Tutte le strade portano a Washington – La visita di Francesco negli Stati Uniti


«Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prendere il vescovo di Roma quasi alla fine del mondo». Si era presentato così, Jorge Mario Bergoglio, quella sera del 13 marzo 2013. Mise subito in chiaro le cose: lui proviene dalla fine del mondo.
La settimana scorsa è stato ospite del cuore pulsante, invece, di quel mondo. Perché volenti o nolenti, gli Stati Uniti continuano a rappresentare il faro a cui si guarda, e che raccoglie pressoché in egual misura elogi e critiche. La realtà americana, controversa e ambigua per gli stessi cittadini a stelle e strisce, ha ospitato Francesco, che non si è fatto remore a presentarsi con il suo stile pacato ma diretto, parlando ai cuori dei suoi interlocutori e lasciando da parte il ruolo formale del capo di stato in visita in un paese straniero, quale in effetti sarebbe. Non si è presentato come un capo di stato ma nemmeno come leader religioso: si è presentato, molto semplicemente, come uomo di pensiero che si rivolge ad altri uomini di pensiero.

Metti un giorno al Congresso
Il momento topico del Viaggio Apostolico a Washington è stato di certo il discorso tenuto da Francesco al massimo organo democratico della nazione statunitense. Dapprima ha ricordato il sogno americano, le cui basi (libertà, impegno, partecipazione) sono ideali che hanno ispirato e continuano a ispirare moltissime persone. Poi ha toccato il primo argomento scottante: l’immigrazione.

«Noi, gente di questo continente, non abbiamo paura degli stranieri, perché molti di noi una volta eravamo stranieri. Vi dico questo come figlio di immigrati, sapendo che anche tanti di voi sono discendenti di immigrati. Tragicamente, i diritti di quelli che erano qui molto prima di noi non sono stati sempre rispettati. Per quei popoli e le loro nazioni, dal cuore della democrazia americana, desidero riaffermare la mia più profonda stima e considerazione»

L’interpretazione di questa frase non lascia adito a dubbi: Francesco ha infatti voluto ricordare che le radici dei popoli americani vengono esse stesse dall’immigrazione, con una pace raggiunta al prezzo di vite umane spezzate dei popoli, soprattutto nativi. L’invito implicito era quindi ad accogliere, e non a respingere o a escludere, chi entra nel paese in cerca di migliori condizioni di vita. Francesco ha poi proseguito, ricordando quattro grandi americani «capaci, con duro lavoro e sacrificio personale, alcuni a costo della propria vita, di costruire un futuro migliore»: il presidente Abraham Lincoln, il monaco Thomas Merton, gli attivisti Martin Luther King e Dorothy Day. Si è poi soffermato sul tema dell’integralismo non risultando banale nemmeno in quel frangente.

«Dobbiamo essere particolarmente attenti ad ogni forma di fondamentalismo, tanto religioso come di ogni altro genere. È necessario un delicato equilibrio per combattere la violenza perpetrata nel nome di una religione, di un’ideologia o di un sistema economico, mentre si salvaguarda allo stesso tempo la libertà religiosa, la libertà intellettuale e le libertà individuali. Ma c’è un’altra tentazione da cui dobbiamo guardarci. Sappiamo che nel tentativo di essere liberati dal nemico esterno, possiamo essere tentati di alimentare il nemico interno. Imitare l’odio e la violenza dei tiranni e degli assassini è il modo migliore di prendere il loro posto. Questo è qualcosa che voi, come popolo, rifiutate»

Infine, sono arrivati i due affondi più sentiti, dai politici locali, e qualcuno a stento è riuscito ad applaudire. Il primo è stato contro la proliferazione eccessiva delle armi, tema che è tornato dolorosamente di moda in questi giorni con la sparatoria a Oregon State University:

«Essere al servizio del dialogo e della pace significa anche essere veramente determinati a ridurre e, nel lungo termine, a porre fine ai molti conflitti armati in tutto il mondo. Qui dobbiamo chiederci: perché armi mortali sono vendute a coloro che pianificano di infliggere indicibili sofferenze a individui e società? Purtroppo, la risposta, come tutti sappiamo, è semplicemente per denaro: denaro che è intriso di sangue, spesso del sangue innocente. Davanti a questo vergognoso e colpevole silenzio, è nostro dovere affrontare il problema e fermare il commercio di armi».

Il secondo è stato quello contro la pena di morte:

«Ho sostenuto l’’abolizione globale della pena di morte. Sono convinto che questa sia la via migliore, dal momento che ogni vita è sacra, ogni persona umana è dotata di una inalienabile dignità, e la società può solo beneficiare dalla riabilitazione di coloro che sono condannati per crimini».

Un Papa che non si è risparmiato sui temi d’attualità, anche a costo di trattare questioni che, qualcuno potrebbe dire, non gli competono. Ma se c’è una cosa che ci ha insegnato lo stesso Martin Luther King, è che per piantare i paletti della giustizia a volte è necessario soppiantare quelli dell’ingiustizia messi sul terreno da altri.
L’ultimo atto è stato una citazione di Francesco dell’inno americano Star Spangled Banner, quando ha ricordato agli Stati Uniti che loro nascono come “la terra dei liberi e la casa dei coraggiosi”.

ONU e Ground Zero
Ci siamo soffermati maggiormente sull’intervento al Congresso lasciando poco spazio per gli altri interventi, ma la ragione è valida: nel meeting successivo all’ONU il Papa infatti non ha fatto altro che ribadire, davanti ai capi delle nazioni, quello che già aveva anticipato il giorno prima al solo direttivo di Washington, ovvero la necessità di rispettare la vita, di dare priorità ai negoziati e di tenere sempre a mente quali possono essere le conseguenze di una gestione scriteriata dell’economia mondiale. Concetti non esclusivamente religiosi, dunque, ma trasversali, che mettono in luce ancora una volta l’umanità e l’attenzione al prossimo di questo pontefice di cui è avuta ulteriore prova durante l’incontro interreligioso avvenuto a Ground Zero con leader ebraici e musulmani:

«Spero che la nostra presenza qui sia un segno potente delle nostre volontà di condividere e riaffermare il desiderio di essere forze di riconciliazione, forze di pace e giustizia in questa comunità e in ogni parte del mondo. Abbiamo bisogno di bandire i nostri sentimenti di odio, di vendetta, di rancore. Chiediamo al cielo il dono di impegnarci per la causa della pace. Pace nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nelle nostre scuole, nelle nostre comunità. Pace in quei luoghi dove la guerra sembra non avere fine. Pace sui quei volti che non hanno conosciuto altro che dolore. Pace in questo vasto mondo che Dio ci ha dato come casa di tutti e per tutti. Soltanto, pace»

Non ci sentiamo di aggiungere altro, se non che per raggiungere un tale risultato ci sarà bisogno di molto impegno. E di molto buon senso.

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