La pallacanestro italiana in: “Oltre i confini niente”


Sarà che, come disse una decina d’anni fa Ettore Messina, l’opinione che si ha degli italiani nella pallacanestro è “quelli che una volta sapevano fare le cose e ora invece non più”.

Sarà che non abbiamo una classe dirigente all’altezza, troppo ancorata alle poltrone, che in nome dello status quo tacita chi (citofonare Anna Cremascoli) prova a proporre qualcosa di innovativo o anche solo a segnalare i problemi.

Sarà che, come da tradizione, ai giovani appassionati di palla a spicchi interessa più quello che c’è al di là dell’Oceano, rispetto al nostro giardino, perché lo spirito da “Tu vuò fa l’ammericano” non è poi cambiato dai tempi di Renato Carosone.

Sarà tutto questo, o in parte, o nulla. Sarà.

 

Fatto sta che i ferri italiani sono in crisi, e parecchio anche. Ricordate quando a settembre scrivemmo che ci sarebbe toccato fare i pesci grossi nello stagno piccolo della Champions League di Bauman, e non volevamo ipotizzare cosa sarebbe successo se non fossimo riusciti a fare nemmeno quello? Guess what: la profezia si è avverata.

Nell’ordine: Varese è ultima nel proprio girone che, a parte Asvel e PAOK non presenta tutte queste squadre di grande tradizione, Venezia è terza dopo avere preso una dolorosa rullata a Le Mans come una bicicletta a correre la locale “24 ore”, Sassari invece si è fermata al ventello subito contro Spirou. Resta Avellino, prima nel proprio raggruppamento, caduta solo contro Ostenda e con lo scalpo prezioso del fu Cibona, “fu” ovviamente legato al recente passato euroleghesco.

Risultati che come valore assoluto potrebbero anche strappare un mezzo sorriso, se non fosse che certi passi falsi e certe magre figure proprio sono inaccettabili in un contesto a ranghi ridotti e più come questo. Il dolore dei soldi ha colpito un po’ tutti e fa male alla pallacanestro in generale, e del triangolo Bertomeu–Bauman–Petrucci fosse per noi non ne terremo manco mezzo. Il primo per la sua Eurolega esclusivista e affarista, intenta a inseguire la NBA su un terreno dove la lega di Silver/Stern ha anni luce di vantaggio, ivi compreso il regime culturale e fiscale degli Stati Uniti.

Il secondo per la carica di segretario della FIBA, quindi della federazione che dovrebbe pensare al bene di tutti e al bene del basket, carica che stona con l’infantile pretesa di fare le nozze coi fichi, costringendo chi magari aveva qualche pietanza più gustosa a scegliere tra la sua Champions e il nulla, perché l’Eurocup è stato l’esempio più classico di “tertium non datur”.

Petrucci per la rincorsa spasmodica alle Olimpiadi che gli ha fatto dimenticare che il rilancio del basket italiano non passa dai famosi e fumosi successi della Nazionale, ma da una programmazione attenta dei settori giovanili,  da un’attenzione verso le società professionistiche e dilettantistiche che non vanno strangolate con costi proibitivi di affiliazione e iscrizione ai campionati, dalla formazione di una cultura sportiva che sembra essersi persa, da una comunicazione vivace, dall’importanza data ad allenatori e arbitri.

Credevamo che l’Italvolley lo avesse conclamatamente dimostrato : non si può pensare di rilanciare la pallacanestro italiana puntando sui risultati della Nazionale, perché una volta calati gli entusiasmi e spenti gli schermi calerà nuovamente il silenzio. Certo, sarebbe stato utile avere gli Azzurri della spicchiata a Rio, ma è un elemento che non finisce e non finirà mai sotto la dicitura “indispensabile”. E perché la sua retromarcia ottobrina sulla questione delle coppe, tardiva anzichenò, cha messo in luce tutto il pessimo equilibrismo di cui sono i capaci i nostri capoccia quando sanno di essere stati presi

A differenza del volley, che a dispetto dei numeri di iscritti che, all’ultimo controllo, erano inferiori rispetto a quelli del basket dimostra di avere un pensiero che procede meno a rilento, la FIP non riesce a stare al passo. Spiace dirlo, ma gli standard spagnoli non aiutano, e che (sempre come ricordato) in terra iberica abbiano eletto un presidente che si è ritirato dall’attività agonistica quattro anni fa, mentre da noi girano gli stessi nomi dagli anni Ottanta e forse più è un segnale: loro guardano avanti, noi guardiamo indietro.

Che poi nessuno osi mettere in dubbio quanto avviene, chiedendo ad alta voce perché c’è un solo candidato ultrasettantenne per la presidenza federale è una blasfemia ancora maggiore. Sono pochi e isolati quelli che ci provano, isolati non per volontà ma perché scomodi, e manco giovani, se è per questo. Da italica tradizione, viene il sospetto che i non allineati siano malvisti perché “ha ragione chi comanda”. Anche quando ha torto.

Ah, prima di lasciarci, un avvertimento: non stupitevi dei risultati ondivaghi che sta affrontando l’Olimpia Milano, né tantomeno della sfuriata pubblica di coach Repesa contro i suoi dopo la vittoria contro la Juvecaserta. Milano è infatti l’emblema della nostra pallacanestro: costruita sull’immagine e sui nomi, egoista nel tracciare il proprio piccolo potere/podere senza far valere la propria posizione dominante nei confronti delle realtà di dimensioni più piccole (tipo le ribelli dell’Eurocup) e con poca mentalità guerriera nello spogliatoio.

Forse anche il coach croato se n’è accorto. La buttiamo lì: e se a fine anno, non avendo raggiunto i risultati ottenuti, decidesse che la patata bollente se la può prendere qualcun altro?

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