La quinta edizione dell’“Amici di Angelo” – Non un torneo comune


Esterno notte. Passi la chiesa e lì rimani. Faretti accesi, come nella migliore tradizione degli sport del dopolavoro. Sul sintetico del campo accanto alla parrocchia, due squadre a contendersi un pallone, una vittoria, una gioia. E non importa il colore di quelle maglie, blu o rosse, nere o bianche, verdi o gialle: nelle serate di aprile troverai sempre qualcuno a giocare. È l’“Amici di Angelo” baby, è magico per questo.

Il calcio a cinque è indubbiamente uno degli sport preferiti dagli italiani, finisce sul podio insieme al calcio e al fantacalcio in un ordine non meglio definito e, anzi, difficilmente definibile. E tra i tanti tornei di calcetto non professionistici di cui potevamo raccontare, questo è di certo il più meritevole. Per la passione che sa suscitare, perché è organizzato da ragazzi semplici e volenterosi, alla faccia dei luoghi comuni che vogliono la gioventù di oggi pigra, o comunque dedita alla ricerca del massimo risultato con il minimo sforzo, e perché tutti sanno che si gioca per divertirsi, senza pensare che sia la Champions League. Poi, ovvio, non è che in campo ci si vada tirando indietro la gamba perché

tanto è dilettantismo: il fisico ce lo si mette, il sudore lo si versa, e gli scazzi capitano con compagni ed avversari in egual misura. Ma tutto finisce lì, e a fine partita qualsiasi sia stato il risultato arriva inevitabilmente la mano tesa, il chiarimento, la sportività che un altro luogo comune vuole che gli italiani non posseggano. Già, i luoghi comuni, veri macigni se ritenuti reali. Ma, fortunatamente, il campo della parrocchia di San Giacomo Fuori le Mura un luogo comune non lo è mai stato.

Nato come campetto da basket in cemento, trasformato all’inizio del nuovo millennio, nella sua veste attuale presenta ancora le antiche caratteristiche, l’ampiezza ridotta, l’irregolarità della superficie. L’unione tra il fantasma dello sport passato e quello dello sport presente lo rende un terreno sui generis, dove le difese chiudono facilmente ogni varco a chiunque decida di tentare  l’avventura in solitaria, a causa degli spazi stretti, i quali costringono a passare la palla per cercare la rete. Come se lo spirito più sincero e generoso di condivisione cristiana si incarnasse ogni volta in atleti diversi, credenti o non credenti, il campo di San Giacomo esalta il collettivo, la giocata funzionale alla squadra e non quella fine a sé stessa. Guardiola, Sacchi, il calcio olandese tutto, trovano la loro realizzazione qui, in un campetto amatoriale di una chiesa di Bologna Sud-Est.

I ricordi che mi legano a questa competizione sono tantissimi, ma uno in particolare è vivido: edizione 2013, quarti di finale contro quelli che sarebbero diventati i futuri campioni. Gara che sembra segnata già dall’inizio, loro con atleti eccellenti in ogni ruolo, vincitori del loro girone con una decina di goal di scarto di media e noi che siamo passati per il rotto della cuffia, e che per quel dentro-o-fuori siamo senza il nostro giocatore più tecnico, per di più sotto la pioggia. Ci sarebbe solo da decidere se ne prendiamo più o meno di venti, e invece facciamo la prestazione della vita, stiamo sempre attaccati, e pazienza se alla fine passano comunque loro, perché noi abbiamo buttato il cuore oltre l’ostacolo non mollando mai la presa. Una non-sconfitta, un’esperienza che sono certo mi accomuni a chiunque abbia partecipato al torneo “Amici di Angelo”, perché sono quelle volte che esci dal campo e ti dici che sì, l’importante è stato giocare  senza l’assillo del risultato ma con il vessillo del divertimento.

«Certo, l’organizzazione è impegnativa, ma viene compensata dalla soddisfazione dopo che vedi le persone divertirsi, magari venendo anche da fuori la realtà parrocchiale, o addirittura fuori Bologna. Quel che aiuta è l’atteggiamento dei giocatori, perché la foga agonistica non si trasforma mai in intemperanze offensive» ci dice Riccardo, uno degli organizzatori, e a queste parole un pensiero non è potuto non correre ad Angelo, figura importante della comunità di San Giacomo prematuramente scomparso nel 2012, a cui la manifestazione è dedicata.

«Quest’anno» ha continuato Riccardo quando gli abbiamo chiesto la sua opinione sull’edizione che sta per iniziare «ci aspettiamo un torneo per certi versi più professionale, e la formula allargata a sedici squadre va in questa direzione, così come live attraverso Twitter e Snapchat già provati l’anno scorso». Insomma, una bella iniziativa per riaffermare e difendere valori dello sport come la lealtà e il divertimento,  che il professionismo e il professionalismo spesso trascurano a favore del profitto a ogni costo, ma che il dilettantismo ancora non ha dimenticato.

Quindi, andate e gareggiate, passate, crossate, tirate, segnate. Perché San Giacomo non è un luogo comune, e l’”Amici di Angelo” non è un torneo comune. E grazie a Dio realtà così esistono ancora.

+ Non ci sono commenti

Aggiungi