(In)Autenticità: l’Esistenza al tempo di Instagram


(In)Autenticità: l’Esistenza al tempo di InstagramChe il nostro sia soprattutto il mondo dell’apparenza non è più una novità: il conformismo della moda e delle opinioni veicolato dal capitalismo, i social media che ci invogliano ad offrire di noi un’immagine sempre perfetta, l’attenzione posta sull’estetica e sullo sfoggio di beni esteriori… è il trionfo di Instagram!

Sono stati riempiti libri su questi argomenti, tutti ormai sappiamo abbastanza sulla “corruzione dei nostri tempi”. Eppure, spesso non riusciamo ad arrivare – se ci arriviamo – più in là della nostra indignazione: pronunciamo distratti e frettolosi “O tempora! O mores!”, ci sentiamo come Cicerone ma solo su Facebook, il nostro sforzo si esaurisce con lo sbotto e il mondo resta tale qual è.

(In)Autenticità: l’Esistenza al tempo di Instagram: Martin HeideggerIl filosofo Martin Heidegger di Essere e Tempo (1927) direbbe che ci muoviamo nel regno dell’Inautenticità, da cui a quanto pare non è in grado di salvarci neanche la conoscenza della nostra condizione – in polemica con Socrate secondo cui la pratica del male dipende solo dall’ignoranza di cosa sia il bene.

Ma cosa conosciamo realmente? Pieni di nozioni sul mondo, ci manca uno sguardo di valore sulla nostra condizione. Ecco che allora può venirci in aiuto l’Esistenzialismo, la corrente filosofica che, in polemica con l’Idealismo, ha attraversato il secolo scorso come una furia, ribaltando le certezze positiviste e razionaliste.

L’Esistenzialismo ha posto l’attenzione sul soggetto, sull’umana condizione e il vissuto interiore, in contrapposizione alla pretesa di poter conoscere il mondo come se lo vedessimo dall’esterno: per dirla con Heidegger, l’uomo è un esser-ci, è un essere gettati-nel-mondo, in un particolare momento e in un luogo precisi. Pertanto, qualsiasi riflessione deve prendere le mosse dalla consapevolezza di questa condizione, che è una condizione del tutto personale.

Spesso invece ci nascondiamo dietro una pretesa di impersonalità, dietro i vari “si dice così”, “si fa così”, come se non fossimo anche noi responsabili di quello che diciamo o facciamo. Diventiamo così vittime dell’heideggeriana “Das Gerede”, la chiacchiera fine a sé stessa, che ci sottrae alla nostra dimensione autentica: l’uomo non è mera presenza, ma progetto, è prendersi cura dell’Essere che va rivelandosi nel mondo.

La filosofia di Heidegger è troppo complessa per essere anche solo brevemente riassunta in questa sede, ma quando ci invita a “prenderci cura dell’Essere” ci sta dicendo che abbiamo bisogno di tempo: tempo per la riflessione, per la cultura e l’arricchimento personale, tempo per stare con le persone che amiamo e con cui godere di un dialogo e di un legame autentici.

Allontanandoci dall’Esistenzialismo per virare verso la Scuola di Francoforte, possiamo citare il filosofo e sociologo Theodor Wiesengrund Adorno, secondo cui una delle spie della malattia della società capitalista è la mancanza di tempo libero – o meglio, di tempo libero speso adeguatamente. L’industria culturale si rende complice di questo appiattimento del tempo libero, che invece di essere speso nell’arricchimento personale viene completamente devoluto a contenuti fini a sé stessi, o soltanto dedicato a distrarci. È il divertissement di cui parlava, ben trecento anni prima, Blaise Pascal in Pensieri (1669):

“Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno risolto, per viver felici, di non pensarci”.

Ma questo non è realmente “vivere felici”, perché felix in latino è attributo di ciò che porta frutto, e ciò che porta frutto richiede attenzione e pazienza – la dimensione della cura di Heidegger e del tempo ben speso di Adorno. Trascorriamo invece le nostre vite nell’Inautenticità, passando da una distrazione all’altra, dimenticandoci di quello che siamo, in barba all’oracolo delfico e al suo monito-limite: “Conosci te stesso, e niente altro!”.

Ecco, noi siamo sempre (de)concentrati sull’Altro, su quello che sta fuori di noi: allora anche “gli altri”, quelli percepiti come diversi – “l’immigrato”, “lo straniero”, “il clandestino” per proporne alcuni spesso citati nei bar – diventano paradigmi per giudicare superficialmente, meri oggetti di cui si pensa di conoscere tutto. Siamo agli antipodi dell’Autenticità!

La filosofia esistenzialista ci mostra che qualsiasi conoscenza che non provenga da una sincera riflessione su di sé non ha valore. Per fare questo viaggio dentro noi stessi dobbiamo sceglierlo liberamente – secondo il filosofo e psichiatra Karl Jaspers, la libertà è il vero segno dell’esistenza – dobbiamo volerlo per primi: in qualunque modo si giunga a questa conclusione, non dovremmo tardare troppo, e nessuno di noi ne è esonerato: anche non scegliere, non fare nulla è una scelta (Jean-Paul Sartre).

E in questo caso la posta in gioco è una vita autentica. La nostra.

 

(In)Autenticità: l’Esistenza al tempo di Instagram: l'asino di Buridano

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