La pace in Colombia è ancora possibile?


Prima l’accordo a lungo atteso. Poi il voto popolare che lo ha bocciato. Infine il premio Nobel al presidente Juan Manuel Santos. Cosa sta succedendo nel Paese sudamericano? E soprattutto: la pace in Colombia è ancora possibile?

Una premessa è d’obbligo: in Colombia si combatte una guerra civile, che va avanti dal 1964, tra lo Stato e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), milizia di matrice comunista nata per difendere gli agricoltori dagli espropri attuati dai grandi proprietari terrieri tramite gruppi paramilitari assoldati allo scopo.

Dopo 52 anni di guerra, oltre 2o0mila morti e diversi tentativi di accordo falliti, lo scorso 26 settembre il presidente colombiano Juan Manuel Santos e il leader delle FARC Rodrigo Londoño Echeverri – nome di battaglia Timochenkohanno firmato uno storico accordo di pace nella scenografica cornice di Cartagena, dopo oltre quattro anni di trattative a L’Havana sotto il patrocinio del presidente cubano Raúl Castro.

Questi i punti principali del compromesso: fine dei combattimenti, disarmo dei guerriglieri sotto la supervisione Onu e reintegro degli stessi nella società; riparazioni morali e materiali per le vittime e sanzioni per i responsabili dei reati più gravi; conversione delle FARC in un movimento politico legale con l’assegnazione di almeno dieci seggi in Parlamento; riforma agraria per la distribuzione delle terre e l’accesso al credito; fine delle coltivazioni illecite nelle aree di influenza delle FARC, tra cui quella di cocaina, e un programma sanitario e sociale contro il consumo e il traffico di droga.

La pace in Colombia sembrava certa, con il solo ostacolo del voto popolare del 2 ottobre scorso: una particolare forma di referendum chiamata plebiscito che vincola il presidente (ma non il Parlamento) alla volontà espressa dal popolo, a patto che si raggiunga il quorum. A volere la consultazione – non obbligatoria per legge – è stato proprio Santos, per rispettare la promessa fatta agli elettori e ottenere una consacrazione politica definitiva.

Contro la maggior parte dei sondaggi e delle aspettative, tuttavia, il NO all’accordo ha prevalso di misura con il 50,22% dei voti, contro il 49,78% di preferenze per il SI. Un voto polarizzato tra le zone interessate dalla guerra – che si sono espresse per il SI – e le altre regioni, che hanno visto l’affermazione del NO. Ma anche un voto in cui su tutti i fronti ha prevalso l’astensione, dal momento che si è recato alle urne poco più di un elettore su tre (37%).

Pace in Colombia: il premio Nobel per la Pace 2016 al presidente Juan Manuel SantosIn un contesto di sopresa generale, con il cessate il fuoco prorogato fino al 31 dicembre per scongiurare la ripresa della guerra, il 7 ottobre ecco un nuovo colpo di scena: il premio Nobel per la Pace 2016 assegnato al presidente Santos «per il duro lavoro svolto e gli sforzi risoluti nel portare la pace nel suo Paese, nonostante l’accordo sia stato bocciato in un referendum».

Una scelta discussa e comunque innegabilmente politica, che si inserisce nel solco tracciato dal Comitato con il Nobel assegnato a Barack Obama nel 2009. Resta però da capire come mai l’accordo per la pace in Colombia che ha convinto la giuria norvegese sia stato rigettato dagli stessi colombiani, che per primi avrebbero potuto beneficiare dei suoi effetti dopo oltre mezzo secolo di guerra.

Le ragioni che hanno portato il NO a prevalere sono diverse: prima di tutto l’astensione, causata dal passaggio dell’uragano Matthew sulle coste colombiane e dal disinteresse per le vicende politiche che accomuna ormai tanti Paesi del mondo. Allargando il discorso al contesto internazionale emerge anche con evidenza che il voto colombiano si inserisce in una tendenza generale delle popolazioni a rifiutare quanto proposto dai rispettivi governi, dalla Brexit all’Ungheria.

Ma il fattore più incisivo sull’esito della consultazione – in un contesto in cui pochi conoscevano il contenuto di un accordo di 297 pagine – è probabilmente il modo in cui le parti hanno condotto la rispettiva campagna referendaria. Da una parte il fronte del SI del presidente Santos praticamente certo della vittoria, dall’altra quello del NO con l’ex presidente ultraconseratore Álvaro Uribe in cerca di riscossa politica dopo qualche anno di appannamento.

Mentre Santos conduceva una campagna lineare, basata su argomenti razionali a favore dell’accordo ma lasciando che il dibattito sullo stesso si confondesse con discussi provvedimenti del governo in materia di tasse e diritti LGBT, Uribe soffiava sul fuoco, alimentando questa confusione con una campagna talmente spregiudicata da essere accostata a quella di Donald Trump.

Noto per aver perduto i familiari a causa delle FARC e per i suoi legami poco chiari con le AUC – milizie paragovernative di estrema destra sciolte nel 2005 – l’ex presidente Uribe ha spinto su tre punti fondamentali: lo sbilanciamento dell’accordo a favore dei guerriglieri, in particolare a causa della giurisdizione speciale dei “tribunali di pace” per i processi a loro carico; il rischio di castrochavismo, cioè la possibilità di vedere le FARC al governo legato alla rappresentanza obbligatoria in Parlamento prevista dall’accordo; infine l’affermazione della cosiddetta “ideologia gender”, un tema che ha trasformato il referendum in un voto contro Santos e su provvedimenti del governo per nulla legati all’accordo, che in realtà non affronta in alcun modo questioni di genere.

Che succede ora? Mentre una parte significativa della popolazione continua a manifestare per la pace in Colombia, il governo allarga i negoziati agli altri gruppi paramilitari attivi nel Paese. Rilanciare il dialogo è l’unica possibilità per scongiurare il ritorno alla guerra: Santos sta già tentando la difficile strada che porta a ridiscutere i termini dell’accordo allargando il tavolo delle trattative ai “vincitori” del referendum, ovvero i conseratori di Uribe e gli esponenti di spicco delle comunità cristiane.

In alternativa l’accordo potrebbe essere ratificato così com’è dal Parlamento, visto che il voto plebiscitario vincola solo il presidente, con il limite evidente di rinnegare l’orientamento espresso dal popolo. La formazione di un’assemblea costituente per la scrittura di una nuova Carta pare invece proibitiva, visto che mancano meno di due anni alle elezioni.

Se sarà impossibile concludere prima un nuovo accordo, la questione dovrà essere rinviata a dopo il voto del 2018: uno scenario putroppo assai probabile se si considera che c’è chi – come ad esempio Uribe – ha tutto l’interesse che questo accada. La pace in Colombia, che sembrava a portata di mano, diventa più difficile ogni giorno che passa.

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