La nobiltà perduta – Dalla ventesima alla ventiquattresima giornata della Serie A di basket


Quello che ci accingiamo a narrare è il racconto di nobiltà perduta. Di una squadra, di un movimento, di due istituzioni che invece di collaborare si fanno i dispetti come i bambini. Il basket sa essere bellissimo, anche nei suoi eccessi. Perché mantiene sempre e comunque viva una speranza.

In medio stat Virtus?

Non è stato un anno fortunato quello della V nera, ammettiamolo. Anzi, rettifichiamo: finora la stagione è stata abbondantemente negativa tra sconfitte cocenti, cambi di presidenza, rendimento sottotono di quegli elementi che dovevano essere il valore aggiunto (tra tutti Pittman), l’assenza prolungata del capitano Allan Ray, pretoriano di coach Giorgio Valli, e un generale clima di sfiducia dei tifosi che ormai dal 2007 aspirano a qualcosa di più che non sia una qualificazione ai playoff, che visto il blasone della squadra teoricamente dovrebbe anche essere il minimo sindacale.

Ma la bacheca non va in campo, e volenti o nolenti il piatto dei felsinei continua a piangere sempre, e per una città che è soprannominata “La grassa” è ovviamente una questione spinosa. Il ritorno di Andre Collins sei anni dopo (ricordate quello che dicevamo sulle poche idee che diventano minestre riscaldate?) è stata una boccata d’aria fresca, quello di Kenny Hansbrouck finora ha inciso meno ma chissà, alla fine della stagione mancano ancora un paio di mesi e tutto può ancora accadere, e in fondo la zona playoff è ancora lì, a un passo, basta qualche errore di qualcuno e i giochi si riaprono. I bianconeri se li meriterebbero? La teoria direbbe di no ma la pratica affermerebbe perentoriamente di sì, e alla fine ciò che conterebbe è la pratica. Con sei squadre raggruppate in quattro punti, l’ultimo scorcio di stagione sarà per cuori saldi e per menti forti.

Dinamo… troppo carica

Poco sopra l’ottavo posto che separa la massa infernale che cerca di salire sopra la barca di Caronte, si erge Sassari. Pensare i detentori del titolo ancora impelagati nella lotta per non perdersi il gran ballo di fine stagione dà da pensare su quello che  attualmente lo stato di salute (salute?) della italica pallacanestro, ma facciamo pur finta che i problemi siano solo in Sardegna.

Già, ma quali problemi: la squadra costruita male e corretta peggio? Certamente, e i discorso riguarda non tanto il tasso tecnico complessivo ma soprattutto la miscela di personalità. Uno spogliatoio unito, compatto, può superare qualsiasi avversario in cui viceversa i galli nel pollaio sono tanti e non forse non remano neanche nella stessa direzione, e se a ciò si aggiunge una delegittimazione dell’allenatore da parte del presidente (Sacchetti) o dei tifosi (Calvani), beh, ovvio che gli ostacoli si moltiplicano sino all’inverosimile. Però è anche vero che Sassari ha lo scudetto sul petto, e che il cuore dei campioni non va mai sottovalutato.

Sal(u)tato senza troppi rimpianti anche il coach ex-Roma, con l’interregno del g.m. Federico Pasquini dalle parti del PalaSerradimigni proveranno ad arrivare più in avanti possibile, e poi con tutta probabilità dall’anno prossimo si partirà con un nuovo progetto tecnico, all’altezza delle ambizioni costruite nella seconda decade nel nuovo millennio, magari con quel Trinchieri che in Germania sta facendo così bene e che per il suo eloquio schietto e sveglio è un personaggio che al nostro basket manca terribilmente (l’impressione però è che lui viceversa non se senta la mancanza, e c’è da capirlo). Una piccola curiosità, infine: entrambi gli allenatori della Dinamo sono saltati dopo una sconfitta contro la Virtus Bologna: a questo punto, il patron Sardara starà pregando sul serio che siano state le uniche due partite contro i bianconeri di questa stagione.

 FIBA o non FIBA?

A chi fa bene la guerra intestina?

A chi fa bene la guerra intestina?

Ennesimo capitolo del match senza esclusione di colpi tra la massima istituzione pubblica e quella privata della pallacanestro del Vecchio Continente. Riassunto delle puntate precedenti: l’ULEB vara dal 2016/2017 un progetto ristretto a una determinata elite in materia di coppe europee; la FIBA, che da anni cova risentimento nei confronti dell’ULEB per averle portato via la Coppa Campioni, vede uno spiraglio per una mortale vendetta e decide di organizzare a sua volta una competizione per club a partecipazione diffusa, minacciando chi parteciperà a Euroleague ed Eurocup (i tornei di ULEB) di sanzioni attraverso le federazioni, e alle federazioni se non sanzioneranno; la ULEB non ci sta, va dall’Unione Europea a dire che no, non va bene, i club hanno il diritto di scegliere dove giocare.

Ora, è abbastanza chiaro che siamo al livello dei bambini che giocano al parco e che litigano su chi deve stare in porta, in difesa, e che bisogna fare contento il proprietario del pallone se no lui va a casa e noi si resta senza l’attrezzo del mestiere, però bisognerebbe diventare tutti un po’ adulti.

Dal punto di vista di chi scrive la FIBA ha sbagliato a buttarla subito sul fisico, sull’imposizione, ma l’errore a monte dell’ULEB è palese: dal 2001/2002 era riuscita a ottenere il suo agognato successo sulla branca europea della federazione mondiale attraverso un’apertura ampia verso i club delle varie federazioni. Poi però con il tempo la porta si è ristretta, chi perdeva terreno (come le nostre, ahinoi) perdeva posti a favore delle solite (Spagna, per dire, arrivata ad avere anche cinque squadre in una volta sola) che vivevano un momento favorevole, aumentando man mano il fatturato e ridistribuendolo a chi partecipava, creando quindi una sorta di circolo vizioso. Panathinaikos, Barcellona, Maccabi Tel-Aviv, CSKA Mosca, Olympiakos e Real Madrid sono le sole sei squadre che in quattordici anni, dal 2001 al 2015, hanno alzato al cielo l’ex Coppa Campioni. Un po’ troppo poco, ammettiamolo.

Dove osa l’Aquila

A proposito di coppe: l’Aquila basket Trento ha battuto Milano nel derby italiano di Eurocup e si è aggiudicata un posto alle Final Four. Ora incontrerà Strasburgo, mentre nell’altra semifinale Zielona Gora incrocerà i guantoni con il Galatasary, l’unica grande favorita arrivata fino all’atto finale. Chissà, magari è la volta che, qualche anno dopo la Virtus Bologna di coach Messina, sia un’altra squadra bianconera a portare a casa un titolo europeo vitale per il nostro movimento.

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