Nadia Murad: il coraggio di una donna yazidi contro l’orrore dell’IS


“Non commettiamo errori: quello di cui è stata testimone Nadia è un genocidio, e un genocidio non accade per caso. Va pianificato”.
Così Amal Clooney, avvocato dei diritti umani e attivista, si è rivolta all’Assemblea delle Nazioni Unite lo scorso settembre a nome di colei che ora è diventata sua cliente: Nadia Murad, 23 anni, appartenente alla comunità religiosa curda degli Yazidi e originaria di Kocho, villaggio della provincia della città di Sinjar, nel nord dell’Iraq.

La giovane donna è stata una delle vittime della tratta di esseri umani condotta nella regione dall’IS. Era l’agosto 2014 e l’esercito del Califfato era reduce da un’escalation militare senza precedenti che l’aveva portato a conquistare in pochi mesi diversi centri urbani nel nord dell’Iraq (Mosul, la raffineria di petrolio di Baiji e Tikrit) mettendo in fuga un esercito moderno e ben armato com’era quello iracheno che pagò cara la sua incompetenza e corruzione. Ruolo non meno importante lo giocò la diffidenza nei confronti delle popolazioni locali di maggioranza sunnita che già da tempo mal sopportavano la presenza di una forza d’occupazione sciita: non è un caso dunque che al primo segnale di pericolo l’esercito, temendo una sollevazione popolare di massa, non oppose resistenza all’avanzata dell’IS abbandonando al loro destino le città del nord Iraq.

Il 15 agosto per Nadia ebbe inizio l’incubo: i combattenti del Califfato radunarono tutti gli abitanti di Kocho nella scuola della cittadina, portando la ragazza e altre donne al secondo piano.

In un’ora, secondo un portavoce dell’ONU, vennero uccisi 312 uomini, tra cui sei fratelli e fratellastri di Nadia. La stessa sorte toccò alle donne anziane (circa 80) ritenute troppo poco desiderabili per essere ridotte a schiave del sesso.

Una nipote di Nadia vide donne lanciarsi da ponti o tagliarsi i polsi per sfuggire al destino della schiavitù.

Le giovani donne vennero trasferite a Mosul e qui vennero fotografate. I loro ritratti vennero esposti in una corte così che i combattenti dell’IS potessero scambiarsele tra di loro e scegliere le loro preferite.

Inizialmente Nadia attirò l’attenzione di un militare nei cui confronti fin da subito lei nutrì un immenso terrore dovuto in primis dalla sua gigantesca corporatura. Fui lei stessa dunque a implorare un altro rapitore a prenderla con sé. E così fu. La ragazza venne rinchiusa in una stanza con due porte.

Il suo aguzzino aveva una moglie e una figlia di nome Sara.

Un giorno le ordinò di vestirsi elegante e truccarsi e la portò in un’altra stanza con sei combattenti.

Quella notte i sei uomini la violentarono finché non perse i sensi.

Nadia ricorda come non vide alcun segno di pentimento negli occhi dei suoi aggressori. Quando al suo rapitore venne chiesto se lei fosse sua moglie, lui rispose: “Lei non è mia moglie, è la mia schiava”.

La ragazza riuscì a sfuggire alla prigionia nel novembre del 2014 (pochi i dettagli che lei stessa ha fornito a riguardo probabilmente per proteggere coloro che l’hanno aiutata nella fuga), fu trasportata in un campo rifugiati e successivamente selezionata per un programma di aiuti grazie al quale fu trasferita a Stoccarda, dove vive tuttora.

La storia di Nadia si inscrive all’interno di un ben più vasto piano di annientamento che l’IS sta tuttora attuando ai danni della minoranza religiosa degli Yazidi, considerati “adoratori del diavolo”. L’obiettivo del gruppo jihadista è stato chiaro fin da subito: distruggere l’identità yazidi con la forza, gli abusi sessuali, il reclutamento di bambini e la demolizione dei luoghi sacri.

Lo stupro viene utilizzato come arma di distruzione delle donne e delle ragazze yazidi così da assicurarsi che non possano più tornare a una vita normale.

Dal 2014 il Califfato ha preso di mira una popolazione, quella yazidi, di circa 230.000 persone distribuita nell’area nordoccidentale dell’Iraq. Di queste 5.200 (di cui quasi tutte donne) sono state rapite e almeno 3.400 non sono ancora state liberate. Migliaia di loro sono state uccise.

Numeri, questi, destinati tristemente a salire anche per il fatto che, a due anni dall’inizio di questo genocidio, così come denunciato da Amal Clooney di fronte all’assemblea dell’ONU, ancora nessun membro dell’IS ha dovuto rispondere dei suoi crimini davanti a una corte.

Le Nazioni Unite non sono state in grado di prevenire né tantomeno di punire un genocidio ancora in atto.

Nadia dal canto suo ha reagito alle violenze subite raccontando la tua storia e diventando prima Ambasciatrice Onu per la dignità dei sopravvissuti alla tratta di esseri umani perpetrata dall’IS.

+ Non ci sono commenti

Aggiungi