Iraq: la liberazione di Mosul e il nuovo scenario post-ISIS


29 giugno 2014: dal pulpito della moschea di al-Nuri a Mosul il leader dell’ISIS Abu Bakr al-Baghdadi proclama la nascita del Califfato.

29 giugno 2017: il primo ministro iracheno Haider al-Abadi annuncia la liberazione a opera delle ISF (Iraqi Security Forces) della città di Mosul, ultima roccaforte dello Stato Islamico in Iraq.

Due date che segnano rispettivamente l’inizio e la fine dell’incubo in cui è piombato l’Iraq con l’avvento dello Stato Islamico che, grazie anche a divisioni interne e debolezza delle istituzioni locali, in pochi mesi ha conquistato numerosi centri abitati sottoponendo le popolazioni del luogo a un regime di vero e proprio terrore.
La risposta dello Stato iracheno non si è però fatta attendere e tra il 2015 e il 2016 la controffensiva guidata dal governo centrale si è intensificata portando alla liberazione di diverse città tra cui Tikrit, Falluja e Ramadi.

Nell’ottobre del 2016 l’esercito anti-ISIS formato da soldati iracheni, combattenti curdi, miliziani sciiti e arabi sunniti supportati dalla coalizione aerea guidata dagli US si appresta a liberare Mosul.
Le operazioni militari che si svolgono mesi successivi conoscono 3 diverse fasi.

Fase 1 (17 ottobre – 1 novembre 2016)
Durante la prima fase le ISF procedono alla liberazione delle zone rurali limitrofe alla città del nord Iraq. Con l’inizio degli scontri armati si registrano anche i primi movimenti migratori. La popolazione locale fugge e cerca riparo principalmente nelle aree limitrofe del governatorato di Ninive, di cui la stessa Mosul è capoluogo. Gli sfollati (16.992 registrati in questa prima fase) vengono sottoposti a un primo controllo di sicurezza e successivamente portati in uno dei 19 campi d’emergenza aperti durante la crisi.

Fase 2 (1 novembre 2016 – 25 febbraio 2017)
Le operazioni militari si spostano all’interno della città e il 24 gennaio Mosul Est viene liberata. Malgrado la parziale vittoria delle ISF sono numerosi (206.976) gli abitanti della zona che lasciano le loro case a causa di condizioni di sicurezza precarie (presenza di ordigni inesplosi), mancanza d’acqua potabile e di elettricità, scarsità di cibo e danneggiamento delle infrastrutture. Parallelamente si registrano i primi ritorni (62.250) degli ex sfollati nelle zone rurali liberate nei mesi precedenti.

Fase 3 (25 febbraio – 10 luglio 2017)
È la fase conclusiva e la più delicata: le ISF entrano a Mosul Ovest, parte della città più densamente popolata. Malgrado il pericolo sono molti gli abitanti della zona che decidono di rimanere nelle loro abitazioni, altri (797.508) scelgono invece la fuga. Tra questi circa 50mila si rifugiano a Mosul Est.

La vittoria sull’ISIS viene dichiarata formalmente dal primo ministro iracheno il 10 luglio.

La bandiera irachena sventola però su una città che ha conosciuto anni di terrore e distruzione: numerosi siti archeologici e infrastrutture sono stati seriamente danneggiati, più di un milione di cittadini sono sfollati e, secondo i dati ONU, l’80% di loro è vittima di traumi psicologici. Lo shock della guerra e della perdita della propria abitazione può sfociare infatti in patologie quali la sindrome da stress post-traumatico (PSTD).

Questo nuovo e importante passo nella sconfitta definitiva dello Stato Islamico ha riportato alla luce conflitti interni momentaneamente passati in secondo piano data l’urgenza della lotta congiunta contro il Califfato.

In primis la questione curda: al fine di frenare l’avanzata dell’ISIS nel nord dell’Iraq l’esercito curdo a partire dal 2014 ha occupato ampie aree della piana di Ninive a est di Mosul, zone a lungo contese tra gli stessi curdi e gli arabi sunniti, e la provincia di Kirkuk, particolarmente ricca di petrolio. Con la fine del regime di Saddam il destino di queste aree si sarebbe dovuto decidere con un referendum ripetutamente posticipato. Ora il problema si ripropone all’interno di un nuovo scenario.

Questione altrettanto urgente è il rischio di scontri tra arabi sunniti e sciiti: i primi costituiscono una minoranza all’interno dello stato iracheno, ma allo stesso tempo sono la maggioranza della popolazione di Mosul che, ai tempi dell’ascesa dell’ISIS, si sentiva particolarmente trascurata dal governo centrale e percepiva l’esercito iracheno, composto principalmente da sciiti, come un occupante: una situazione questa che ha facilitato la conquista della città da parte dello Stato Islamico.

Il primo ministro iracheno è chiamato ora a lanciare un messaggio di inclusione ai gruppi emarginati, tra cui gli stessi arabi sunniti, ma anche i cristiani e gli yazidi, a dimostrare la volontà di intraprendere una vera lotta contro la corruzione e gli abusi di potere delle forze di sicurezza nazionali e, soprattutto, ad avviare un efficace processo di ricostruzione (sinora troppo lento e frammentario) delle città liberate dall’ISIS, garantendo allo stesso tempo supporto alle popolazioni traumatizzate.

Solo ricreando coesione sarà possibile affrontare eventuali nuove minacce da parte del Califfato, che negli anni passati si è sempre fatto Stato dove gli Stati hanno fallito.

+ Non ci sono commenti

Aggiungi