a richiami di Dario Argento, conditi da una chitarra che ricorda Josh Homme ma costellata da micro-sample di batteria. Un palese richiamo ai Goblin ed un certo tipo di prog italiano (vedi Il Balletto di Bronzo), in un frullato di citazioni, un caleidoscopio di richiami che diventa linguaggio, che va oltre alle liriche e si fa tappeto sul quale i Baustelle non scivolano mai, marcano i passi con il coraggio di chi non lascia nulla al caso.

Il secondo brano è il solito hit perfettamente pop, armonicamente complesso, eppure perfettamente fluido, liricamente vario per registri e mai perfettamente lineare (L’ombra di Veronica, vivi per Veronica, vedi Berlino distrutta dalla svastica, chiedi che le sia più dolce la rinascita); tutto è complesso e maniacalmente articolato, ciò nonostante fila licio come l’olio.

Come detto, Bianconi gioca a fare l’equilibrista sul crinale che divide la superficie dalla profondità, e, come è lecito aspettarsi, ogni tanto gli capita di restare intrappolato dai cliché come in Lei Malgrado te (Tutto mi parla di te, perfino la tua assenza mi fa compagnia, a volte può succedere che la follia ci prenda per mano. Tu mi lasci sulla strada e poi la pioggia scende giù, cade, aspetta che io cada, lo sai, e che non ti pensi più). Il brano è però musicalmente intenso, un mid-tempo dai toni gravi, con arrangiamento di archi disco-sinfonici, già sperimentato nel brano “La musica sinfonica” del disco precedente.

La successiva Jessie James e Billi Kid si apre con un onesto riff di sintetizzatore che ricorda “Sergio”, bellissimo brano del terzo disco “La Malavita”, che si traduce in una onesta ballad da amanti fuorilegge, come sempre fluida, ben scritta, dal testo obliquo.

Negli album dei Baustelle però c’è sempre un vero e proprio scivolone, dovuto per lo più alla passione dei nostri nel giocare con i riferimenti un po’ trash di certa musica degli anni settanta, ed eccolo puntuale con il titolo A Proposito di Lei, poco più che un divertissement tra Lee Hazlewood e Nancy Sinatra, esasperando troppo l’uso dei cliché.

Si ritorna subito sui binari con il secondo brano strumentale del disco La Musica Elettronica, in cui una lenta cassa in quattro sostiene una trama di bellissimi oscillatori fino all’intervento di una sorta di clavicembalo che lascia spazio ad un Mellotron che spezza il fiato; sonorità paradisiache per qualsiasi appassionato del vintage.

Il “lato B” dell’album segna un trittico d’effetto, che si apre con Baby, dichiarazione di dipendenza di un ex poète maudit (Baby, il mondo la domenica mattina, la paranoia della sera prima è solo un sentimento passeggero, un altro giorno osceno si avvicina…), prosegue con Tatzebao, dove si fa forte il sentimento di anarchica alienazione dal mondo dell’amore.

Il cielo è un ematoma
Mio padre è punk
Ritorna Lassie a CasaPound
Ha un fascino discreto la borghesia
È ancora vero mamma mia

Chiude il terzetto la bellissima “L’amore è negativo”, tra i brani migliori del disco e sicuramente quello più rappresentativo rispetto alla chiave crudelmente disincantata ma inguaribilmente passionale dell’amore che è il leitmotiv del disco; ci si abbandona all’amore, e fanno capolino evidenti riferimenti alla storia privata di Bianconi, facendosi carico di tutto il dolore che arriverà, perché arriverà.

Spegni l’ego, spegni l’abat-jour
Stringimi forte, fammi l’autopsia
Butta il buono, il pop, la tappezzeria
Tieni le mosche, il sangue, amica mia

Il disco si avvia alla conclusione passando per “Perdere Giovanna”, sulla agrodolce libertà che segue una perdita, e “Caraibi”, bel brano che venne addirittura tenuto fuori dall’esordio di Sussidiario Illustrato della Giovinezza.

Come sempre i Baustelle conservano però la freccia letale per l’ultimo brano “Il Minotauro di Borges”, rimando esplicito a “La casa di Asterione” di Jorge L. Borges, che incarna la faccia distruttiva che si nasconde dietro gli amanti, che lotta, e quasi sempre vince, contro il desiderio di amore.

Io sono un mostro e tu chi sei?
Come ti chiami? Come stai?
Vorrei parlarti ma è impossibile
Sono una bestia e adesso sai
che non appena incontrerai
il minotauro morirai

Ed è così, in un’epica stratificazione di arpeggiatori sintetici e urla femminili, che si chiude il disco, non certo con uno spiraglio di luce; quello che però emerge qui non è una rassegnata accettazione della fine, bensì piuttosto una dichiarazione di amore verso i sentimenti, i più sinceri e intensi, finanche i più dolorosi.

“ L’amore e la Violenza – Volume 2 ” è, come dichiarato, un disco di “pezzi facili”, confezionato però con la solita maestria, che non manca mai di lasciare qualcosa di forte nell’ascoltatore; non è di certo il loro disco migliore, la vetta di “Fantasma”, per un verso, o di “Amen”, per un altro verso, sono ancora lontane, ma questo album pone un altro tassello in una carriera sempre più imponente, che sembra comporre un monolite fatto di piccole cesellature mirate con una lucidità che, nel panorama italiano, difficilmente trova eguali.

Insomma, a molti risulteranno anche antipatici ma… lunga vita ai Baustelle.

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