L’uomo della panchina


Conoscevo un uomo, una volta. Se ne stava tutto il giorno seduto su di una panchina e, a chiunque gli domandasse cosa stesse facendo, egli rispondeva: <<Aspetto.>>. Chi o cosa stesse aspettando, nessuno lo seppe mai. E forse non lo sapeva nemmeno lui.

Sapeva solo che la vita aveva ancora qualcosa di buono da regalargli e che non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo. Gliene erano capitate così tante che ora, pur standosene tutto il tempo da solo, non si annoiava mai. I ricordi colmavano la sua giornata come la pioggia riempie gli argini di un fiume. Belli o brutti che fossero, riuscivano sempre a strappargli un sorriso nostalgico. Quell’uomo aveva amato, aveva pianto, aveva ricevuto soddisfazioni e delusioni, aveva viaggiato in tutto il mondo e aveva visto la guerra con i propri occhi. Cosa aspettava allora la morte a portarselo via, pensai quel giorno, passando davanti alla sua panchina.

Mi soffermai qualche istante a guardarlo e notai che aveva gli occhi rivolti al cielo. Che si stesse facendo anche lui la stessa domanda? Senza dire una parola, mi sedetti al suo fianco. Volevo capire cosa ci trovasse in quel gesto così banale. La cosa non lo turbò affatto, anzi, si comportò esattamente come se io non esistessi.

<<Strano il tempo oggi, lei pensa che pioverà?>> gli domandai per cercare un contatto con lui. Ma non ottenni nessuna risposta. <<Secondo me potrebbe piovere … Se vuole l’accompagno a casa.>> Era diventata per me una sorta di sfida.

Mentre il silenzio che ci divideva diventava sempre più pesante, le nuvole cominciarono a diradarsi, lasciando intravedere uno spiraglio di sole.

L’uomo si voltò verso di me con un impercettibile sorriso.

<<D’accordo>> dissi <<Ammettiamo che non piova … Lei resterebbe qui tutta la notte?>>

E la notte arrivò prima che io potessi rendermene conto. Guardai l’orologio: quante ore potevano essere passate? C’era qualcosa di inquietante nello starsene lì, fermi, ad osservare il resto del mondo, mentre il resto del mondo passava senza nemmeno vederti.

All’improvviso l’uomo parlò, e lo fece in modo naturale, come se fossimo due vecchi amici seduti al tavolo di un bar. <<Chiudi gli occhi e descrivimi quello che vedi …>>

Non ne compresi subito la ragione, eppure gli diedi ascolto, nonostante lo trovassi un vero e proprio controsenso. <<Vedo le nuvole …>> sussurrai, preso dal suo gioco, e non stavo mentendo <<E il pane caldo appena sfornato …>> respirai l’aria, come se potessi sentirne il profumo <<E poi vedo le labbra di una donna … ma non so chi sia …>>

<<Guarda meglio …>>

Guardai, e la riconobbi. <<Sì …>> sorrisi <<Ora la vedo chiaramente …>>

<<Già … E vedi qualcos’altro?>>

<<C’è anche una casa … credo … dove lei mi sta aspettando …>>

L’uomo mi guardò intensamente, tanto da arrivarmi al cuore. <<Ed è là che vuoi andare?>>

Annuii, mentre un soffio di vento mi accarezzava i capelli. E mi parve che l’uomo mi stesse stringendo la mano. Ma, quando riaprii gli occhi, lui non c’era più. Non c’era più nemmeno la panchina, né il buio. C’era solo un magnifico sentiero fatto di ghiaia e luce, e una bellissima donna che mi stava venendo incontro.

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