Matrimonio omosessuale: australiani pronti a scrivere la storia della comunità LGBT. Ma il Governo?


“Chiederemo agli Australiani se vogliono o meno dare il proprio supporto all’estensione del matrimonio verso coppie dello stesso sesso”. Questa la dichiarazione rilasciata lo scorso giugno dal primo ministro liberale Malcom Turnbull.

Il riconoscimento di un tale diritto per le coppie dello stesso andrebbe a costituire un’altra importante tappa della lotta per l’uguaglianza della comunità omosessuale australiana.

Una lotta iniziata tra gli anni ’60 e ’70 con la costituzione dei primi gruppi a supporto dei diritti dei gay e delle lesbiche e l’organizzazione delle prime manifestazioni. Una di queste è rimasta nella storia e nel 2008 se ne è celebrato il 30esimo anniversario: il Sydney Gay and Lesbian Mardi Gras, una marcia organizzata il 24 giugno 1978 a cui parteciparono più di 500 persone di cui 53 vennero arrestate dalle forze dell’ordine.

È solo nel 1996 con l’approvazione dello Human Rights (Sexaul Conduct) Act che la condotta omosessuale maschile divenne formalmente legale in tutti gli Stati del Paese.

Una prima conquista alla quale però si contrapposero negli anni a venire diverse azioni governative di direzione contraria.

Nel marzo dello stesso anno andò al potere nel ruolo di Primo Ministro il liberale John Howard, che rimase in carica fino a dicembre 2007.

Dichiaratamente contrario al matrimonio e alle adozioni gay, nel 2004 Howard approvò un emendamento al Marriage Act (1961) in cui si specificava che il matrimonio consiste esclusivamente nell’unione tra un uomo e una donna e un matrimonio tra coppie dello stesso sesso celebrato all’estero non doveva essere riconosciuto in Australia. Al tempo sia i Democratici sia i Verdi si opposero inutilmente al progetto di legge definendolo discriminatorio.

Nel 2015 si tentò senza successo per ben 15 volte di modificare il Marriage Act. Alla fine dello stesso anno si ottenne però una piccola vittoria: in quattro (Tasmania, Nuovo Galles del Sud, Queensland, Victoria) dei sei Stati australiani vennero riconosciuti i matrimoni omosessuali celebrati all’estero.

L’avvento al potere del Primo Ministro laburista Kevin Rudd segnò un’inversione di rotta: il governo australiano approvò nel 2008 due leggi, Same-Sex Relationships Acts, volte a garantire l’uguaglianza per le coppie dello stesso sesso per quanto concerne tassazione, assicurazione sanitaria, previdenza sociale, immigrazione, cittadinanza, rapporti con i veterani, assistenza ad anziani e bambini, fondo previdenziale.

Ora è il turno dell’attuale Primo Ministro, Malcom Turnbull: malgrado inizialmente sostenesse che il voto sul matrimonio omosessuale si potesse ottenere liberamente tramite un’azione parlamentare, a seguito dell’ennesimo tentativo fallito (marzo 2016) di far approvare una riforma dedicata in Senato (partito Laburista e Liberale si erano infatti opposti alla richiesta dei Verdi di procedere alla votazione) Turnbull nel luglio scorso ha rivelato di aver proposto un referendum per la prima metà del 2017. I Verdi e il partito di Nick Xenophon si sono già dichiarati contrari e sarà dunque essenziale per il governo ricevere il sostegno del partito Laburista che al momento considera l’opzione come “miglior seconda”.

L’opinione pubblica dal canto suo sembra già essersi chiaramente schierata: secondo un sondaggio condotto a marzo di quest’anno da Essential Media il 64% si è dichiarato favorevole al matrimonio omosessuale.

Ora spetta al governo dare ai cittadini non solo una voce ma anche il potere di prendere una decisione storica.

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