Primi giorni del governo Trump: i veri muri ci sono già


Non servono soldi o materie prime per erigere i muri del protezionismo e del nazionalismo. Bastano un po’ di ignoranza e di tacito consenso da parte dell’opinione pubblica e da un giorno all’altro…puff, quei muri lì sono, a formare delle barriere mentali invalicabili, a chiuderci all’altro. È la profezia (che opportunamente rima con idiozia) del “make America great again” che si sta avverando.

Con il governo Obama, la potenza degli Stati Uniti si era consolidata ed era riuscita a diventare relativamente benvista anche grazie al dialogo internazionale o ai trattati economici come il TTPA (Trans Pacific Partnership Agreement) per promuovere gli scambi e gli investimenti tra i paesi. Ma se una cosa è certa è che ora, invece, Trump è sordo alla possibilità di dialogo o di compromesso e men che meno alla revisione delle sue proposti radicali: già il 23 gennaio il presidente ha firmato un ordine esecutivo per ritirare formalmente l’adesione degli Stati Uniti al trattato economico sopracitato. Sebbene il mondo occidentale non sia effettivamente mai stato così liberale come ha sempre amato dipingere se stesso, la situazione sembra stare peggiorando, soprattutto dopo i provvedimenti presi da Trump in questo primo periodo della sua presidenza.

Si scherza su Trump, come se fosse l’ultimo comico o l’ultimo meme con la faccia buffa ad avere conquistato il web, ma la verità è che in un battibaleno gli equilibri mondiali sono già in una fase critica ed diritti umani come il libero movimento delle persone e l’assistenza in caso di volontà di aborto per le donne sono già minati alla loro base. Infatti, fra tutti gli ordini esecutivi firmati, quelli più controversi dal punto di vista umano sono due: uno riguarda le donne e consiste nel bloccare i finanziamenti del governo federale alle organizzazioni non governative internazionali che praticano o informano sull’interruzione di gravidanza all’estero, organizzazioni che cercano di fare la differenza soprattutto nei paesi in via di sviluppo per la prevenzione di malattie come l’HIV. L’altra misura esecutiva che ha suscitato scandalo è il divieto per i cittadini di sette paesi a prevalenza musulmana (Iran, Iraq, Syria, Yemen, Libya, Somalia and Sudan), anche con doppia cittadinanza, di entrare negli Stati Uniti.

Quest’ultimo provvedimento ha svegliato decisamente l’opinione pubblica americana. Milioni di persone sono scese in strada negli scorsi giorni per esprimere il loro disaccordo ed impedire che un’azione politica tanto retrograda venga lasciata passare come legittima.  Di fatto però, già sono stati fermati in un aeroporto americano due uomini provenienti dall’Iraq e minacciati di essere deportati.

A livello internazionale, le reazioni a questi fatti sono state forti ma non abbastanza, o forti ma nel modo sbagliato. Fra le prime, la reazione del presidente canadese Justin Trudeau, che ha già preso posizione riguardo al cosiddetto “muslim ban” (“divieto per i musulmani”) e fatto in modo che i cittadini canadesi con doppia cittadinanza di cui una dei sette paesi in questione possano viaggiare esattamente come prima. Fra le reazioni più preoccupanti, invece, c’è quella dell’Iran che ha deciso di ripagare Trump con la stessa moneta, ed impedire a qualsiasi cittadini americano di poter entrare o soggiornare nel paese. Il timore è che altri paesi seguano la scia dell’Iran e che sempre più paesi chiudano le loro porte l’uno all’altro ancora più facilmente.

Inutile dire che un atteggiamento politico di questo tipo costituisce un pericolo molto grande anche dal punto di vista economico. Lo sviluppo, la globalizzazione che hanno fino ad ora caratterizzato la realtà contemporanea potrebbero subire un drastico rallentamento o invertire il loro senso di marcia. Fra le buone notizie, il fatto che l’ACLU (American Civil Liberties Union – Unione americana per le libertà civili) ha preso ieri azioni legali contro l’amministrazione Trump per combattere la mano dura del nuovo governo riguardo all’immigrazione.

Per concludere, sicuramente le parole del presidente di ACLU Omar Jadwat sono le più adatte e riassumono bene la situazione e in che senso bisogna agire: “Il costo umano della guerra di Trump all’uguaglianza e alle pari opportunità è già troppo alto. Non si può permettere che questo divieto continui.”

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