Italvolley olimpica a un passo dal cielo


I sogni muoiono all’alba, diceva qualcuno. Nel nostro caso, alle otto di sera, poco prima del telegiornale. Nel Brasile che festeggia l’oro più sentito insieme a quello del calcio. Fosse quello, che conta.

Gli azzurri della pallavolo hanno innamorare tutta l’Italia, hanno costretto davanti al televisore tante persone che di norma si interessano di altro, piuttosto che di pallavolo, chissà, magari persino piantando semi che daranno frutto nel breve e/o nel lungo periodo. Ricordando, uno come Dirk Nowitzki ha ammesso tempo fa che iniziò a pensare seriamente al basket solo a quattordici anni, quando vide il Dream Team a Barcellona.

Questa è la cronaca di una vittoria. Conclusa con stranamente con un argento.

Il girone favoloso

Italvolley, e Italvolley sempre, e fortissimamente Italvolley. Questa potrebbe essere la sintesi della fase a gironi della nostra selezione. La Nazionale era arrivata all’appuntamento a cinque cerchi con le stigmate della mina vagante. Ben altre la favorite: Brasile, Stati Uniti, Francia, Russia, Polonia, le prime tre peraltro nello stesso raggruppamento dei nostri.

L’esordio è con i cugini francesi che, come successo nel corso degli anni con calcio, pallacanestro e pallanuoto, hanno scoperto una passione per la pallavolo grazie alle vittorie dei Blues in ambito internazionale. La più dolorosa, per noi, è stata quella dell’Eurovolley 2015, vinto in casa nostra degli uomini di coach Tillie, in finale contro i cugini sloveni, a Rio tra l’altro nemmeno presenti. Ci sono dunque tutti i presupposti per la rivincita, che puntualmente arriva. Lo score è un 3-0 netto, rotondo, senza repliche, con Juantorena a martellare da sinistra e Zaytsev da destra. Il figlio d’arte è il miglior marcatore dei nostri, il cubano naturalizzato subito dietro, Giannelli inventa e mura indifferentemente, e ci lasciamo dietro quei Tillie, Rouzier e Ngapeth che avevamo iniziato a temere.

Altro giro, stessa storia con gli Stati Uniti. Partiamo forte, siamo in panne nel secondo set, ma coach Blengini tranquillizza: sono loro che devono vincere, sono loro che si sono fatti imbrigliare dal Canada e sono ancora a quota zero in classifica. Funziona, perché di misura superiamo i giocatori a stelle e strisce, ma stavolta sugli scudi ci va Juantorena: segna, blocca, assiste e a momenti, come si dice in questi casi, serve anche il caffè e le paste. Il Messico alla terza giornata è necessario per consolidare le nostre certezze ed eventualmente fare esperimenti, tant’è che Buti guadagna il sestetto e miglior marcatore alla fine è Lanza. Soprattutto, però, i centroamericani sono l’antipasto del Brasile, e a questo punto quello tra gli azzurri e i padroni di casa è diventato il match clou, al limite del main event, del girone.

I verdeoro si aggiudicano la prima frazione, e va bene, è fisiologico. Quello che succede dopo invece lo è un po’ meno, perché Zaytsev è ancora in versione “Ivan in terribile”, Birarelli mura l’impossibile, Juantorena in attacco crea per gli altri e finalizza per tutti. Wallace, Saaktamp e Lucarelli dall’altra parte segnano ma gli altri vengono tacitati, e le differenze salgono: +2 nel secondo set, +7 nel terzo, +10 nel quarto. Olè. L’ultima passerella ci vede opposti al Canada. Coach Blengini ruota e fa esperimenti, prova persino Antonov centrale, e lascia campo libero a una Foglia d’Acero che non aspetta altro per lasciarsi dietro una tra Francia e Brasile. Restano a piedi i Bleus, e ci prendiamo anche la frustata velenosa di Ngapeth che ci accusa di aver biscottato l’incontro. Bontà sua Earvin, che porta il nome di un giocatore di basket, dovrebbe ricordare quello che ricordava il maestro slavo di palla a spicchi Aza Nikolic: non bisogna mai mettersi nelle condizioni di doversi lamentare. Ball, set, match. Quarti.

A muro duro

Ecco, i quarti. Partiamo male, va detto subito chiaro e tondo. L’Iran ci sta sempre lì con il fiato sul collo, non molla un centimetro e ci costringe ai vantaggi nel primo set, risolti solo da uno Zar che evidentemente è in forma nucleare. Cresciamo alla distanza, e alla fine è un 3-0 per certi versi imponderabile anche solo a metà prima frazione. Semifinale, e di nuovo Stati Uniti che si sono scrollati di dosso la Polonia.

USA che scappano subito, raggiungono anche il +6, l’Italvolley è contratta. Poi si scioglie, ognuno ci mette un mattoncino, Juantorena, Birarelli scavigliato, Zaytsev che va a segno in ogni modo, Giannelli, Buti, Lanza, cuore e fiato per recuperare, palla per il possibile vantaggio ma sprecata, ancora vantaggi, punto a punto, tocco USA per il nostro +1, servizio, difesa americana, attacco, dentro, ci prendiamo il set. Ed è solo il primo. Il secondo è simile, ma a parti invertite: USA sotto anche di tre lunghezze, recupero, Holt che più che Holt è una Colt per quanto spara, vantaggi e lì l’ace di Anderson. È 1-1, che diventa rapidamente 2-1 per gli statunitensi perché nel terzo siamo spettatori non paganti: brutta partenza, sfiducia, potrebbe andare peggio, potrebbe piovere, e piove, mamma se piove, grandina. Scossa nel quarto, parziali nostri, parziali loro, conducono loro, restiamo lì con unghie e denti, Giannelli crea e lo Zar dimezzato di prima è uno Zar infuocato di poi. Tie-break.

Loro a muro e in ricezione non si lasciano sfuggire una palla, sputano sangue, noi dopo un po’ di incertezza facciamo lo stesso, Buti è sveglio, Juanto tira sveglie contro gli americani che a un certo punto iniziano anche a sbagliare. Perché la partita doveva essere chiusa, noi dovevamo avere mollato e invece no, invece siamo lì, siamo vivi, siamo attivi e siamo anche avanti con un +5 nel set decisivo. E Zaytsev chiude, ed è finale dodici anni dopo.

La finale è… beh, non ci soffermiamo troppo sopra. Ci si stringe il cuore. Dodici ragazzi fantastici, un allenatore che non urla, non furoreggia, spiega e cerca sempre di tranquillizzare. Fosse facile, in una finale olimpica, quando è il cuore a prevalere sulla ragione, a far sbagliare anche qualche occasione scolastica. Il Brasile uguale, parte teso ma poi si scioglie e invece noi, noi restiamo sul filo e vigliacca la fortuna se ci aiuta. Sbattiamo contro un muro, letteralmente e metaforicamente. Il 3-0 è eccessivamente punitivo nei nostri confronti, visto che tutti i set sono giocati punto a punto. Ma a questo punto forse conta il giusto.

Torna in mente Carlo Recalcati e i suoi ragazzi contro l’Argentina della Generaciòn Dorada ad Atene. “Ricordate, abbiamo vinto la medaglia d’argento, non perso quella d’oro”. Valeva allora per L’Italbasket, vale ora per l’Italvolley.

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