Biotestamento: l’ombra dell’obiezione di coscienza


Le lacrime di Emma Bonino e Mina Welby a Palazzo Madama – dopo il via libera definitivo del Senato alla legge sul biotestamento – sono diventate l’emblema di una grande conquista per un Paese come l’Italia dove la laicità non sempre è sinonimo di liceità all’autodeterminazione. Anni di dure battaglie hanno raggiunto il culmine della tensione in questi ultimi otto mesi: otto lunghi mesi dal sì alla Camera caratterizzati da disaccordi in seno alla maggioranza tra Pd e centristi; otto lunghi mesi trascorsi tra appelli di senatori a vita e sindaci di tutta Italia; otto lunghi mesi terminati con 180 voti favorevoli, 71 contrari e 6 astensioni.

Ma quali parametri e quali limiti introduce la legge sul diritto a rifiutare le terapie?

La legge sul biotestamento si divide sostanzialmente in due parti: la prima, più generale, interessa il consenso informato sui trattamenti sanitari; la seconda, più specifica, riguarda la compilazione delle disposizioni anticipate di trattamento (Dat).

 

Cosa sono le Dat

Soltanto dopo aver ricevuto le adeguate informazioni sulle conseguenze delle proprie scelte, ogni persona che abbia raggiunto la maggiore età e nel pieno delle facoltà mentali può esprimere le proprie volontà sui trattamenti sanitari da ricevere in caso di incidente o malattia che comportino incapacità ad autodeterminarsi.

Le Dat devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e consegnate presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza oppure presso le strutture sanitarie. Per le persone affette da determinate disabilità è contemplata anche la possibilità di usufruire di videoregistrazioni e altri dispositivi che consentano loro di comunicare. Attraverso gli stessi procedimenti è possibile rinnovare, modificare e revocare le proprie volontà in ogni momento, anche a voce in caso di emergenze o urgenza.

 

I limiti

Il divieto all’accanimento terapeutico – comprendente il rifiuto a idratazione e nutrizione artificiali, che tanto hanno fatto scaldare gli ambienti cattolici – ha però dei limiti. La stessa legge che vincola i medici ad attenersi alle Dat, infatti, contempla anche la possibilità di non tenere conto delle volontà del paziente nel caso in cui sussistano terapie (non prevedibili dal disponente all’atto della sottoscrizione) capaci di assicurare possibilità di miglioramento delle condizioni di vita.

E oltre alla beneamata obiezione di coscienza – divenuta ormai lo scudo e la postilla garantista della religione “medicattolica” – la legge consente al medico di appellarsi anche all’inappropriatezza delle scelte se non corrispondenti alla condizione clinica del paziente. Tutto ciò secondo parametri vaghi e indefiniti, non sempre oggettivamente validi e condivisibili.

Il malato potrà comunque rivolgersi a un altro medico nell’ambito della stessa struttura sanitaria”. Certo! Ma esiste una reale tutela al diritto di qualcuno se la libertà di qualcun’altro vale di più di quella di questo qualcuno?

1 comment

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  1. Francesco Barberini

    È chiaro che i diritti di 2 soggetti che “interagiscono” tra loro possano “scontrarsi” richiedendo una mediazione. Io sono contento che venga permesso a noi medici di operare in scienza e coscienza e finora non mi è mai capitato che paziente e parenti non fossero d’accordo con noi sul limite delle cure.

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