Odio razziale: puntiamo sul bianco o sul nero?


L’odio razziale in 15 parole? Facile: “È inutile che vai a scuola, tanto finirai per la strada, tornatene al tuo paese!“.

Insulti, calci, ingiurie, malaugurio e chi più ne ha, più ne metta. Ecco cosa è successo ad una ragazzina quindicenne di colore, di nazionalità italiana, su un pullman della GTT a Torino. Su un mezzo del servizio pubblico, in un luogo pubblico, con del pubblico. Tutto il mondo dei media si è scagliato contro questo atto di razzismo nudo e crudo che senza alcun pudore si è manifestato, come sempre più spesso accade, in un luogo pubblico. La pubblica piazza sembrerebbe essere diventata il palcoscenico di questo genere di esternazioni, quasi a far tristemente pensare che tutto ciò stia diventando parte della consuetudine, che a questo spettacolo pieno di tristi parole la gente quasi stia cominciando a farci l’abitudine. Esagero? Lo spero vivamente.

Molti giornali hanno scritto e scriveranno ancora su questo argomento anche perché tutto ciò sta tristemente diventando, con sempre più frequenza, materiale notiziabile per i quotidiani in Italia e, in generale, in Europa. Questo non vuol certo dire che il vecchio continente stia diventando il calderone di un concentrato di odio razziale, ma sicuramente il ripresentarsi di queste situazioni ogni volta non giova ad ognuno di noi che facciamo parte di questa società. Ma c’è una cosa che inquieta più di tutte: il fattore “pubblico”.

Siamo spettatori che scommettono o che agiscono?

La cosa che più fa pensare è però il ruolo che ha ricoperto ognuno di quelli che erano presenti sull’autobus nel mentre che questo scempio nei confronti dell’homo sapiens sapiens veniva perpetrato. Quello che più ha rombato nella melodia della notizia ai telegiornali è stata la seguente frase: “… Nessuno sul pullman interviene per difenderla..” (0.29 in questo video del TG1 del 12.11.17).

Siamo davvero diventati spettatori silenti di questo odio razziale ingiustificato e senza fondamento? Sarebbe bello credere che così non è, ma nella realtà dei fatti sembrerebbe funzionare diversamente. Non è chiaro quanta gente ci fosse su quel pullman, ma qualcuno c’era e quelle persone sono rimaste in silenzio di fronte alle urla ingiuriose di quell’uomo. Siamo arrivati al punto di osservare come prosegue la partita per decidere quale sarà la nostra prossima mossa come i giocatori d’azzardo? Siamo davvero entrati in un’era della società che interagisce con la realtà solo come se ne fosse spettatrice da dietro uno schermo o che ne rimane isolata fintanto che non ne viene toccata di persona o non se ne parla sui media nazionali? Personalmente credo e spero di no, ma è tristemente vero che questi atteggiamenti apatici sono paurosi e, spesso, sono anche l’appendice di un libro di cui la storia ci ha già pubblicato e mostrato il triste finale. Ciò che fa invece ben sperare, sono tutte quelle associazioni che quotidianamente si prodigano per una maggiore inclusione sociale che non è legata solo al colore della pelle ma che si basa solo sul concetto di uguaglianza dell’essere umano (una fra tante SOS Razzismo Italia). Rimane però vivido e profondo il quesito sul perché nessuno abbia detto nulla. Per paura? Forse, ma non è con la paura che si combatte qualcosa che vive del terrore altrui. Per non rischiare di finire nei guai? Prima o poi atteggiamenti del genere finiranno per investire anche chi si mette un vestito di un colore sgargiante (sempre che già non accada), quindi nemmeno quelli che magari su quell’autobus avevano una sciarpa di un rosso un po’ più acceso del normale ne usciranno indenni. Allora perché nessuno si è voltato e ha fatto in modo anche solo di far spazio alla ragazza in modo che potesse allontanarsi da quella persona che le urlava addosso? Non si parla di fare un’arringa da far invidia ai migliori avvocati nei telefilm statunitensi, ma almeno il gesto. Basterebbe così poco per fare la differenza. Eppure nulla.

Sarebbe opportuno che ognuno di noi cominciasse a ragionare in maniera più profonda su queste cose (ad esempio sul tema del razzismo, su un piano più psicologico, ne parla Benedetta Giagnorio qui), a capire più nel profondo le motivazioni che spingono la gente a non reagire, se non quando parte di una massa, di fronte a cose che dovrebbero generare immediatamente sgomento, sdegno e solidarietà. L’odio razziale sta sempre più dilagando negli ultimi anni nel vecchio continente, fomentato da movimenti estremisti e da politiche poco accorte sul tema, mentre la società sembra pian piano arrendersi all’idea che tutto questo sia la normalità. Questo però non deve accadere e basterebbe veramente poco per capire quanto gli spunti culturali per reagire a queste azioni siano vicini. Per esempio, in Italia esiste uno splendido pezzo di carta che costituisce l’avanguardia antirazzista: la Costituzione! Non serve cercare molto in mezzo alle centinaia di articoli della carta costituzionale, basta fermarsi al terzo articolo:

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”

Incominciamo da questo, un articolo semplice, lineare e chiaro. Partiamo da queste basi che sono fondamento della nostra società civile, di noi italiani, per reagire ad atteggiamenti che non ci appartengono, che non sono degni di essere manifestati in qualsiasi luogo, pubblico o privato che sia. Bisogna agire, mobilitarsi e manifestare il proprio dissenso non solo a posteriori. La differenza la si fa sul momento, quando lo scempio accade, non dopo. Dopo, siamo tutti bravi ad unirci in coro a puntare il dito contro l’odio razziale e coloro che si macchiano di queste indecenze. Dopo, il treno della gogna mediatica contro i malviventi viaggia anche senza che noi ci saliamo sopra.

Le azioni in questi casi contano, contano davvero molto, perché col senno di poi siamo tutti davvero troppo bravi.

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