Cairo-Rcs e Repubblica-La Stampa: come cambia l’editoria italiana


I primi mesi del 2016 hanno portato una rivoluzione che ha ben pochi precedenti nella storia recente del giornalismo italiano: le operazioni Cairo-Rcs e Repubblica-La Stampa hanno disegnato un nuovo assetto del mercato editoriale che riguarda i tre principali quotidiani nazionali.Con la sua Cairo Communications, Urbano Cairo è diventato azionista di maggioranza in Rcs, la società che pubblica Il Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport, mentre il gruppo L’Espresso (controllato dalla Cir di Carlo de Benedetti) ha portato a termine l’acquisizione della società ItEdi diventando editore dei quotidiani La Stampa e Il Secolo XIX, oltre a La Repubblica e al settimanale L’Espresso.

A cosa si devono questi cambiamenti, relativamente repentini considerando i tempi dell’editoria italiana e della finanza in generale? L’epicentro del terremoto è Torino, e più precisamente casa Agnelli: già da febbraio, infatti, si inizia a vociferare di una exit strategy del gruppo Fiat (ora Fca) da Rcs.

Nonostante le passate velleità del rampollo John Elkann, che avrebbe voluto portare avanti la quarantennale “passione” del nonno per la carta stampata, il pragmatismo dell’amministratore delegato Sergio Marchionne – che comunque smentisce ogni divergenza con la proprietà – porta alla dismissione delle quote di Fca in Rcs, che poco o nulla hanno a che fare con il core business dell’azienda, ovvero l’automobile.

L’ufficialità – salutata con parole taglienti dai giornalisti del Corsera – arriva il 2 marzo. Insieme alla rilevazione che l’operazione è solo parte di un disegno più ampio: contestualmente, infatti, Fca annuncia anche la sua uscita dal gruppo ItEdi, che viene ceduto al gruppo L’Espresso andando a formare un colosso destinato a controllare il 20% del mercato italiano della carta stampata.

Tra legittimi timori per l’eccessiva concentrazione editoriale e il destino occupazionale dei numerosi giornalisti coinvolti in un contesto generale di vendite in calo per la carta stampata, la vicenda non è comunque destinata a chiudersi con la fusione Repubblica-La Stampa.

Come in un domino, infatti, le tessere cadono una dopo l’altra: nel vuoto lasciato da Fca si fanno spazio i due attori che da tempo aspiravano a un ruolo da protagonisti in Rcs, ovvero Urbano Cairo e Diego Della Valle.

Il primo, sostenuto da banca Intesa San Paolo, fa la sua mossa lanciando un’offerta pubblica di scambio che se condotta a buon fine gli consentirebbe di entrare in Rcs da socio di maggioranza: in pratica, il proprietario di La7 offre ai soci 0,12 azioni Cairo Communication per ogni azione Rcs, sulla base del rispettivo prezzo ufficiale registrato in borsa il 7 aprile.

La risposta di Diego Della Valle e degli altri “soci storici” (tra cui Mediobanca, Pirelli e Unipol) non si fa attendere: a metà maggio viene ufficializzata un’offerta pubblica di acquisto con la quale il gruppo – che già controlla il 22,6% di Rcs – propone di rilevare il restante 77,4% delle azioni acquistandole a 70 centesimi ciascuna, con il decisivo sostegno economico del finanziere Andrea Bonomi.

Con il valore delle azioni Rcs che aumenta in Borsa, spinto dalle prospettive di rilancio editoriale, le due cordate si trovano praticamente costrette a rilanciare, arrivando rispettivamente a 0,18 azioni Cairo Communication più 25 centesimi (totale: 1,04 euro per ogni azione Rcs) contro 80 centesimi cash.

Il verdetto arriva a metà luglio: la proposta Cairo-Rcs vince nettamente ottenendo l’appoggio del 48,8% degli azionisti, mentre Bonomi si ferma al 37,7. Convinto della presenza di irregolarità nella presentazione dell’offerta, il gruppo capitanato da Della Valle presenta un ricorso alla Consob, bocciato dall’organo di vigilanza e definitivamente respinto dal Tar, alla quale gli sconfitti avevano fatto ricorso.

Mentre Bonomi sembra mollare la presa sulle quote raccolte con la sua opa, Cairo raggiunge il 60% conquistando la fiducia di nuovi azionisti ed entra a tutti gli effetti in Rcs come presidente e amministratore delegato, in attesa del 26 settembre per la nomina del nuovo cda.

Dopo le turbolenze di questi mesi, il quadro è finalmente più chiaro: il primo e il terzo quotidiano italiano avranno lo stesso editore, mentre il secondo passa di mano, con una nuova proprietà e un unico azionista di riferimento che spazza via definitivamente la logica del “salotto buono” che aveva governato il Corriere negli ultimi trent’anni.

Fino a che punto si tratta di buone notizie? Di certo lo sono per i rispettivi assetti economici: il nuovo polo che fa capo ai De Benedetti potrà benficiare delle tanto declamate economie di scala derivanti da una gestione unificata dei due quotidiani, mentre sicuramente per il Corsera sarà positivo il sostegno economico di un gruppo forte come Cairo Communication.

Cairo-Rcs: l'ops Cairo CommunicationMa oltre ai dubbi più che legittimi espressi dalla FNSI sul possibile taglio di giornalisti dalle redazioni, il vero nodo resta quello della pluralità d’informazione in Italia. È superfluo evidenziare i rischi di una (ulteriore) omologazione derivanti dalla “fusione” tra Repubblica e La Stampa, ma anche l’operazione Cairo-Rcs nasconde una criticità di fondo.

Pur essendo Cairo quell’editore puro da tempo reclamato per la carta stampata italiana, la formazione del nuovo polo mediatico Corriere-La7-Cairo Editore non è necessariamente positiva per il panorama informativo italiano, per quanto la crisi economica spinga inevitabilmente verso soluzioni di questo tipo.

Il tempo ci dirà se queste due operazioni hanno migliorato o peggiorato lo stato di salute dell’editoria giornalistica italiana. Nel frattempo, resta valido il principio di tenere gli occhi aperti sugli assetti editoriali (nazionali e non solo), per essere sempre consapevoli di quello che stiamo leggendo, guardando o ascoltando in un terreno delicato come quello dell’informazione.

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