Estopia capitolo I – Belafois


Il paese di Belafois, nella terra di Henn, era incastonato in una conca lussureggiante, tra le pendici della catena montuosa di Highstorm e le rive dorate del lago Appaloosa. L’intero villaggio, che si allungava per poche centinaia di metri da nord verso sud, godeva di un clima asciutto e mite e i giorni di pioggia, in un anno, si contavano a stento sulle dita di una mano poiché le alte montagne e le brezze profumate che spiravano dal lago impedivano alle nuvole dense di riversare il loro carico sui tetti rossi. Gli abitanti più anziani di Belafois sostenevano che, nel periodo della loro giovinezza, potessero passare interi lustri senza che nemmeno una goccia di pioggia venisse giù dal cielo, pure, i campi erano sempre verdi e fertili perché i ruscelli, alimentati dal ghiacciaio, li nutrivano in abbondanza con le acque pure e benefiche che scaturivano dalla montagna. Freyja non aveva visto la pioggia molte volte in vita sua e non faticava a credere che potessero passare anni interi senza che le nuvole decidessero di venire a sfogare i loro strali sulle vie e sui campi di Belafois.
Inoltre, volendo essere schietti, Freyja non amava affatto la pioggia.
Quando aveva poco più di sette anni, una volta, era rimasta chiusa a scuola, nella sua classe vuota, mentre sul villaggio infuriava il temporale: l’episodio l’aveva talmente sconvolta che ancora adesso, a quasi sei anni di distanza, la sola possibilità che potesse scatenarsi un diluvio e lei ritrovarsi da sola la atterriva.
Eppure, era stato proprio sei anni prima, durante quella terribile tempesta, che aveva conosciuto quella che sarebbe diventata la sua amica più sincera.

Lidia l’aveva trovata, tremante, accoccolata sotto la cattedra con i lacrimoni paurosi che le rigavano le guance: quella bambina paffuta le aveva ispirato una simpatia del tutto inusuale e si era data da fare per tranquillizzarla un po’ e convincerla a smettere di piangere. Lei non temeva affatto la pioggia, anzi, le piaceva e spesso raccontava storie di luoghi lontani da Belafois, paesi dove le nubi si formavano dal niente e dove pioveva talmente tanto che  per spostarsi da una casa all’altra era necessario utilizzare zattere di legno e vascelli leggeri e colorati. Una volta, molti mesi dopo quel loro primo incontro a scuola, Lidia aveva confessato a Freyja di non appartenere alla valle  Appaloosa ma di essere nata nel luogo lontano protagonista di tutte le sue storie e le aveva anche svelato, in gran segreto, che la missione della sua vita era quella di riuscire a tornare nel Paese della Pioggia, il suo luogo natale, e spodestare il sovrano crudele che aveva usurpato il trono di suo nonno.

Naturalmente, Freyja sapeva bene che le storie di Lidia erano solo invenzioni e che lei era nata e cresciuta a Belafois, ma sentire l’amica raccontare di quei posti remoti la riempiva di orgoglio e di affetto nei confronti di quella bambina, così coraggiosa e diversa da lei. Non c’è da stupirsi che vedere Lidia e Freyja scorrazzare insieme per le stradine di ciottoli suscitasse, anche dopo tanti anni, i commenti divertiti degli altri abitanti del villaggio: era come vedere il sole e la luna andarsene a braccetto, chiacchierando fitti. Lidia superava Freyja in altezza di quasi tutta la testa, i lunghi capelli erano neri e lisci come la seta e gli occhi, freddi, di un verde intenso, risaltavano sul pallore del visetto affilato; abitava con i suoi genitori, gente molto solitaria, in una casa grande e un po’ tetra su una collina, appena fuori dal villaggio e nessuno l’aveva mai vista parlottare con qualcuno con l’aria soddisfatta che sfoderava quando era con la sua amica.
Freyja era l’esatto opposto: più piccola e rotondetta, metteva allegria solo a guardarla con i morbidi riccioli dorati che le scendevano scomposti sulle spalle, gli occhi grandi e azzurri, le guance rosee e una risata perenne pronta a scuoterla da capo a piedi, contagiando chiunque avesse intorno. Freyja abitava proprio sulla piazza centrale di Belafois, in una casa graziosa con l’intonaco giallo e sgargianti gerani ad ogni finestra, la madre gestiva un piccolo negozio di ghiottonerie sulla stessa piazza e il padre, un medico generico, era il vice-sindaco del paese.

