La Francia impaurita si scaglia contro il burqini


Francia. 2016. Sono passati 10 mesi dagli attentati di Parigi e dalla strage del Bataclan, più di un anno dall’assalto a Charlie Hebdo. Nel mezzo altri attacchi, fuori e dentro la nazione, che sembrano spegnere pian piano quella forza e quel coraggio espressi dal popolo francese all’indomani del 13 novembre. I giovani francesi, ed europei, universali, che avevano superato quella notte con l’unione, lo sguardo verso il futuro e l’accoglienza, si sono trasformati nei turisti impauriti e sconvolti nelle strade di Nizza, vittime predestinate di un camion impazzito guidato da chi, l’Isis, forse tenta solo di emularlo.

La prima estate dopo il Bataclan non ha più memoria di quei giovani uccisi barbaramente da chi con la cultura, la religione, la condivisione, non ha niente a che fare. E il popolo impazzito, come si sa, spesso tira dentro anche i governi. Così, dopo le bombe, la prima soluzione interna alla paura del terrorismo che arriva dal governo francese è il divieto di usare il burqini. Una lotta da spiaggia, come descritta dal New York Times, che alimenta odio e paura in uno stato in cui convivere con l’Islam diventa ogni giorno più difficile.

Per chi non lo sapesse il burqini non è altro che un capo creato dalla stilista australiana di origini libanesi Aheda Zanetti. Una sorta di muta subacquea, leggera, che copre tutto il corpo ad eccezione di viso e piedi, comparso per la prima volta nel 2004 e destinato, secondo la sua creatrice, ad aumentare la comodità da spiaggia delle donne che usavano il velo.

Il divieto di vestire il burqini sulle spiagge francesi, punito con una multa, è di fatto una decisione lanciata dal sindaco di Cannes e approvata dal giudice di Nizza, dopo l’insediarsi dello stato di emergenza. Il decreto della città recita:

«Un costume da bagno che richiama in maniera ostensibile un’appartenenza religiosa, quando la Francia e i luoghi di culto religioso sono attualmente bersaglio di attentati terroristici, è tale da creare pericoli per l’ordine pubblico che è necessario evitare».

L’ordine pubblico sembrerebbe quindi la motivazioni che ha spinto alla presa di posizione, come accaduto anche in Corsica, nel comune di Sisco, dove il sindaco ha vietato il burqini in seguito ad una rissa.

Il premier Manuel Valls ha subito appoggiato il provvedimento, ufficializzando la paura e la confusione, ormai latente, tra islamismo e terrorismo, religione e violenza. L’aggettivo “fondamentalista”, usato dal premier per definire il capo usato dalle donne islamiche, spiega bene questa tendenza.

Secondo i vietanti, il burquini non sarebbe altro che una versione estiva del burqa. Ma malgrado il nome ingannevole (inizialmente l’idea della Zanetti era quella dello hijood, unione tra hijab, il velo islamico, e hood, il cappuccio in inglese) il burqa è vietato perché, coprendo integralmente il volto, a differenza dello hijab, impedisce il riconoscimento. Legge già scritta e indipendente dalla religione (in Italia vale lo stesso se si va in giro con un passamontagna).

Nel Paese dello stato di diritto la querelle sembra un’evidente contraddizione storica. Le critiche arrivano da più parti ma si concentrano su un unico punto. Vietare il burqini significa di fatto negare una libertà di religione, quindi andare contro la Costituzione. Probabilmente è anche una negazione della propria storia, colonialista e di accoglienza, che fa della Francia lo stato più coinvolto nella guerra con l’Isis.

La controversia ha valicato le Alpi e l’Oceano, ed è arrivata anche in Italia. Se non sorprendono le dichiarazioni in appoggio al divieto del leader leghista Matteo Salvini, la presa di posizione del ministro degli Interni Alfano mostra paura più che consapevolezza:

«Siamo severi, ma non provocatori. L’Italia è l’Italia, da noi non c’è il dilagare del fenomeno del burkini. E la Costituzione prevede la libertà di culto».

Il Collettivo contro l’islamofobia francese ha già fatto ricorso in merito al divieto. La risposta della Corte di Cassazione però arriverà solamente tra un mese. L’estate sarà finita, le spiagge semi deserte. E forse l’odio e la paura, in uno stato in cui Islam ed Europa faticano a convivere, saranno aumentati ancora.

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