L’inferno sulla terra: la disumanità regna nel Ghouta Orientale


Quattrocentomila vittime, 6.3 milioni di sfollati e più di 5 milioni di rifugiati nei Paesi limitrofi: queste le spaventose cifre (fonte: ONU) che più di tutte possono raccontare il conflitto scoppiato in Siria il 15 marzo del 2011 e ancora attualmente in corso.

Un nuovo sanguinoso capitolo di questa guerra tra regime e ribelli è stato scritto negli ultimi giorni di febbraio: le forze militari del presidente siriano Bashar al Assad il 18 febbraio hanno iniziato a bombardare pesantemente il Ghouta Orientale, area a 15km da Damasco in cui vivono 400mila persone sotto assedio dal 2013 e una delle ultime roccaforti delle forze jidahiste che si oppongono al governo.

Si contano 560 vittime, di cui 140 bambini.

Con questa nuova escalation di violenze al Assad spera di infliggere il colpo finale ai propri nemici che da 5 anni occupano l’area non facendosi scrupoli a usare la popolazione locale come scudi umani e condannano i civili di Damasco a vivere in un costante regime di terrore con il continuo lancio di missili verso la capitale.

A seguito di questo nuovo attacco del regime il Ghouta Orientale è stato descritto come l’inferno in terra: l’emergenza umanitaria ha raggiunto livelli preoccupanti. Diverse infrastrutture civili sono state colpite, tra queste sei ospedali. Mancano beni di prima necessità come cibo, acqua e medicine. La malnutrizione solo negli ultimi mesi è aumentata di cinque volte. I rifugi sotterranei in cui si nascondono i civili sono privi di servizi igienici e le malattie dilagano.

Andrea Iacomini, portavoce di Save The Children, parla di “continua lotta per la sopravvivenza e strage di innocenti”.

La comunità internazionale ha espresso la sua indignazione tramite le parole del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che si è detto “profondamente allarmato” e ha chiesto l’interruzione immediata dei combattimenti.

Il 24 febbraio scorso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato una risoluzione che prevedeva il cessate il fuoco per 30 giorni. Risoluzione che è stata successivamente bloccata dalla Russia, alleato dal 2015 di al Assad, che, come misura alternativa, ha ordinato una tregua quotidiana di 5 ore al fine di consentire l’evacuazione, attraverso la creazione di un corridoio umanitario, degli oltre mille feriti che necessitano di cure immediate.

Al momento l’ordine di cessate il fuoco dalle 9 alle 14 non è stato rispettato e non un singolo civile è riuscito a lasciare le zone colpite. Secondo il SOHR (Osservatorio siriano per i diritti umani) il governo ha ordinato attacchi aerei durante la tregua, mentre Sana, agenzia di stampa di Stato, afferma che i ribelli hanno bombardato il corridoio umanitario e utilizzato scudi umani.

Non poche le voci che si sono unite nella condanna in primis del regime, che ha fatto della violenza un’arma strategica al fine di annientare la volontà dei propri nemici, ma anche della comunità internazionale, incapace di trovare e applicare una soluzione efficace al fine di porre fine al conflitto e soccorrere la popolazione civile.

Tra queste quella di Ghanem Tayara, presidente dell’UOSSM (Union of Medical Care and Relief Organisations): “Sono imbarazzato dal consiglio di sicurezza ONU”, ha dichiarato, “Le nazioni più potenti al mondo non riescono a garantire gli standard minimi in termini di diritti umani e decenza”.

Disumanità, violenza, dolore e morte: un inferno, quello del Ghouta Orientale, per il quale le istituzioni internazionali non devono solo esprimere indignazione, ma devono lavorare a una risoluzione decisiva per porne subito fine.

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