Un giorno di primavera, Freyja era impegnata a raccogliere fiori per decorare il negozio della madre in un grande prato di fronte al lago quando Lidia la raggiunse e si sdraiò sull’erba accanto a lei, con un’espressione contrita.
Freyja smise di intrecciare la ghirlanda di boccioli candidi e accarezzò la fronte dell’amica con le sue dita paffute. Negli ultimi tempi Lidia era diventata più scontrosa, era spesso di cattivo umore e non sopportava la compagnia di nessuno, a parte quella di Freyja.
“Cos’hai Lidia, non stai bene?”
L’amica le rivolse un’occhiata imbronciata sollevando appena la testa dall’erba.
“Sono stufa, Fyj, stufa di starmene qui con le mani in mano quando nel mio paese mio nonno aspetta solo che io trovi la forza e il coraggio di tornare per salvare lui e i suoi sudditi.”
Freyja sorrise, rassicurata: era evidente che l’amica avesse di nuovo voglia di raccontarle una storia e a lei le storie di Lidia piacevano più della cioccolata calda che preparava sua madre.
“Ma sei ancora troppo piccola per andare a salvarli e loro lo sanno, non hai ancora tredici anni…” Le diede corda, riprendendo ad intrecciare le margherite.
Lidia si sollevò bruscamente su un fianco, era sempre più accigliata.
“Lo so, accidenti, sono piccola…troppo piccola e debole, maledizione!”
Freyja trasalì nel sentire quell’imprecazione e guardò l’amica con disapprovazione.
“Lidia, non sta bene!”
“Oh, cosa vuoi che me ne importi, Freyja?! Davvero non capisci quanto sia grave la situazione!” Lidia parlò con veemenza ma al rimprovero dell’amica, un leggero rossore le aveva imporporato le guance. “Se mio nonno non torna sul trono, il Paese della Pioggia svanirà sotto l’acqua. La pioggia cadrà e scroscerà talmente a lungo che le nubi prenderanno il sopravvento e non risponderanno più all’autorità di alcun sovrano. Il Paese verrà cancellato o forse semplicemente nascosto da tanta acqua ma non farà nessuna differenza: nessuno potrà più trovarlo, i suoi abitanti moriranno…”
Si fermò un istante lasciandosi di nuovo andare, pesantemente, sulla schiena. “E io non potrò più raggiungerlo”.  Aggiunse con un filo di voce.
Freyja smise di nuovo di trafficare con i suoi fiori e guardò Lidia, preoccupata. Quando raccontava le sue storie era sempre molto presa, ma di solito si trattava di racconti allegri in cui Lidia descriveva le meravigliose assurdità di quei luoghi frutto della sua fantasia. Freyja si divertiva ad ascoltare descrizioni così vivide e non si chiedeva mai se Lidia credesse veramente nelle storie che le raccontava. Quel giorno però l’amica sembrava davvero preoccupata, preoccupata e seria come una bambina di dodici anni, che per di più viveva a Belafois, non avrebbe dovuto proprio essere. Così Freyja si azzardò, per la prima volta, a mettere in dubbio ciò che aveva appena sentito.
“Oh Lidia, non essere così triste.” Le disse, toccandole la mano tra gli steli d’erba “Dopotutto è solo un gioco, non è una cosa vera…Tra poco ci sarà la festa di Primavera, dovremmo pensare a come divertirci!” Sorrise a quel pensiero invitante.
Lidia sfilò la mano dalla stretta di Freyja e, scattando come una molla, si drizzò a sedere. I suoi occhi mandavano lampi.
“Un gioco?! Un gioco…Fyj, cosa stai dicendo?!”. Sibilò.
Freyja si sentì fraintesa e cercò di aggiustare la situazione alla meglio.
“Beh, non un gioco…voglio dire, è per finta, no? E’ solo una delle tue favole, non dovresti essere davvero triste…” Le ultime parole le uscirono in un soffio.
Lidia fu in piedi in un attimo.
“Come puoi dire una cosa del genere?! Freyja, sei la mia più cara amica, l’unica di cui mi fidi e a cui abbia raccontato la mia storia e tu-tutto questo tempo mi hai preso per matta?! Io ti confidavo i miei segreti e tu non credevi a una sola parola? Pensavi che ti stessi raccontando delle favole?!” La voce di Lidia tremava ed era diventata acuta come uno strillo.
Freyja era dispiaciuta per aver fatto andare così in collera l’amica e desiderava sinceramente sistemare le cose ma non sapeva come.
“Lidia, non arrabbiarti, ti prego – si alzò in piedi anche lei lasciando cadere i fiori – non volevo dire che non ti credo…io ti credo, è ovvio! Solo, non mi piace vederti così preoccupata…” La sua voce era supplichevole e i suoi occhi lucidi: era sull’orlo delle lacrime ma Lidia sembrava davvero fuori di sé. Per un minuto non disse niente, continuando a respirare un po’ affannosamente, si voltò e fece un breve tratto di corsa verso il lago, poi ci ripensò e tornò rapida verso Freyja che nel frattempo non osava muoversi. Quando parlò, però, il suo tono era calmo.
“Freyja, non ce l’ho con te ma ora non posso davvero stare a sentire le tue scuse. Lasciami andare a casa, devo riflettere e preferisco stare da sola per un po’. ” Così dicendo, Lidia le voltò le spalle dirigendosi, con passo deciso, verso il villaggio.
Freyja rimase lì in piedi, frastornata, incerta se raccogliere le ghirlande già fatte e tornarsene a casa anche lei o se correre dietro a Lidia e cercare di ammansirla. Quando il vestito blu dell’amica fu solo un puntino tra i fiori bianchi, si decise a chinarsi per raccattare le ghirlande e si avviò verso casa con uno strano senso di vuoto nel petto.

