Guida ragionata alle Final Eight di Coppa Italia


Se a qualcuno è capitato di buttare un occhio al tabellone delle Final Eight di Coppa Italia prima che iniziassero, non può essere rimasto colpito. Logico: delle squadre tradizionali, delle grandi storiche, c’era solo l’Olimpia Milano, mentre il resto erano compagini facenti parte della nuova borghesia che negli ultimi anni ha soppiantato la vecchia aristocrazia, al momento è in crisi: Pistoia, Cremona e Trento sono le mine vaganti che con organizzazione e buone idee stanno scalzando la vecchia nomenclatura; Reggio Emilia, Avellino e Sassari sono quelle da anni sulla cresta dell’onda che hanno iniziato recentemente a ottenere successi, la Reyer è la rediviva dal passato glorioso perso nell’alba dei tempi che fa di tutto per salire di livello.

In tutto questo, è venuta fuori una tre giorni ricca di sorprese, dove paradossalmente la partita più scontata è stata la finale, che ha visto Milano trionfare venti anni dopo l’ultima volta. Quello che state per leggere è un vero e proprio ritorno a casa.

QUARTI DI FINALE

Grissinbon Reggio Emilia 87 – 94 Sidigas Avellino

L’ottava testa di serie che elimina la prima: ci sarebbe da gridare al miracolo se non fosse che, rispetto a quando le posizioni sono state definite, è passato circa un mese e quel mese ha portato nuovi equilibri. Per dire: a una Grissinbon ondivaga si opponeva una Sidigas tonica, e che potesse materializzarsi il colpaccio ci eravamo permessi di scriverlo col senno di prima. La Reggiana ha avuto tanto dai suoi italiani (tranne Aradori, stranamente fuori partita), ma il problema vero è stato che un conto giocare con Lavrinovic sotto canestro e un conto, con tutto il dovuto rispetto, è giocare con Veeremenko o Golubovic, elementi validi ma a cui ancora non ci si aggrapperebbe per una partita dentro/fuori.

Da parte sua Avellino ha giocato la sua partita, ha messo in ritmo Nunnally e Veikalas, ha rispolverato il Ragland migliore e senza il faro di Cervi sotto canestro si è affidata a Leunen e Buva. Non è un caso che nel quarto periodo siano stati proprio questi appena nominati (più Acker con un canestro) a portare a casa la contesa. Le due guardie americane erano in spolvero, il play ex-Milano ha servito anche sette assist, la metà di quelli raccolti dalla sua squadra, tanto per dire. Pochi lo ricordano, ma prima della opaca scorsa stagione, Ragland era uno che le partite di campionato sapeva spaccarle.

Giorgio Tesi Group Pistoia 74 – 81 Dolomiti Energia Trento

Era sfida tra le due novelle principesse, l’hanno spuntata i bianconeri perché maggiormente rodati e abituati alle gare senza domani. La dimostrazione è data dal fatto che, se è vero che sono stati Czyz e Antonutti a fare la differenza per i toscani, è altrettanto evidente che solo il lungo polacco ha offerto un contributo più continuo. Eric Lombardi non avrà messo insieme statistiche stratosferiche ma quando serviva tenere in scia la Giorgio Tesi (primo e quarto periodo, i più difficili) lui si è fatto trovare pronto, mentre nella fuga trentina è stato Mastellari a mettersi in mostra.

Ma la Dolomiti Energia ha avuto dalla sua un Julian Wright strepitoso, che ha segnato 15 dei suoi 18 punti nel secondo tempo, e ha messo in chiaro che dalla NBA non arrivano solo (come di norma si pensa) bidoni convinti di essere venuti a miracol mostrare, ma giocatori veri. Prima però di scatenarsi anche lui però ci aveva messo un po’ a ingranare, e non a caso i leader erano stati Jamar Sanders e Davide Pascolo. Poi il Julian Wright Late Night Show ha indirizzato la gara, mentre accanto a lui Flaccadori e Sutton portavano anche loro il loro mattone.

Emporio Armani Milano 88 – 59 Umana Venezia

Cosa si può dire di questa partita, finita con 39 (lo scriviamo anche il lettere, “trentanove”, così rende l’idea) punti di scarto? Peggio, cosa si può dire di una partita che non solo è finita con questo margine, ma che virtualmente non è nemmeno mai iniziata? Si potrebbe elogiare il duo di esterni Sanders – Simon, le vere armi di costruzione di massa di questa Milano. Si potrebbe porre l’accento sulle prestazioni dello slavo vero Macvan e dello slavo un po’ meno vero (ha passaporto croato e gioca nella nazionale) Lafayette. Si potrebbe affermare, parlando di americani passati in NBA, che Jenkins è esattamente il prospetto che ci si attendeva quando venne scelto al Draft 2011, ovvero con una dimensione più europea che statunitense. Si potrebbe. Si dovrebbe.

Ed è quello che faremo, se non altro perché descrivere e criticare la prestazione reyerina in Coppa Italia sarebbe sparare sulla Croce Rossa. Sempre a proposito del senno di prima, ci eravamo permessi di suggerirlo la settimana scorsa, che far saltare Recalcati prima di una gara così importante poteva non essere l’idea del secolo. Vatti a fidare dei blogger…

Vanoli Cremona 97 – 89 Banco di Sardegna Sassari

A proposito di idee del secolo, Sassari era la stata la incoronata regina nelle ultime due edizioni, quando ancora c’era Sacchetti a guidarla. A Milano si è presentata con Calvani, allenatore competente ma molto diverso dal predecessore. Anche lì, magra figura. Non per le cifre, per carità, quelle sono ragguardevoli: 29 punti di Logan, 16 di Mitchell e 12 di Alexander, che al momento sono i tre poli (il secondo peraltro è appena arrivato) dei sardi. Il problema è nel modo: più volte Sassari è stata avanti e più volte si è fatta recuperare, gli avversari sono arrivati al pareggio e al supplementare non c’è stata storia.

