Zeus, Bill Cosby e la fine dell‘innocenza
C’è ancora un po’ di schifosa poesia in questo mondo? Forse sì, non disperiamoci, ma di certo alcune notizie hanno il
potere di rendere il mondo più brutto di come lo credevamo. Perché sognare ad occhi aperti si può, è consentito, non è un reato, ma quando i sogni di questo tipo finiscono fanno più male, perché una volta svegli non ci sono letto con piumone caldo e colazione ad attenderci, ma solo la realtà in transizione. E non ci resta che affrontarla, sperando di capirla.
E‘ questo che mi è successo quando alle scuole medie, per merito di un bravo e crudele professore di lettere, scoprii per la prima volta che Zeus non era il vecchio buono e fedele, il simpatico e bonario padre degli dei, ma il violentatore seriale e maniacale di donne e persino giovani uomini. Un marito fedifrago e violento, che non rispettava la moglie e nemmeno troppo le sue amanti, le prendeva e le mollava dopo averci regolarmente generato dei figli illegittimi, che diventavano quasi tutti dei dell’Olimpo o semidei o morivano in circostanze tristi e macabre, senza mezze misure. Non so se rendo l’idea della delusione che provai, era come se una certezza dell’infanzia crollasse fragorosamente, e si aprisse la prima breccia su quella realtà a molte facce, ambigua e bellissima nella sua crudeltà in cui vivo ora.
Il secondo atto di questa mia fuga dall’innocenza, penso possa essere rappresentato dalla vicenda riguardante Bill Cosby. No, non quello di White Christmas (quello è Bing Crosby, ed è morto da un pezzo), l’altro, Bill. Il signor Robinson, per intenderci, quello del telefilm che ha fatto crescere (si dice così) migliaia di bambini e adolescenti negli anni ottanta e novanta, prima che le serie tv assumessero la dimensione ipertrofica e mostruosa che hanno ora, ed erano semplicemente sit-com con cui staccare la mente, ridere e – moderatamente – riflettere sulle cose della vita.
Io, da bambino degli anni novanta, al tempo non avevo seguito con attenzione la serie, solo qualche episodio in qua e là, senza entrarci veramente dentro. L’ho recuperata soltanto qualche anno fa, a venticinque anni, nella maratona di tre ore a serata che trasmetteva uno dei tanti canali minori del digitale terrestre, appena dopo il canale con la maratona di Tre cuori in affitto, per dare l’idea. Dunque, ho scoperto e vissuto appieno i Robinson relativamente tardi, ma la notizia che ho letto mi ha ugualmente sconvolto. Bill Cosby, denunciato da quarantasei donne per violenze sessuali ripetute che avrebbe compiuto a partire dagli anni sessanta. Le sue ammissioni secretate (ma recentemente venute a galla) di aver somministrato sedativi a donne, delle quali si pensa che poi abbia abusato sessualmente. La testimonianza di una di queste donne, in particolare, riferisce che Cosby le diceva di fidarsi di lui come se fosse suo padre, mentre la invitava ad “abbassare le barriere” durante i provini da ubriaca che le faceva fare nella sua camera da letto. In questa recente copertina del New York Magazine, trentacinque delle accusatrici di Bill si sono fatte ritrarre insieme, secondo l’ordine cronologico delle violenze subite.
L’attore non è stato ancora incriminato ufficialmente, questo va detto, ma viene facile iniziare a lavorare di fantasia, e pensare a Cosby che violenta donne, alcune giovanissime, nel corso della sua vita privata – orrore – e sul set dei suoi film e telefilm – ancora più orrore -. Magari il giorno prima violentava la stagista o l’aspirante attrice di turno, e quello dopo era in scena, seduto nel salotto di casa Robinson con Rudy sulle ginocchia, a impartire – a lei e a tutti noi – consigli semplici, quasi banali, ma infinitamente preziosi e saggi sulla vita, accompagnati da quelle sue smorfie un po’ così, che facevano sorridere all’istante anche un musone come me.
Sinceramente non so se è stato peggio scoprire tutto oggi, alla luce della mia breve ed “adulta“ conoscenza dell‘attore, o se l’effetto della notizia sarebbe stato peggiore se avessi conosciuto Cosby fin dall’infanzia. Sarei rimasto più deluso, in questo secondo caso? Non credo, perché se da piccolo avrei potuto imputare la fiducia in lui alla mia ingenuità di bambino, ora no. Due anni fa, il mio legarmi a quella figura comica e paterna è stato consapevole e, per quanto possibile, volontario, dunque la delusione fa più male.
In questi casi la reazione è sempre la stessa: si è portati a pensare che nemmeno dei miti, ormai, ci si possa più fidare e che come Zeus e il signor Robinson, chissà quanti altri nostri eroi e beniamini conducono vite disgustose e ripugnanti di cui ci vergogneremmo per loro, se lo sapessimo. Ma riuscire a trovare la bellezza pur nella crudeltà e amarezza delle cose della vita, non è forse questa la vera missione, la vera strada per diventare forti e sinceri? Penso ancora di sì, per cui forza, un po’ di schifosa poesia in questo mondo può ancora esserci. Basta cercarla bene.
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