Referendum in Catalogna, crocevia per l’Europa


Manca solo una settimana al 1° ottobre, data in cui è fissato il referendum in Catalogna. Un tempo molto breve, eppure l’incertezza regna sovrana: al momento non è possibile prevedere non solo l’esito della consultazione, ma neppure se questa si terrà o meno.

Negli ultimi giorni, infatti, lo scontro istituzionale tra Madrid e Barcellona è sfociato in un clamoroso atto di forza da parte del governo centrale: 14 arresti tra i funzionari del governo catalano, con multe fino a 12mila euro al giorno per tutti colori che lavoreranno all’organizzazione del referendum.

Che si condivida o meno la causa dell’indipendenza catalana, una repressione di questa portata non poteva passare inosservata. Soprattutto perché messa in atto all’interno della democratica Europa, dove azioni di questo genere non possono che portare alla mente i fantasmi di un sinistro passato.

Dopo anni nella totale assenza di dialogo politico, il governo Rajoy ha optato per la linea dura. Una scelta che secondo molti osservatori – come Steven Forti su MicroMega – si rivelerà perdente nel lungo periodo, perché fonte di legittimazione per le richieste degli indipendentisti anche agli occhi dell’opinione pubblica internazionale.

Ma l’obiettivo di Madrid è di breve termine: impedire lo svolgimento del referendum in Catalogna. Missione compiuta? Non si direbbe, almeno a sentire il governatore catalano Carles Puigdemont, imperterrito nel dichiarare che la votazione si terrà regolarmente.

Vedremo nei prossimi giorni quello che succederà, sperando non ci siano scontri o altre gravi conseguenze. Certo è che ora più che mai sarebbe necessaria l’apertura di un canale politico di mediazione che nessuna delle due parti sembra volere. Ma che si direbbe l’unico modo per fare qualche passo avanti.

Da un lato infatti Madrid non intende consentire a Barcellona una secessione vera e propria, che tra l’altro la costituzione spagnola non prevede. Lo stesso Rajoy lo ha ribadito più volte, facendone appunto una questione di rispetto della legge.

D’altro canto il governo catalano, pur godendo di un’autonomia già relativamente ampia, aspira a diventare una nazione indipendente per una serie di motivi a metà strada tra l’emancipazione sociale e culturale, la convenienza economica e il folklorismo storico.

Tra queste due soluzioni antitetiche, un punto d’incontro non sembra impossibile: per Madrid si tratterebbe di concedere a Barcellona maggiori possibilità di autogestione – in particolare per quanto riguarda le entrate fiscali – secondo il modello federalista.

Ma resta troppo forte la paura del governo centrale che il referendum in Catalogna possa scatenare richieste analoghe da altri territori – la questione basca è dietro l’angolo – mentre gli indipendentisti catalani vedono l’obiettivo vicino come non mai e puntano a portarsi a casa l’intera posta in palio.

Del resto, non è un caso che la questione catalana sia arrivata proprio ora a un punto di svolta. In Europa le spinte centrifughe hanno già riservato più di una sorpresa, dalla Brexit al referendum in Scozia, denunciando come la crisi degli schieramenti politici tradizionali si stia sovrapponendo sempre più a quella dello stato-nazione di matrice sette-ottocentesca, con buona pace del discorso di Donald Trump alle Nazioni Unite.

Quali risposte può e deve dare la politica in questa fase? Guardando la Spagna, l’unico atteggiamento sensato al momento pare essere quello di Podemos, unico partito che si sta ponendo in una posizione intermedia tra l’intransigenza dell’asse Pp-Psoe-Ciudadanos e la veemenza degli indipendentisti catalani.

Una maggiore autonomia delle regioni sembra essere il naturale sviluppo per un’Europa in cui gli stati, prima o poi, dovranno cedere pezzi ben più importanti della loro sovranità all’Unione Europea, auspicabilmente in cambio di una rappresentanza democratica proporzionata.

Un’autentica federazione multi-livello sarebbe una risposta efficace tanto alle spinte localistiche e alle esigenze di autodeterminazione popolare quanto alla necessità di far fronte unitariamente a un mondo in cui non solo l’economia è globalizzata, ma lo sono anche i conflitti, le migrazioni, le sfide di carattere climatico e ambientale.

Siamo in una fase determinante nello sviluppo della storia europea e mondiale. Un percorso che passa dai negoziati per la Brexit, ma che farà sicuramente tappa anche dal referendum in Catalogna. I prossimi giorni saranno decisivi, e il 1° ottobre 2017 potrebbe essere una data da cerchiare in rosso sul calendario. Comunque vada.

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