Poz e i suoi fratelli


Lui così non avremo mai pensato di vederlo. Dai, no, non scherziamo, vanno bene tutti tranne lui a fare quel mestiere lì, che è il più ingrato dell’ universo, in cui bisogna esprimere un rigore e una serietà che fanno a pugni con la sua joie de vivre: lui lì ci sta come i cavoli a merenda. Eppure. Eppure vuoi vedere che…

L’ incipit di taglio discorsivo, più che veramente prosaico, serviva a porre l’ accento sull’ intera faccenda, sul catturare l’ attenzione di chi legge. Come se in realtà ce ne fosse bisogno, data la portata del personaggio in questione. Spiegazione: questa è stata la reazione del 90% degli addetti ai lavori quando hanno saputo che Gianmarco Pozzecco aveva deciso di intraprendere la carriera di allenatore. Lui, così vitale e vulcanico, lui che con i suoi atteggiamenti spesso canzonatori e goliardici da Gian Burrasca della palla a spicchi ha mandato su tutte le furie molti dei coach con cui ha avuto a che fare: ricordiamo Tanjevic, Repesa, e lo stesso Recalcati che forse per timore, ad Eurobasket 2003 gli preferì Lamma e Rombaldoni, salvo poi portarlo ad Atene 2004. Non poteva non essere alle Olimpiadi il Poz, perché se sul carattere si poteva avere qualche dubbio sulle qualità tecniche nessuno poteva avere da dire.

Ma qui stiamo divagando, e d’ altronde su Pozzecco le cose sarebbero così tante da dire che ci vorrebbero due puntate (e forse forse le faremo). Qui si vuole raccontare del Poz allenatore, ma forse è meglio partire dalla fine della carriera di giocatore: Flashback: nella primavera del 2008 allenata da coach Sacchetti l’ Orlandina Basket arriva ai playoff e stupisce tutti per quel tipo di gioco e di risultati che ora sono diventati vincenti in quel di Sassari: a dettare i tempi del gioco il trentacinquenne Pozzecco, ormai agli sgoccioli di una carriera agonistica in cui la sua visione di gioco e le sue mani d’ oro hanno fatto saltare sulla sedia tifosi, allenatori, avversari, compagni di squadra e (ne siamo certi) arbitri. In quell’ estate succede però il patatrac: l’ Orlandina e Napoli vengono escluse dalla Serie A per irregolarità nei conti e sono costrette a ripartire dai piani inferiori. Lì Poz vede il suo fine carriera prendere una piega triste. Va a giocare a Trieste, vicino a casa (lui è di Gorizia), comincia a collaborare con l’ Olimpia Milano, poi la sua attività agonistica prende nuovamente la strada di Capo d’ Orlando. Arriva poi il momento di dire basta, e allora ecco che il Poz torna nel mondo del basket nel ruolo commento tecnico, iniziando per SKY Sport e proseguendo poi con SportItalia prima e La7 poi.

E viene il momento del dunque: ad inizio novembre 2012 Capo d’ Orlando è in difficoltà, il bilancio con Bernardi dice impietosamente 0 – 6, e si pensa di cambiare. Già, ma con chi. Risposta: con lui, con Poz, con uno la cui personalità e la cui nomea fanno a pugni con la figura dell’ allenatore così come si concepisce nel mondo sportivo agonistico. Lui accetta, ama Capo d’ Orlando, che lo ricambia incondizionatamente. La squadra comincia a viaggiare: dodici partite vinte e dieci perse sotto la sua gestione, stagione chiusa all’ undicesimo posto, si prosegue. Gli ex compagni Basile e Soragna, trentanovenni, lo raggiungono, guidano il gruppo, portano esperienza. Il risultato è felicemente noto: 27 successi a fronte di 14 sconfitte, promozione, senza se e senza ma.

Il resto è storia recente: la firma con Varese di questo giugno, gli auguri di tutti (anche di Tanjevic e Repesa, pensa te come va il mondo…), l’ esordio al Pianella con il tributo (ricambiato) dei tifosi canturini, perché Poz è un simbolo della pallacanestro, raccoglie consensi ovunque, è un passepartout, o come direbbe Pitbull un personaggio worldwide.

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