Il futuro della F1 tra Monza e Imola


Qualche riflessione dopo i pranzi di Pasqua è doverosa in virtù delle ultime novità sul futuro della F1 che circolano nel paddock. E’ un’opinione del tutto personale e frutto probabilmente dei calici di vino che ho bevuto durante le feste.

Le notizie che provengono dalle trattative per il rinnovo del contratto per il Gran Premio di Monza sono piuttosto brutte: pare che per vari motivi (politici, economici e sportivi) stia diventando sempre più complicato riuscire ad ospitare la Formula 1 in Italia, perlomeno a Monza. Aci (Sticchi Damiani), Aci Milano (l’ex pilota Ivan Capelli), SIAS (Andrea Dell’Orto) e Ecclestone si sono già incontrati nel corso di quest’anno per concludere le trattative per il rinnovo del GP dal 2017 in poi, ma anziché essere una formalità, sta diventando ormai una montagna che allontana sempre più le parti e che fa cadere un’ombra scura sull’automobilismo (non soltanto brianzolo o italiano, ma mondiale aggiungo io). Alcuni dicono che l’allontanamento dal tavolo delle trattative dell’avvocato Federico Bendinelli (unica persona con cui Ecclestone trattava sostanzialmente) avrebbe raffreddato ulteriormente il negoziato, già in stallo per la volontà del direttore della SIAS di modificare il tracciato per ospitare maggiori gare di moto e per il prezzo piuttosto alto che il buon Bernie suggeriva (circa 25 milioni di euro, scesi a 18-20); altri sostengono invece che le trattative per il rinnovo non sarebbero in una fase così problematica, dal momento che bisogna soltanto capire come organizzare i fondi che la legge di stabilità avrebbe sbloccato per Monza, magari alternando la pista brianzola con quella di Imola, che si sta prepotentemente ricandidando per ospitare il GP.

Certo è che tanto più tempo passa, tanto meno ne rimane per concludere un buon affare e, stando alle recenti dichiarazioni dell’ottuagenario proprietario dei diritti della F1, egli sta incominciando a guardarsi attorno, alla probabile ricerca di una location in grado di “risvegliare” sport e tifosi dal torpore e dal ridicolo che in questo momento la F1 conosce, individuando un possibile nuovo GP a Las Vegas. Un azzardo non da poco, considerando che lo stesso Hamilton era stato respinto all’ingresso del casinò di Auckland due settimane fa.

Indubbiamente qualche (e sottolineo qualche) nuovo gran premio è sicuramente un ottimo modo per sponsorizzare e vivacizzare il panorama dei gran premi da un anno all’altro, ma è altrettanto indubbio che costruire delle cattedrali nel deserto è controproducente: basti soltanto pensare a due circuiti come quello di Istanbul (di cui Ecclestone era socio) o di Corea per capire come le voluttà di Mr. Ecclestone siano talvolta controproducenti ed effimere. Ormai il circus della F1 e la Fia non riescono a sfornare un’idea univoca e sensata da un bel po’ di anni a questa parte, cosa che io ritengo cominciata dal dominio della Ferrari di Schumacher. Da quel momento in poi abbiamo conosciuto da un lato una globalizzazione sfrenata dei circuiti, inseguendo i petroldollari o ambientazioni esotiche e abbandonando i circuiti storici come Hockenheim, Nurburgring, Imola (basterebbe, ad esempio, pensare ad un gran premio commemorativo per tutti i piloti deceduti in corsa, magari proprio nel circuito che ha conosciuto due tragedie nello stesso weekend, come quelle di Roland Ratzenberger e di Ayrton Senna), dall’altro abbiamo conosciuto una semplificazione della guida (e mi riferisco soprattutto al DRS, che ha trasformato i sorpassi da un atto di coraggio ad un mero meccanismo da bambini) abbinata ad una complicazione delle regole (gomme contingentate, virtual safety car, motori ibridi, kers, scarichi soffiati..).

Nella mia personalissima opinione, affermo che il progresso è necessario e serve alla F1 come a qualsiasi altro sport, ma è necessario che anche le persone siano in grado di seguire quel progresso. La tecnologia senza le persone in grado di farla “funzionare” rendono vano quel progresso tecnologico: vedere tragedie come quella di Bianchi mi addolorano e mi fanno arrabbiare perché probabilmente in quel caso, oltre all’errore umano e alla casualità, c’è stata anche una componente determinante “umana” dettata dal denaro e dai diritti tv (ricordo che quel gran premio di Suzuka era inserito nel calendario proprio in un periodo di tifoni e che è stato disputato ad un orario serale per esigenze delle pay tv europee, proprio con un Massa che gridava via radio che la visibilità era pessima). A che serve costruire macchine supersicure se poi si fanno correre questi giovani piloti che rischiano la vita in condizioni proibitive solo per rendere meno “noiosa” la gara?

In definitiva, tutti sono bravi a criticare la F1 attuale, ma se la governance non segue quanto affermano i piloti e i tifosi, magari con un ritorno nei luoghi in cui la passione si respira nell’aria, allora la F1 non tornerà ad essere viva e vegeta; se si persevera nella volontà di “creare” a tutti i costi uno spettacolo in maniera artificiosa, allora non basteranno due foto su Instagram o qualche like su Facebook in più a salvare quello che rimane lo sport che ha trasformato in leggenda gente come Tazio Nuvolari, Ascari, Brabham o Lauda (solo per citarne alcuni).

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