Nell’extra-time, per essere chiari, la Dinamo ha preso (e questo è il dato sconfortante, considerando che Calvani è coach più difensivo) venti-punti-venti. Guardando poi chi li ha fatti il dati si aggrava: Elston Turner e Tyrus McGee hanno rispettivamente 24 e 25 anni, sono entrambi usciti dal college nel 2013 e a parte Mitchell (diventato professionista solo un anno prima) di fronte avevano tutta gente più esperta: Logan, Alexander, Brian Sacchetti, Akognon, Stipcevic. I ragazzini hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo, guidati da un venerabile maestro come Cesare Pancotto, mentre gli anziani su quell’ostacolo sono andati a schiantarsi. L’esonero logora chi lo sancisce, pare.

SEMIFINALI

Dolomiti Energia Trentino 69 – 71 Sidigas Avellino

Partiamo dalla fine? Massì, togliamoci subito il pensiero. Poche righe sopra c’è scritto che Julian Wright è la prova che la NBA non manda in Europa solo fenomeni da baraccone, magari anche problematici. Poi arriva la semifinale con Avellino, gli irpini sono avanti di due grazie alla coppia di liberi di Cervi, che per la cronaca così ha scritto sul referto 19 punti. La palla arriva all’ex-Toronto, che finta, si trova di fronte Leunen, prova a recuperare ma niente, ormai ha perso la bussola, l’arbitro fischia, Avellino in finale.

Ma non doveva non essere un bidone? No, e il motivo è presto detto: i grandi giocatori sono quelli che vogliono la palla nel momento decisivo, anche se sanno che se sbaglieranno la colpa sarà loro, davanti a compagni, società e media. Wright ha gestito male l’ultimo possesso ma non lo ha fatto cercando il buzzer beater spettacolare o la tripla emozionante, per far vedere che lui può: ha cercato, semplicemente e coscienziosamente, la conclusione più sicura e che portasse al pareggio che avrebbe significato supplementari. Per il resto è stata la partita dei lunghi, con Buva e Cervi attorno al ventello, Leunen il doppia cifra di rimbalzi (12) e quasi di punti (7), e dall’altra parte Pascolo che scrive 15 e 8 rispettivamente. E poi c’è Marques Green, alto quanto un aspirapolvere ma capace di segnare 10 punti, servire 7 assist e… catturare 5 rimbalzi. Se cercate un motivo per cui gli irpini sono andati in finale, suggeriamo di buttare alla sua porta.

Vanoli Cremona 58 – 90 Emporio Armani Milano

“Cosa si può dire di questa partita? – 2.0”. Cremona non è Venezia e lo ha dimostrato, ha tutt’altra solidità. Purtroppo, Milano è la forza inarrestabile che incontra il corpo inamovibile di Cremona, e lo fa muovere, sin dal primo quarto. Per essere precisi, l’Olimpia è una serie di forze inarrestabili di cui Rakim Sanders è quella principale che si trascina dietro tutte le altre, da Simon a Macvan, da Jenkins a Cinciarini, e non osiamo pensare cosa sarebbe successo con Gentile in campo.

Cremona ha fatto quello che ha potuto, ha combattuto la buona battaglia, ha dato minuti (“Minuti veri!” avrebbe detto una pubblicità) agli italiani che sono sempre manna dal cielo. È tornata a casa ugualmente con un divario abissale. Non c’è proprio giustizia.

FINALE

Sidigas Avellino 76 – 82 Emporio Armani Milano

Vent’anni. Dall’ultima Coppa Italia sono passati vent’anni, ovvero due decenni, ovvero cinque lustri. Diciamolo, l’Olimpia ha fatto il bello e il cattivo tempo: ha costretto gli avversari ad attaccare in penetrazione per sporcare ogni singola azione; ha reso i lob per Cervi uno specchietto per le allodole, da concedere per poi far scattare la chiusura repentina; ha portato gli irpini a perdere palloni su palloni non per disattenzione di questi ultimi ma perché la sua difesa dinamica; ha sfruttato l’atletismo di Sanders, che bontà sua ha nelle corde anche la conclusione da fuori; ha segnato in area ogni volta che Avellino la occupava, creando agli avversari problemi nelle teste prima che sul campo. Repesa prima della gara sosteneva di aver scelto di tenere in tribuna un lungo (in nuovo acquisto Batista) piuttosto che un esterno perché così non avrebbe perso il ball-handling e la pericolosità esterna. Avendo Sanders, che è stato nominato MVP e fisicamente è un toro, poteva permetterselo.

Noi però abbiamo un MVP, ed è differente: Marques Green è quello che ha segnato di più queste Final Eight. Ha trascinato la sua compagine in finale con la sua leadership, come nel 2008. Nel momento di maggior difficoltà, più che risolverla da solo, ha cercato con tutte le forze di mettere in ritmo quei compagni che non erano riusciti ancora a entrare in partita, prima Nunnally e poi Acker. Ragland ha agito da guardia al suo fianco, l’incursore e il ragioniere. Poi è finita come è finita, ma Green merita quel premio perché è stato il leader della squadra rivelazione.

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