Ulisse, David Bowie e la dance music dei Proci
Rileggere i classici applicando loro una colonna sonora, in un ipotetico film della mente. Poiché, come dice Travers, il libro continua anche e soprattutto dopo la lettura, facciamo questo esperimento, per dare vita a connessioni piene di fascino tra musica e letteratura. Cominciamo? Parliamo dell’Odissea, e della musica di David Bowie, e proviamo a fare l’esperimento di percorrere, insieme e parallelamente, la vicenda narrata da Omero e le principali fasi artistiche del Bowie cantante. Siete pronti? Partiamo.
Ulisse sconsolato sulla spiaggia di Ogigia, guarda il mare mentre la nostalgia per la petrosa Itaca e per la moglie Penelope gli gonfia il cuore, “Tell my wife I love her very much, she knows”. La Space Oddity di Ulisse si consuma tutta sulla Terra, in mare per la precisione, ed è vicina alla sua conclusione quando lo troviamo seduto sulla sabbia, su un’isola persa tra mille di altre nell’Egeo, dove solo al mare può affidare i suoi pensieri. Non c’è un ground control che può sentirlo, è rimasto il capitano di sé stesso come il Major Tom bowiano, un homo faber all’ennesima potenza, perso tra le maglie di un destino più grande di lui.
Ma è tempo di ripartire, qualcosa si muove, lassù tra gli onnipotenti e Ulisse riprende il mare solo, arriva dai Feaci. E qui eccola, in agguato, la rievocazione di tutto quello che è stato, ma che a beneficio del lettore deve ancora accadere. Il nostro Ulisse è un eroe nudo e spigoloso, come il primo Bowie. E’ la narrazione che dà vita ad un’altra narrazione, il ricordo che si riattiva ed eccola, la sofferenza di Ulisse nel rievocare il suo passato recente.“I’m sinking in the quicksand of my thoughts, and I haven’t got the power anymore” ma alla fine la forza la trova, e sulle note lievi e stridenti di Hunky Dory e di un pop tanto struggente quanto inafferrabile inizia il racconto delle sua straordinarie vicende, con un salto nel vuoto delirante e fantasmagorico come i crescendo di Life on Mars?.
E inizia il viaggio, che immagino percorso dalle sonorità glam rock di Bowie, che infondono energia, speranza ma anche struggimento, Five years, Rock’n’roll suicide (“Don’t let the sun blast your shadow”), non perdere la speranza, Ulisse, ce la puoi fare, e si attraversano scenari folli, al limite della ragione umana, momenti caleidoscopici e inaspettati come le trasformazioni estetiche di Bowie e quei brani così scintillanti sul palco, e non mancano gli Scary monsters (Scilla e Cariddi, Polifemo).
E’ un viaggio tra alti e bassi, station to station, con punte di tenebra assoluta come la discesa negli inferi, la fase elettronica a farla da sottofondo, anche se non siamo a Berlino. I lunghi campionamenti di “Heroes” e Low, Neukoln e la inafferrabile Sense of doubt ci guidano passo dopo passo mentre seguiamo Ulisse nell’Ade, un regno scuro, solenne, inquietante, in un mondo che stride; una volta fuori, le grida stridenti e distorte ma così affascinanti delle sirene si sublimano nelle chitarre acide e vetrose di Speed of glass.
Ma ogni storia ha una fine, e spesso c’è un ritorno: il ritorno a casa e la vendetta, sottolineati dalla fase disco degli anni ‘80, con lo stesso cinismo con cui Bowie affronta il genere disco, Ulisse rientra in casa sua e architetta un piano per riprendersi ciò che è suo. Immagino l’eroe che apostrofa i Proci mentre in sottofondo parte il giro di basso di Criminal world, e con questa musica Ulisse e Telemaco iniziano la strage. Sono ondate pure di movimento, violenza e vitalità che torna ad esplodere, come i bassi ritmati e quel soul così anticamente nuovo, musica che carica e rende consapevoli, la più adatta per una strage di Proci.
“Time may change me, but I can’t trace time” ( da “Changes”) lo potrebbe dire anche il nostro eroe, alla fine del viaggio, proprio come Bowie in realtà lo diceva all’inizio del suo, di viaggio. Parole che suonano come una premonizione per quello che sarebbe stato, e Bowie come Ulisse non si sarebbe certo accontentato di un finale in sordina. Le colonne d’Ercole e quella montagna, laggiù, che si intravede contro il cielo azzurro dell’oceano. Morire per arrivarci, morendo a testa alta.
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