Non sapeva Freyja, quel giorno, che con i suoi dubbi aveva allontanato Lidia in un modo che non sarebbe riuscita a riparare e che le avrebbe private l’una della compagnia dell’altra per lunghi anni a venire.

Pian piano Lidia iniziò a trattenersi il meno possibile dopo la scuola e, stranamente, iniziò a rifiutare tutti gli inviti a fare merenda nel negozio della madre di Fyj. Non andava più al ruscello dopo i compiti e la domenica rimaneva chiusa in casa con qualche scusa. Il giorno della Festa di Primavera saltò fuori che aveva la febbre da fieno e non scese nella piazza a festeggiare; Freyja dovette andare alla fiera da sola e rimase tutto il tempo imbronciata a dare una mano con la bancarella dei dolci che la madre aveva allestito per l’occasione. Era molto addolorata per quello che era successo con Lidia ma era anche indispettita per il comportamento freddo e rancoroso dell’amica.
Intanto, una nuova famiglia, i Paddock, si era trasferita nella casetta affianco a quella del vice-sindaco e poco a poco Freyja fece amicizia con Fiona e Ben, i due figli dei nuovi proprietari. Fiona aveva un anno meno di Freyja, era graziosa e timida con due lunghe trecce color cenere, Ben era di due anni più grande della sorella ed era piuttosto esile e tranquillo per la sua età. La mattina i tre andavano a scuola insieme e nel pomeriggio facevano insieme i compiti. Ben aiutava Freyja con la matematica e Fiona ricamava per lei dei graziosi grembiulini con caramelle di stoffa colorata. Poco a poco, Freyja smise di cercare Lidia, finché un giorno, venne fuori che i genitori l’avevano ritirata dalla scuola decidendo di affidare la sua educazione ad un’istitutrice privata, una tale signorina Ludlum, a quanto pareva una vecchia amica di famiglia che abitava nei pressi di Ingrahm Fall. Freyja accolse la notizia con tiepido stupore concedendosi di ripensare solo pochi attimi all’amica perduta, mentre farciva i panini per un pic-nic organizzato con i compagni di classe.

 

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