Notturno


La pietra del ponte era dura e umida al tatto, un sottile aroma di muschio unito a quello dell’acqua che stagnava vicino alle rive giunse al naso di Paolo. In quelle tiepide notti primaverili di metà aprile il cielo lasciava soltanto poche stelle a guardia delle attività umane, che peraltro a quell’ora si riducevano al ronzare indistinto e lontano dei furgoni dei fornai e alla silenziosa ma instancabile attività delle prostitute. Queste poche stelle abbellivano ma garantivano ugualmente invisibilità e discrezione, per chi le cercasse.
Paolo cercava tutto questo, unito al conforto che quella notte solo il piccolo carro, perso lassù nel cielo di settentrione, poteva dargli. Si guardò intorno, ma via del Principato rimaneva ostinatamente deserto a quell’ora della notte. Strinse le mani contro il parapetto del ponte, fin quasi a far penetrare il muschio della pietra dentro la pelle e poi ancora più in profondità, nelle ossa. Si fece forza e scavalcando con entrambe le gambe si pose seduto sul parapetto. Il rumore del fiume che scorreva impetuoso a un centinaio di metri sotto di lui si fece improvvisamente violento, quasi avesse varcato un’impercettibile barriera sonora. Il vento era fresco e l’acqua esercitava un’attrattiva così forte da fargli girare la testa. Il fiume non sarebbe stato troppo freddo, a questo aveva pensato. Perlomeno non sottozero, e tanto bastava per convincerlo che anche quell’ultimo, disperato piano fosse illuminato da un barlume di senso, un ultimo brandello di razionalità tutto suo, intimo e personale, con cui avrebbe salutato il mondo che non aveva mostrato di curarsi di lui

Un rumore di passi. Due suole echeggiavano sui sampietrini portando all’orecchio di Paolo il suono di un’avanzata sicura. Si volse, tenendosi ben stretto a parapetto per non cadere e una sagoma scura entrò prepotentemente ad occupare il palcoscenico della sua notte e ad interrompere le sue riflessioni. Era impossibile non vedere Paolo e la figura si diresse verso di lui, che attese seccato il verificarsi di quell’incontro inevitabile.
La figura raggiunse Paolo restando in penombra, un poco discosto dalla luce del lampione. Paolo vide solo gli occhi scintillare rapidi, occhi giovani, gli sembrò, ma già così tristi. Anche il nuovo arrivato scavalcò il parapetto, si diede una spinta contro la pietra e si lasciò cadere giù nel vuoto più nero, leggero come un gabbiano libratosi per pochi secondi nell’aria prima di dedicarsi tutto, muscoli corpo e cervello, all’abisso che lo attendeva. Il vuoto in un attimo ne ingoiò la figura facendolo sparire. Il rumore di una caduta in acqua. Qualche annaspo ma nessun urlo, poi il silenzio. Pochi istanti, poco tempo utile per salvargli la vita. Paolo avrebbe potuto scendere dal parapetto, raggiungere la scaletta che conduce giù alla riva del fiume e tuffarsi all’ombra delle arcate per tentare di salvarlo. Tanti nanosecondi messi in fila a formare un secondo e tanti secondi, uno dopo l’altro, a formarne cinque, dieci, venti… infine un minuto. Paolo era consapevole di ogni singola frazione di tempo che scorreva intorno a lui, ognuno pesava come un sasso scuro nel suo petto, della stessa pietra umida e porosa del ponte. Li contava impotente in fila, uno dopo l’altro, senza fare nulla. L’uomo di sotto sarà morto ormai – pensò Paolo – non si sentivano più rumori e probabilmente non sapeva nuotare. Anche perché non era scivolato. Ci pensò ancora per qualche secondo, poi decise di scendere dal parapetto e andare a verificare se l’uomo fosse ancora vivo di sotto.

Camminando con agitazione scese la scaletta che conduceva alla riva del fiume sottostante, e alla luce debole dei lampioni che illuminavano l’acqua provò a scorgere una sagoma umana. Niente. Per un attimo pensò che avrebbe potuto buttarsi in acqua per accertarsi che davvero l’uomo non fosse lì a galla poco lontano, silente ma ancora vivo, magari svenuto. Scacciò subito questo pensiero, ormai era troppo tardi. Risalì la scaletta a lato del ponte e giunto in cima fece per tornare al parapetto e farla finalmente finita, anche lui. Quell’interruzione lo aveva seccato, ma ormai era passata e doveva portare a compimento il suo intento. Si volse a guardare la via che dal ponte portava agli agglomerati di case del centro. Tra le varie case c’era anche la sua. Diede le spalle al ponte e prese a camminare diretto verso la città.
Il pavimento stradale era bagnato, aveva smesso di piovere solo poche ore fa e rimanevano le pozzanghere a punteggiare il suo cammino notturno. Ad ogni passo ne prendeva una e si alzava nella notte un rumore disordinato, cic ciac, lo stesso suono che produceva l’acqua del fiume sotto al ponte mentre l’uomo annaspava. Accelerò il passo, ma con esso anche i rumori delle pozzanghere calpestate si fecero più frequenti, intorno a lui e nella sua testa, cic ciac, cic ciac, cic ciac. Ad ogni passo Paolo si sentiva affogare insieme al misterioso uomo del ponte, l’acqua nera li circondava per sopraffarli e affondavano lentamente insieme nel fiume buio e freddo, in una notte senza luna e con poche stelle. Provò a respirare, ma gli mancò l’aria.

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