Carestia in Africa, una tragedia prevedibile


Ci vuole fantasia per definire “emergenza” la carestia in Africa. Somalia, Nigeria, Sud Sudan e Yemen, infatti, stanno sperimentando una tragedia dovuta a fattori tutt’altro che indipendenti dalla volontà dell’uomo.

Guerra, terrorismo, indifferenza, interessi economici. Sono queste le cause di un dramma ampiamente prevedibile, al punto che già il 27 gennaio scorso Save the children metteva in guardia il mondo. Nonostante questo, con 20milioni di vite a rischio immediato, sono passati mesi e nulla si è mosso.

Per quale motivo? Perché nessuno sembra interessato ad affrontare quella che da più parti è già stata definita una catastrofe umanitaria? Proviamo a capirlo con uno sguardo ravvicinato alle cause che hanno portato quattro interi Paesi a sperimentare una condizione che molti potrebbero pensare ormai superata.

La carestia secondo l’Onu

Anche se il termine “carestia” può evocare un’atmosfera biblica, le Nazioni Unite utilizzano parametri ben precisi per definire questo tipo di circostanza.

L’Onu infatti dichiara lo stato di carestia quando il 20% della popolazione soffre una “carenza estrema di cibo”, la malnutrizione raggiunge il 30% e la morte per fame colpisce ogni giorno 2 persone su 10mila.

Come riporta il Messaggero, negli ultimi quarant’anni questi parametri hanno portato a sei dichiarazioni di carestia, di cui ben cinque in Africa: nel 1984 e nel 2000 in Etiopia, nel 1991 e nel 2011 in Somalia, nel 1996 in Corea del Nord e nel 2008 in Sud Sudan.

Si tratta di due casi di altrettanti Paesi che oggi si trovano nella stessa condizione. A dimostrazione che le cause di questo fenomeno non sono da attribuire soltanto agli agenti atmosferici o alle condizioni climatiche. Ma dipendono in buona parte da cause strutturali riconducibili all’azione umana.

Dopo l’appello di Save the children – al quale si sono presto aggiunti quelli dell’Unicef e della Fao – la possibilità inedita di quattro dichiarazioni di carestia in contemporanea ha spinto l’Onu a parlare della peggior crisi umanitaria dal 1945. E i numeri dimostrano che non si tratta di un’esagerazione.

Numeri e cause della carestia in Africa

Le cifre delineano uno scenario spaventoso: 7milioni di persone a rischio carestia in Yemen, 5milioni in Sud Sudan e altrettante in Nigeria, 2.9 in Somalia. Su un totale di circa 20milioni, 1,4 sono bambini. Siamo di fronte a numeri così alti da stordire, dei quali è difficile comprendere la reale portata. Per fare un esempio pratico, è come se un terzo della popolazione italiana stesse per morire di fame.

A cosa è dovuta una potenziale tragedia di simili proporzioni? Ci sono condizioni endemiche di carattere socio-economico – povertà diffusa e arretratezza delle tecniche agricole – e ambientale, ad esempio il clima e fattori come El Niño, un fenomeno atmosferico/marino ciclico che con il suo ultimo passaggio nel 2015 ha provocato due inverni senza precipitazioni.

Ma non può essere considerato un caso che in tutti i quattro Paesi a rischio carestia, in questo momento, stia infuriando la guerra. In Yemen e in Sud Sudan si tratta di guerra civile, in Nigeria e Somalia di scontro tra governo e gruppi terroristici. In entrambi i casi, la precarietà della situazione incide negativamente tanto sulla popolazione quanto sulla possibilità d’intervento delle organizzazioni umanitarie.

In Yemen la guerra civile – meno nota di quella in Siria ma altrettanto cruenta – vede contrapposti il governo sunnita di Sana’a (sostenuto da una coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita) e i ribelli sciiti, alleati dell’Iran. In Sud Sudan, invece, dopo la secessione dal Sudan lo scontro tra il presidente Salva Kiir e il suo vice Riek Machar si è trasformato nella guerra etnica tuttora in corso.

In Nigeria, al contrario, lo scontro vede contrapposto il governo al noto gruppo terroristico Boko Haram, con intere zone inaccessibili per gli aiuti umanitari. Anche in Somalia il terrorismo islamista di al-Shabaab – gruppo affiliato ad al-Qaeda – mina da oltre dieci anni la stabilità del Paese, al centro proprio in questi giorni di un conferenza diplomatica a Londra.

L’indifferenza del mondo per la carestia in Africa

Il mondo intero sembra poco interessato alla carestia in Africa e nello Yemen, e meno ancora disposto a intervenire o in grado di farlo. Intuire i motivi di questa indifferenza non è troppo complicato. Altri scenari al momento catturano l’attenzione globale: le tensioni Usa-Corea del Nord e le elezioni francesi, in minor misura la guerra civile siriana e la rivolta popolare in Venezuela.

Poi c’è l’oggettiva difficoltà a intervenire concretamente, nel momento in cui rimuovere le cause della situazione avrebbe richiesto un lungo lavoro che ormai è troppo tardi per fare. Senza dimenticare che anche i maggiori Paesi del mondo stanno attraversando una crisi economica inedita nel dopoguerra.

Detto questo, ci sono certamente misure immediate che i cittadini di tutti gli Stati del mondo possono pretendere dai propri governi per arginare almeno parzialmente questa tragedia: impegno diplomatico costante per la soluzione dei conflitti e soldi subito dove servono, pur nei limiti delle rispettive possibilità.

Questo anche perché l’analisi non si esaurisce nella serie di difficoltà oggettive appena elencate. È bene tener presente, infatti, che non tutti i Paesi cosiddetti “avanzati” hanno la coscienza pulita sulla situazione in atto.

Invece di agire sulle cause dei flussi migratori come la carestia in Africa, infatti, i governi europei sembrano molto più disposti a concedere quelle politiche securitarie nei confronti dei migranti che le popolazioni chiedono a gran voce.

Una scelta miope e deficitaria, che non potrà mai risolvere il problema all’origine. Cosa spinge i governi a queste politiche, oltre al tornaconto elettorale immediato? Forse l’industria bellica che vuole continuare a prosperare, compresa quella finanziata con i soldi pubblici dei cittadini italiani.

Le aziende del settore guadagnano due volte da questa situazione: una all’origine del problema con le guerre in Africa e Medio Oriente, l’altra a valle grazie alle frontiere militarizzate per i controlli, con buona pace delle persone che a milioni restano schiacciate nel mezzo di questo meccanismo. Ecco allora che i conti tornano. E il cerchio si chiude.

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