Grecia, fra crisi ed immigrazione


Come ci ricorderemo degli anni che stiamo vivendo ora, nel futuro? Sicuramente come gli anni dell’inaspettato governo Trump, e del terrorismo dell’Isis. Ma non solo questo. Stanno essendo anni ricchi di sfide anche su altri versanti. Infatti, stanno essendo anche gli anni in cui si sta mettendo in dubbio più che mai la valenza economica dell’Unione Europea, che sembrava invece dover dar forma ad un nuovo e duraturo paradigma per l’Europa. Le minacce Brexit e Grexit sono delle dirette conseguenze, da una parte, di uno scetticismo dilagante nei confronti dell’Unione, dovuto alla convinzione che essa serve solo come salvagente per gli Stati che  e faticano di più economicamente e dall’altra, della mancanza di adeguati sistemi di controlli, che ancora permettono l’evasione fiscale e che si possa addirittura mentire sul bilancio economico di un paese, per cui ne risentono tutti i membri della confederazione.

Tutto questo, in particolare, è quello che sta alla base della situazione della Grecia oggi, che, senza nessuna drammatizzazione, si può definire tragica. La disoccupazione è a dei livelli bassissimi, nonostante una minima ripresa, e lo stallo economico è tale che non permette nemmeno alla classe medio-alta, come ad esempio i dottori, di vivere in condizioni agiate. La spesa pubblica per le.pensioni è diminuita, tanto che la pensione media per persona è di 660 euro al mese. Qualsiasi classe sociale si trova scontenta ed impoverita, dai dottori fino ai contadini, che questa settimana manifestarono lasciando cavoli nella piazza Syntagma.

Tuttavia, la considerazione da non lasciare da parte è che delle colpe esistono, e sono imputabili a anni di conti falsificati, all’epoca dell’allora primo ministro Konstatinos Karamanlis. La Grecia letteralmente ingannò per entrare nell’Unione Europea, quando in realtà non era pronta

“Potrebbe essere peggio. Potrebbe piovere.”

Come è solito accadere, quando sembra che una situazione non possa peggiorare, la situazione, per l’appunto e immancabilmente, peggiora. L’aggravante, in questo caso, è l’immensa ondata migratoria verso la Grecia, di cui tutti siamo a conoscenza, dovuta alla guerra in Siria e alla difficile situazione del Medio Oriente in generale. Il risultato è un paese sull’orlo del collasso e 65 milioni di profughi, rimasti intrappolati dopo la chiusura della rotta balcanica, che non si sa come accogliere e gestire. Mancano l’organizzazione e le risorse economiche.

Gli unici personaggi in gioco che non mollano e che permettono alla Grecia di non affondare sono le ONG e organi come il Fondo Monetario internazionale e l’Eurogruppo, ovvero i ministri delle finanze dei paesi che adottano l’euro. Il loro sostegno però è messo a dura prova.

Infatti, nel primo caso, le ONG sono malviste, sia perché non sempre dichiarano da dove arrivano i loro aiuti economici al governo, sia perché pretendono di avere controllo sulla gestione dei migranti, senza confrontarsi per niente con le organizzazioni locali di volontari. Nel caso del FMI e dell’Eurogruppo, il problema è la pretesa di nuove riforme e maggiori tagli a cambio di ulteriore prestito di cui si sta discutendo in questi giorni, e che potrebbe raggiungere i 7 miliardi. L’ostacolo a questo tentativo di salvataggio è l’avversione a nuove riforme sia da 
parte del premier Tsipras, per evitare di aggiungere pressioni ai cittadini, sia da parte degli altri paesi dell’Unione, che preferirebbero non obbligare la Grecia a riforme e nemmeno concedere un prestito (perché consci che il denaro non tornerebbe), ma aspettare che il paese risolva il suo debito.

La situazione è complicata dal fatto che già la Grecia ha ricevuto il più grande prestito internazionale della storia: in tutto 110 miliardi di euroPer cui, se c’è una cosa di cui si è sicuri, è che questi anni saranno ricordati come gli anni dell’incertezza e dell’instabilità economica. E che, se Brexit e Grexit si dovessero avverare, “potrebbe essere peggio”, potrebbe nevicare.