Elezioni presidenziali USA 2016: Clinton e Trump soli in lizza


A dieci giorni di distanza dall’inizio della Convention nazionale del partito repubblicano di cui il Donald era vincitore annunciato, il 28 luglio si è conclusa la Convention del partito democratico. Hillary Clinton è stata nominata rappresentante del partito democratico, anche lei secondo le previsioni e soprattutto dopo che Bernie Sanders ha appoggiato la sua candidatura, e quindi è anche stata confermata avversaria di Trump nelle primarie che si terranno il prossimo novembre.

Le due Convention sono come sempre state eventi molto seguiti anche al di fuori degli USA e hanno fatto molto parlare di sè. Dopo questioni controverse e tragicomiche, come la dubbia autenticità del discorso di apertura della Convention repubblicana di Melania Trump, e dopo parole altisonanti e affilati volate da entrambi gli schieramenti, è ora necessario tirare le fila e ridefinire in maniera precisa i profili politici dei due candidati alla Casa Bianca. Il motivo è scontato: la rilevanza e l’influenza politica ed economica degli USA in Europa nell’era della globalizzazione è imponente, e per lo stesso principio anche l’elezione del prossimo presidente avrà conseguenze a livello mondiale, a breve o lungo termine.

Un buon punto di partenza per comprendere cosa ci aspetta è esplorare le posizioni di Donald Trump e Hillary Clinton sui grandi temi e farsi un prospetto delle loro possibili mosse politiche, ma anche prendere in considerazione la persona stessa è fondamentale, perché gli elettori sceglieranno un professionista politico per rappresentarli, ma anche una persona, con delle qualità relazionali ed attitudinali proprie, che inevitabilmente influenzeranno le sue scelte ed il suo operato. Partire da quest’ ultimo punto è la scelta più “politicamente non corretta”, ma sicuramente più allettante e che si ricollega comunque allo loro linee politiche.

Nel partito repubblicano è stato nominato un candidato che ha intriso ogni singola frase della sua campagna politica di parole irrispettose rivolte a donne, minoranze etniche ed immigrati pur di raccogliere il consenso dei vecchi conservatori con luoghi comuni e ironia scadente, e che ha sfruttato la strategia dell’infondere la paura dell’”altro” nel suo discorso alla Convention per proporsi come salvatore e restauratore dell’ordine attraverso muri e chiusure al mondo esterno. È stato inoltre capace di creare un’epica del sé, dando soprannomi ed epiteti fantasiosi agli altri concorrenti alla nomina, come “crooked Hillary Clinton” (Hillary la corrotta), “low-energy Jeb Bush” (Jeb l’apatico), “lyin’ Ted Cruz” (Ted il bugiardo), proponendo se stesso come il salvatore capace di far tornare grande l’America. Il suo tentativo, nell’usare soprannomi e giudizi netti, è cercare di delimitare e ridurre la complessità della realtà, creare un mondo in bianco nero e senza sfumature, dove lui è la soluzione necessaria per restaurare l’equilibrio. In ciò si nasconde, nemmeno troppo potenzialmente (a dir la verità nemmeno si nasconde) il pericolo dell’allentamento o addirittura rottura della rete di relazioni degli USA con il resto del mondo, il pericolo o dell’isolazionismo e della sua conseguenza immediata, ovvero vedere gli altri come nemici da combattere.

Hillary Clinton, al contrario di Trump, si contraddistingue per avere idea chiare e non vaghe e vacue come quelle del suo avversario. I punti principali della sua agenda sono tanti, fra cui fare delle riforme in materia di immigrazione che permettano agli immigrati di integrarsi e al governo di gestirne i flussi i maniera efficiente, sostenere e cercare di far rivivere le regioni più impoverite e dove l’economia è stagnante, delimitare lo strapotere delle corporation, attraverso una revisione del sistema delle tasse che li riguarda e opponendosi al commercio che privilegia i loro interessi azionari e non le risorse del territorio, e la costruzione di nuove infrastrutture per far fronte al cambio climatico. I suoi propositi non si fermano qua: la Clinton si è anche mostrata sostenitrice dell’Obamacare e decisa ad impegnarsi per rendere il sistema sanitario accessibile a tutti. Una delle  parole chiave è, difatti, proprio accessibilità, che la Clinton ha utilizzato parlando dell’università pubblica; l’altra espressione chiave, strettamente collegata, è parità di diritti, che si vuole rendere effettiva nel mondo del lavoro per quanto riguarda le donne, e nell’ambito dei diritti LGBT.

Hillary Clinton è determinata ed è riuscita a conquistare con la sua determinazione già gran parte dell’elettorato di Bernie Sanders con una revisione ed integrazione delle sue proposte sociali secondo quelle di Sanders. I dubbi che rimangono su di lei riguardano due questioni, la prima è lo scandalo delle mail che l’aveva coinvolta e che non si è mai chiarito del tutto: il fatto che abbia potuto voler aggirare il sistema non utilizzando la sua mail governativa ma la sua personale per la consultazione di alcuni file confidenziali per scopi non dichiarati, ne mette in dubbio l’onestà. La seconda questione è il sostenere la linea dura sempre e comunque, il suo essere aggressiva e un po’ troppo determinata, che può derivare dalla pressione della possibilità di diventare il primo presidente USA donna, e che però potrebbe nuocere ad una politica di compromesso e confronto.

Le uniche certezze in questo scontro politico sono che il candidato perfetto non esiste e che i rischi e le conseguenze che si prospettano in caso di vincita sia dell’uno che dell’altro non sono da sottovalutare, e che a volte, purtroppo, non rimane che la logica del male minore da applicare per salvarsi.

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