Il laureato


Lucio si trovava nella facoltà di Ingegneria, dipartimento di Scienze dell’automazione, perché invitato alla laurea di un amico, ma non un amico stretto, un ragazzo che era stato suo compagno di banco al liceo e con cui poi si erano persi di vista, fino all’invito alla cerimonia. lego laureatoLucio non sapeva come funzionassero quelle cose, perché lui dopo il liceo si era subito messo a lavorare nell’officina del padre e non aveva nemmeno pensato di continuare a studiare, chi te lo fa fare – gli aveva detto suo padre – quando hai i soldi? Appena arrivato nell’atrio dell’edificio vide tantissimi ragazzi della sua età vestiti elegantissimi con sottomano dei sottili quaderni rilegati in cartoncino, che andavano su e giù parlando con tutti e sorridendo a tutti e scattando selfie con tutti. C’erano anche tanti genitori, anziani e più giovani, sorelline fratellini e persino neonati nella culla.

Alla fine trovò l’aula e salutò l’amico, il quale gli disse che non si ricordava di averlo invitato ma che andava bene così, siediti che tra poco si comincia, era tesissimo e nemmeno lo guardava negli occhi. Dopo un paio di minuti uno dei professori dietro alla cattedra si alzò in piedi e iniziò a chiamare ad uno ad uno i candidati. Il primo avanzò sorridendo, armeggiò qualche secondo con il pc poi fece partire le slides in Power point e iniziò a parlare di cuscinetti a sfera e rendimento di macchine inscatolatrici.
Una noia totale e infinita, tanto che Lucio sbadigliò subito ma si disse resisti, manca poco ed è fatta. Il secondo candidato non era in aula. Il professore lo chiamò una volta – Birindelli! – poi un’altra e un’altra ancora, ma niente, allora si alzò Lucio. Sono qui, disse, mi scusi, scendo subito. Ci provo – disse tra sé – al massimo mi scoprono subito e mi cacciano fuori.
E invece non lo riconobbe nessuno perché a) nessuno dei parenti di Birindelli era presente alla cerimonia b) nessuno degli studenti sapeva di preciso che aspetto avesse perché era un tipo asociale che non frequentava mai le lezioni o la facoltà e c) il professore relatore della tesi in realtà non sapeva niente di quest’ultima, poiché aveva delegato di ogni cosa un suo assistente, che quel giorno non era presente e dunque d) neppure il professore stesso sapeva che aspetto avesse Birindelli.
-Non ha portato la tesi? – chiese il professore a Lucio.
-Certo che ce l’ho – rispose lui – Ma non in cartaceo. Cioè, ce l’ho qui. – e si indicò la fronte con l’indice.
-Non ha preparato le slide?
-Non amo le slide – di nuovo, o la va o la spacca. -Comunque, la mia tesi è sull’utilizzo delle viti nella meccanica di precisione.
Da lì in poi iniziò a raccontare alcuni aspetti del suo lavoro di tutti i giorni in officina, avendo però l’accortezza di eliminare tutti i riferimenti alle attività concrete e citando i termini tecnici che aveva letto nei manuali operativi. Alla fine dell’esposizione non ci furono domande dalla commissione, il professore ondeggiò la testa e lo congedò.
Poco dopo Lucio venne richiamato davanti ai professori, che lo proclamarono dottore in Ingegneria con votazione di 95/110, ha una media esami un po’ bassa per una specialistica, gli disse il professore, eh sì, disse lui, è stata dura, sì sì, ma sono contento lo stesso, e tutti lo presero in simpatia perché poverino, ci aveva provato e nonostante il voto modesto doveva esserne fiero.
Fuori dall’aula, l’amico che lo aveva invitato lo raggiunse e senza sorridere gli disse che avrebbe aspettato due giorni prima di rivelare la verità e che nel frattempo l’avrebbe dovuto fare lui, perché non poteva laurearsi così, di punto in bianco, dopo che loro avevano sgobbato per anni sui quei cazzo di libri, e poi il vero Birindelli si sarebbe fatto vivo prima o poi e…
-Certo, dirò tutto – promise Lucio e l’avrebbe fatto davvero, ma non subito. Ormai ci aveva preso gusto con quella storia della laurea e cominciò a guardarsi intorno con aria famelica, in cerca di una corona d’alloro. L’avrebbe messa sulla testa e l’avrebbe tenuta solo per un po’, pochi secondi. O magari anche qualcosa in più.

 

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