Bando al Qatar: motivi e implicazioni future della crisi diplomatica


Quattro Paesi: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrain. Una decisione presa di comune accordo: interrompere i rapporti diplomatici e commerciali con il Qatar, creando una crepa nel Consiglio di cooperazione del Golfo, organizzazione internazionale regionale che riunisce sei stati del golfo Persico (oltre ai già citati, ne fanno parte anche Kuwait e Oman).

Diverse le motivazioni alla base del bando: il Qatar è accusato di finanziare gruppi estremisti, tra cui Isis, Al-Qaeda e Fratelli Musulmani, di intrattenere rapporti amichevoli con l’Iran e, attraverso la sua emittente nazionale Al-Jazeera, farsi portavoce delle lotte democratiche portate avanti nel mondo arabo e supportare i partiti islamici emergenti in diversi Paesi.

Ma qual è il ruolo giocato sino ad ora dal piccolo emirato nello scenario politico ed economico del mondo arabo?
Quella qatariota è un’economia monodimensionale basata sull’estrazione e la vendita del petrolio, che fa del Qatar la nazione con il più alto reddito pro capite. La diplomazia dell’emirato ha giocato un ruolo particolarmente attivo durante le primavere arabe, andando in parte a colmare gli ampi vuoti di potere generati dai movimenti di protesta scatenatisi in diversi Paesi, tra cui Libia, Egitto, Marocco, Algeria e Tunisia. Ingenti prestiti, acquisizione di attività economiche e di vasti terreni: così il Qatar ha penetrato il tessuto economico delle altre nazioni, ora fortemente condizionate dalle scelte dell’emirato.

Dunque un’economia in costante crescita, che vorrebbe essere portata (in modo probabilmente illusorio) al collasso con l’attuazione del bando promosso dai Paesi del Golfo limitrofi.

Paesi che, almeno in prima battuta, hanno apparentemente dalla loro parte un alleato d’eccezione: Donald Trump.

Il presidente americano, a seguito della sua prima visita in Medio Oriente, il 6 giugno scorso ha espresso attraverso diversi tweet il suo supporto all’embargo del Qatar (approvato appena il giorno precedente) ritenendolo  responsabile di finanziare il terrorismo internazionale.

Le dichiarazioni di Trump non hanno però trovato eco in quelle immediatamente successive dei Dipartimenti di Stato e di Difesa americani, che non hanno nascosto sorpresa per la presa di posizione del presidente.

Il Qatar è infatti un alleato strategico degli Stati Uniti nella regione in quanto ospita un’importante base militare, fondamentale nelle operazioni di antiterrorismo in Siria e Iraq, e numerose università e campus americani.

Da qui la volontà dell’establishment statunitense di confermare l’alleanza in primis militare con l’emirato arabo, a cui il Pentagono ha recentemente venduto 36 caccia F-15 del valore di 12 miliardi di dollari. E proprio dal Pentagono è arrivata una dichiarazione ufficiale al fine di esprimere gratitudine nei confronti del Qatar per il suo impegno nel garantire la sicurezza della regione.

È toccato dunque a Sean Spicer, portavoce della Casa Bianca, negare che Trump fosse intenzionato a prendere posizione contro il Qatar ribadendo l’importanza di un fronte comune e unito per la lotta al terrorismo.

L’ombra degli interessi privati si è fin da subito però addensata sulle dichiarazioni del presidente: il magnate nel corso degli anni ha intessuto rapporti d’affari con le monarchie del Golfo. Gli Emirati Arabi Uniti hanno acquistato proprietà immobiliari del tycoon del valore di decine di milioni di dollari, mentre un principe saudita, Alwalee bin Talal, negli anni ’90 è accorso diverse volte in suo aiuto durante importanti transazioni finanziarie.
Una serie questa di numerosi pagamenti e accordi economici in chiara violazione della clausola anti-corruzione della costituzione statunitense.

La reazione di Doha all’embargo e alle parole del presidente americano non si è fatta attendere: il bando è stato giudicato ingiustificato e una violazione della sovranità dello Stato qatariano.

Diversi i risvolti che potrebbe prendere l’attuale crisi del Golfo: la risoluzione della stessa attraverso un’intensa attività diplomatica o, in caso di conferma dell’embargo, un rafforzamento dei rapporti tra Qatar e Iran e una frattura nel Consiglio di cooperazione del Golfo.

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